Dopo la sua apparizione il libro a stampa divenne oggetto di continui miglioramenti e dellâaggiunta o della trasformazione di parti che timidamente avevano giĂ fatto la loro comparsa nel manoscritto, ma che avrebbero ricoperto un ruolo fondamentale a partire dallâapplicazione dei caratteri mobili e contribuito a far emergere i suoi protagonisti e i suoi realizzatori. Il manoscritto, ad esempio, riportava un incipit (le prime parole con le quali iniziava un testo) assimilabile a quello che poi sarebbe diventato il titolo del libro e proponeva, nella stessa forma presentata in seguito negli incunaboli, il colophon, destinato poi a essere trasferito sul frontespizio e suddiviso tra la parte riservata al nome dellâautore e quella delle note tipografiche. Quando poi il libro divenne sempre piĂč un prodotto in cerca di mecenati o sostenitori si aggiunsero testi destinati a elogiare persone di rango, le cui effigie o i simboli nobiliari erano richiamati nelle miniature, per tentare di ricavare profitti economici o riconoscimenti sociali. Anche il lettore non venne trascurato: gli avvisi a lui destinati, posti allâinizio degli esemplari, erano scritti dallo stesso stampatore o dallâautore in cerca di perdono per gli eventuali errori commessi, per i quali venne introdotto anche il foglio di errata da inserire nel volume stesso. Fu dato spazio quindi a nuove forme per accompagnare il testo, portarlo nelle mani del destinatario e facilitare la sua comprensione: in sostanza, si adottarono nuovi elementi che fungevano da entrata e soglia al contenuto.
Nel 1987 GĂ©rard Genette ha pubblicato in Francia Seuils (poi tradotto in Italia nel 1989 per Einaudi con il titolo Soglie. I dintorni del testo), in cui analizza proprio le parti che determinano il modo in cui un lettore percepisce il testo e come il libro si presenta. Si tratta del paratesto, un «luogo privilegiato di una pragmatica e di una strategia, di unâazione sul pubblico, con il compito [...] di far meglio accogliere il testo e di sviluppare una lettura piĂč pertinente». Il paratesto Ăš un complesso di elementi appartenenti a un testo a stampa, come i titoli, lâintroduzione, le dediche, la prefazione, la copertina, i risvolti, le illustrazioni, gli indici, strutturati e pensati per comunicare al meglio il contenuto del libro.
Le informazioni o le caratteristiche paratestuali migliorarono il libro e il suo utilizzo, e lâavvento della stampa non fece altro che potenziarle. Quando siamo di fronte a un libro a stampa generalmente non conosciamo il manoscritto da cui ha tratto origine e quindi non possiamo sapere se le scelte effettuate durante la composizione a caratteri mobili e la stampa hanno rispettato il codice originale o se gli editori e i tipografi vi hanno introdotto delle novitĂ finalizzate alla promozione o a quello che oggi chiameremmo âmarketingâ. Sappiamo perĂČ che sono state adottate tutte le strategie e tutti i meccanismi perchĂ© il libro potesse essere comprato, ed Ăš questa la funzione principale del paratesto, a partire dai frontespizi, la grande novitĂ rispetto al mondo del manoscritto, pensata per convincere qualcuno a investire del denaro per comprare unâopera.
Nel mondo degli incunaboli la maggior parte degli editori adottarono nelle loro pubblicazioni lâincipit o unâintitolazione, oppure solo il colophon, per dare le informazioni bibliografiche e tipografiche sullâopera. Lâincipit dei primi incunaboli poteva essere espresso in forma assoluta di titolo, come nelle Meditationes stampate a Roma nel 1467: «Meditationes reverendissimi patris domini Joahannis de Turrecremata»; oppure a moâ di riassunto, conformemente allâuso dei manoscritti, come nella prima edizione della Commedia di Dante stampata a Foligno: «Comincia la Comedia di Dante Alighieri di Fiorenze nella quale tratta delle pene et punitioni de vitii et demeriti et premii delle virtĂč. Capitolo primo della prima parte de questo libro lo quale se chiama inferno». Anche lâepistola stampata in quattro carte di Cristoforo Colombo con lâannuncio della sua scoperta apparsa a Roma nel 1493 presenta unâintestazione lunga, molto chiara ed esplicativa: «Epistola Christofori Colombi cui etas nostra multum debet: de insulis Indie supra Gangem nuper inventis».
