IV. Il neofascismo e la strategia della tensione
4.1. «Contestare la contestazione»
Nel 1969 il Msi sviluppò un’intensa attività interna ed estera finalizzata a connettere, secondo una logica di estremizzazione delle tensioni, la politica e la linea nazionale del partito con la dimensione internazionale del conflitto tra Occidente e blocco sovietico.
Dal 23 al 28 agosto Primo Siena, membro del comitato centrale, e Gianfranco Di Lorenzo, del Rgsl, parteciparono all’incontro di Sintra, in Portogallo organizzato da Convergenza Occidentale.
Dal 4 al 15 settembre a Rieti, presso il Monte Terminillo, si svolse il «corso di aggiornamento per i dirigenti giovanili», concluso dalla relazione di Almirante, a cui parteciparono 127 militanti, tra i quali Zorzi e Fachini per il Veneto e Ugo Martinat per Torino, formati sui temi dell’«alternativa rivoluzionaria»; del rapporto tra «gerarchia, élite, Stato» e della «Genesi del colpo di Stato».
Due giorni dopo Almirante incontrò Agnelli a Torino.
Il Msi si riproponeva come forza d’urto contro la «sindacatocrazia» e il disordine degli scioperi e delle lotte operaie, offrendo una sponda di rappresentanza politica alle classi medie e industriali a cui il partito avrebbe dovuto «guardare» includendole in quel concetto di «Nazione» individuato come «fine della battaglia» nonché «antidoto contro il veleno del comunismo». Nell’intento di portare con sé tutto il partito e l’intero ambiente della destra estrema Almirante rappresentò la sua linea politica con la formula della «nostalgia dell’avvenire» con la quale il Msi avrebbe avuto «il compito istituzionale di chiamare a raccolta quanti pur condividendone i principi restano fuori dalle nostre fila» nell’ottica «di quel discorso nuovo e chiaro al quale il Partito si è impegnato». Tuttavia il proclamato rinnovamento non scioglieva il nodo della continuità ideale col ventennio e il regime fascista era ancora definito dal segretario «l’unico momento epico nella storia del popolo italiano».
La questione dell’ordine pubblico, con la sua incidenza sul sistema produttivo e sulle relazioni industriali divenne il fulcro della politica missina.
In prossimità delle vertenze contrattuali più importanti Romualdi richiamò, di fronte alla «cattiva democrazia», l’azione di tutte le forze nazionali prefigurando lo scioglimento delle camere e le elezioni anticipate come «trauma legale» capace di comporre un fronte anticomunista allargato all’estrema destra per arrestare la «conquista democratica del potere» da parte del Pci.
Per Romualdi anche se «lo Stato non c’è più» e «neppure a destra ci sono generali e colonnelli da spendere per la rivoluzione» vi era «però gente – e non parlo solo dei nostri iscritti e simpatizzanti – in grado di impedire la pacifica rivoluzione comunista».
A Roma il 7 novembre venne organizzata dal Rgsl, con il sostegno di Manuel Fernandez e Jaime Nogueira di Convergenza Occidentale, una riunione internazionale delle organizzazioni di estrema destra di tutto il continente, tra cui il Movimento 4 agosto greco, la Jeune Europe dalla Francia, Nuovo Ordine Europeo dalla Svizzera, la Npd dalla Germania Ovest e diverse altre organizzazioni svedesi, romene e cecoslovacche.
L’ultima giornata di lavori del convegno, aperta dall’inno dell’Oas, registrò gli interventi conclusivi di Cerullo e Anderson che oltre a indicare la distensione internazionale come elemento di debolezza nella lotta al comunismo, delinearono una prospettiva di superamento del Parlamento e dei partiti «vuote strutture estranee alla maggioranza dei cittadini» in luogo di una composizione tecnica e corporativa in grado di tutelare la pace sociale, la sicurezza nazionale nelle zone di confine e «la dignità delle Forze Armate e dell’ordine di fronte al terrorismo militare e ideologico». L’iniziativa fu ripetuta a Milano il 1º febbraio 1970 e si concluse con violenti scontri tra missini e polizia.
Tra il corso di formazione di Rieti di settembre e l’incontro internazionale di novembre, si collocò la circolare Anderson del 29 ottobre alla quale seguì una circostanza anomala come quella delle dimissioni simultanee di un consistente numero di iscritti del Rgsl, del Fuan, dei Volontari e della Giovane Italia.
L’episodio venne seguito con particolare attenzione dai fiduciari del Ministero dell’Interno, che non mancarono di sottolineare non solo la singolarità «che queste dimissioni avven[issero] tutte allo stesso modo, vale a dire trasmesse con lettere raccomandate», ma anche le intenzioni dei militanti (che stavano «organizzando[si] al di fuori del partito per reagire alle intimidazioni dei filo-cinesi e dei comunisti»), e soprattutto il senso dell’uscita di massa con cui «i giovani dimissionari intende[vano] [...] dissociare la responsabilità del partito dalla loro futura attività, evitando di coinvolgerlo nelle loro iniziative di gruppo».
Alle dimissioni collettive seguì la prima rappresentazione pubblica della «piazza di destra» in vista dello sciopero generale dei sindacati del 19 novembre.
Il Msi organizzò gruppi di militanti con il compito di sostituire i trasporti pubblici bloccati dallo sciopero e squadre di attivisti pronti a intervenire per impedire «picchetti» davanti alle fabbriche, promuovendo un appello a «non accettate intimidazioni e non disertate il lavoro» per non favorire gli «agitatori di professione» intenti a «gettare la Nazione nel disordine».
La segreteria percepì come la formazione di un nuovo blocco anticomunista comprendente il Msi passasse necessariamente attraverso la rottura dei centri di mediazione sociale e politica dei conflitti e in questo senso la crisi della Dc e del centro-sinistra apriva spazi di manovra fino ad allora inaccessibili per l’estrema destra.
Se già prima dello sciopero generale il Msi aveva tentato di disegnare una divisione verticale nella società, invitando i settori più conservatori ad un esercizio di opposizione frontale contro le forze di sinistra, dopo la morte di Annarumma tutto l’apparato del partito fu mobilitato.
Almirante nel suo «consuntivo» dopo lo sciopero rappresentò la debolezza del governo nei confronti del Pci attraverso la figura metaforica del «Generale Paura» che «guida le schiere di democratici che si esercitano in un quotidiano calabrache dinanzi ai voleri del Pci» che «dal ministro dell’Interno scende giù giù per le fibre delle Prefetture e delle Questure con pochissime eccezioni e si insinua nelle vene della Magistratura».
La morte dell’agente Annarumma siglava «col sangue lo sciopero rosso», e i funerali di Milano con il loro corollario di aggressioni, presentate come «tafferugli provocati dagli agitatori del Pci duramente colpiti dalla cittadinanza», rappresentarono la prima uscita pubblica della piazza di destra e della «gioventù nazionale alla testa di imponenti cortei» per le vie di Milano.
Almirante lavorò nel contempo al riassestamento delle finanze e al controllo delle organizzazioni giovanili ridimensionando i Volontari Nazionali con la diffida ad Alberto Rossi a riproporre campi estivi, già realizzati nel 1968, di «carattere paramilitare».
La denuncia della «violenza rossa» divenne l’elemento caratterizzante della propaganda missina rivendicato con forza anche nel dibattito sulla crisi dell’ordine pubblico alla Camera.
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