Il colophon invece, in forma di triangolo, trapezio, rombo, o di altre figure geometriche, puĂČ essere considerato un antenato del frontespizio; lâuso fu perĂČ incostante nel tempo, come dimostrano molti libri sine notis. Non Ăš scomparso con lâarrivo della prima pagina: infatti nei libri moderni le informazioni prima presenti nei colophon, quali il nome dello stampatore o la data di pubblicazione, sono inserite alla fine del libro oppure sul verso del frontespizio, sebbene non ricoprano piĂč il ruolo che avevano nel libro antico, dove il colophon assecondava il desiderio del tipografo di comunicare la fine del lavoro manifestando anche una certa soddisfazione per lâimproba fatica compiuta attraverso espressioni come «laus Deo, gratia Dei» o avverbi come «feliciter», tipici nella prassi dei copisti. La seconda funzione del colophon era quella di dichiarare la paternitĂ dellâedizione, lâanno di produzione (nei manoscritti anche il giorno e il mese di fine della copiatura), il luogo di stampa, il nome dello stampatore, oltre a eventuali informazioni su altri personaggi che avevano contribuito a costruire il libro, come i miniatori o gli esecutori delle immagini incise o infine il libraio che lo aveva in vendita. Il colophon, in sintesi, non era altro che una dichiarazione di proprietĂ anche di carattere intellettuale, come dimostra il Plinio stampato a Venezia nel 1469 da Giovanni da Spira dove finge che sia lo stesso autore a parlare: «da cosĂŹ raro e fragile che ero divenuto, adesso Giovanni da Spira mi ha restituito ai Veneti».
Lâabitudine di concludere con questi dati potrebbe risalire al II millennio a.C., alla civiltĂ mesopotamica, mentre esempi piĂč tardi si possono trovare nelle tavolette in scrittura cuneiforme della biblioteca di Assurbanipal a Ninive, che narrano lâepopea di Gilgamesh. Poi ci sono i colophon attestati in ambito greco, da cui proviene il loro nome, che deriva dalla parola ÎșολοÏÏÌÎœ («cima, sommità ») usata in epoca bizantina per indicare la formula finale con la quale il copista forniva indicazioni sul suo lavoro, passata poi in Occidente nei manoscritti e, successivamente, nei libri a stampa, nei quali le informazioni si trasferirono in seguito sul frontespizio; tra le funzioni ci fu quella di ricordare e di âglorificareâ lâopera e chi lâaveva resa pubblica, ossia lâeditore.
Il frontespizio iniziĂČ a svilupparsi solo agli inizi del Cinquecento, quando intorno al libro tipografico andĂČ a costruirsi una rete commerciale sempre piĂč fitta e furono necessari contrassegni per distinguerlo sulle grandi vie di comunicazione. Lâelemento paratestuale â il cui nome era mutuato dal lessico architettonico del tardo Medioevo â fu una grossa novitĂ , destinata a indicare stabilmente la pagina iniziale di un libro, anche se non ebbe ovunque uguale, uniforme e rapido sviluppo. I frontespizi furono da subito, e in buona parte lo sono ancora, in costante trasformazione e presentavano una ricca casistica: câerano quelli con lâindicazione del solo autore o del titolo, oppure con entrambi, quelli con informazioni sullâedizione, sulla lingua del testo, sul privilegio, e cosĂŹ via. Anche i caratteri con i quali erano composti furono spesso soggetti a cambiamenti: nella prima fase presentavano lettere capitali molto grandi, poi modulate in corpi piĂč piccoli o in corsivo. I nuovi caratteri fusi allâinizio del Cinquecento diedero la possibilitĂ ai tipografi di migliorare lâapparato anche del frontespizio, che passĂČ dal presentare raffigurazioni architettoniche con incisi allâinterno gli elementi bibliografici a proporre immagini e motivi floreali, che perĂČ scomparvero durante il XVI secolo per lasciare spazio alle forme geometriche o ad altri ornamenti, come vasi, calici, putti, oppure al ritratto, veristico o idealizzato, dellâautore o del personaggio a cui era dedicata lâopera.
Il ruolo promozionale e comunicativo intervenne in un secondo momento perchĂ©, contrariamente a quello che si puĂČ pensare, in origine il frontespizio non era legato alla promozione di unâopera o allâesaltazione di un personaggio, ma assolveva solo al compito di protezione; non a caso, infatti, si presentava come una carta bianca posta sopra a tutti i fascicoli stampati per impedire alla prima pagina inchiostrata di sporcarsi allâinterno dellâofficina o durante il trasporto nella bottega del legatore e, in seguito, del libraio. Sul foglio veniva stampata una parte del titolo o solo una parola (celebre lâedizione della Vulgata stampata da Giorgio Arrivabene a Venezia nel 1487, preceduta da un foglio su cui era impressa solo la parola Biblia) per identificare il contenuto; tale sintesi troverĂ poi posto e si trasferirĂ nel contemporaneo âocchiettoâ posto sui margini superiori delle pagine. Il 1500 Ăš la data di affermazione del frontespizio, che da allora fu destinato a rispecchiare il gusto dei contemporanei oltre che le possibilitĂ tecnologiche, perchĂ© dalle cornici xilografiche utilizzate da Erhard Ratdolt, spesso intagliate da artisti di fama come DĂŒrer e Cranach, si passĂČ alle immagini calcografiche. Il primo esempio di una calcografia in un libro a stampa Ăš nel Monte santo di Dio, del 1477, mentre il primo esempio su un frontespizio Ăš attestato nellâOpuscolo della purita della conscientia del 1512.
Lâaccostamento di unâimmagine calcografica al testo composto tipograficamente non dava perĂČ un buon risultato estetico e soprattutto faceva alzare i costi di produzione perchĂ© richiedeva due passaggi sotto due torchi diversi: uno per la parte tipografica in rilievo, lâaltro per lâillustrazione in incavo. PoichĂ© era la parte incavata che doveva ricevere lâinchiostro (la parte della lastra che non doveva essere inchiostrata veniva ripulita) non era possibile accostarla nella forma ai caratteri tipografici in rilievo e quindi era necessario un ulteriore passaggio per la tiratura sotto un altro torchio a cilindro munito di una grande ruota a stella. A far lievitare i costi era anche lâusura della lastra dopo diversi passaggi al torchio.
Anche i frontespizi mutarono, perchĂ© dalla semplice enunciazione del titolo (come ad esempio Biblia) si passĂČ alla forma didattica del Rinascimento, fino al Manierismo e al Barocco del Seicento, quando i frontespizi divennero verbosi e prolissi. Di strada ne era stata fatta dai manoscritti, nei quali le forme di presentazione erano condizionate dallâestetica e non da ragioni informative o promozionali. Il codice era legato a una committenza stabilita e chi lo ordinava sapeva cosa gli sarebbe stato confezionato e consegnato dai pazienti copisti; si trattava di una produzione non in serie, che non dovendo essere immagazzinata non necessitava neppure di essere pubblicizzata per la vendita. Inoltre i titoli erano finalizzati a presentare un singolo e unico oggetto e riguardavano solo lâopera e quel preciso esemplare. Lâintroduzione dei caratteri mobili contribuĂŹ invece a costruire un nuovo contenitore, un frontespizio autonomo da destinare al titolo, allâautore, allo stampatore e al tipografo per descrivere lâopera e contemporaneaÂmente per pubblicizzarla. Con il tempo il frontespizio divenne anche lo spazio per dare risalto ai finanziatori, ai produttori e ai distributori:
Si avvertirĂ lâesigenza crescente di esaltare le virtĂč del libro che si presenta, magnificandone il contenuto, cantando le lodi della cura filologica o della traduzione, sottolineandone la novitĂ e lâaggiornamento, talvolta anche in modo poco corretto, come per le edizioni ârinfrescateâ, quelle cioĂš nelle quali un nuovo frontespizio veniva a presentare come rinnovato materiale stampato in realtĂ precedentemente. In poche parole bisognerĂ promuovere una merce e le aziende che agiscono sul mercato.
Talvolta era lâeditore a dare il titolo allâopera, come ci ricorda il caso della Commedia intitolata da Aldo Manuzio nellâedizione del 1502 Le terze rime di Dante. A tratti i titoli erano fortemente esplicativi, come quello apposto al Polifilo: «Hypnerotomachia Poliphili, ubi humana omnia non nisi somnium esse docet. Atque obiter plurima scitu sane quam digna commemorat». Non mancarono dei veri e propri componimenti in versi che fungevano da pubblicitĂ come gli endecasillabi sul frontespizio del giĂ citato Calendario del Regiomontano:
Questa opra da ogni parte e un libro dâoro / non fu piĂč preciosa gemma mai / dil Kalendario: che tratta cose asai / con gran facilita: ma gran lavoro / qui numero aureo: e tutti i segni fuoro / descripti dil gran polo da ogni lai: / quando ti sole: e luna eclipsi fai / quante terre se reze a sto thexoro. / In un instanti tu sai qual hora sia: / qual sara lanno: giorno tempo e mexe / che tutti ponti son dastrologia. / Ioanne de monte regio questo fexe: / coglier tal frutto acio no...