Nel corso di appena una decina dâanni Einstein, con le sue sole forze, riuscĂ a demolire il paradigma newtoniano, vecchio di secoli, proponendo una spiegazione della gravitĂ radicalmente nuova e ben piĂș profonda. Esperti e profani sono tutti prontissimi a cadere in deliquio di fronte allâassoluta genialitĂ e alla sovrumana originalitĂ dellâimpresa compiuta da Einstein nel creare la relativitĂ generale. Non si dovrebbero tuttavia perdere di vista le favorevoli circostanze storiche che contribuirono in modo determinante al successo di Einstein. La piĂș importante di queste Ăš costituita dalle scoperte matematiche di Georg Bernhard Riemann, che definirono su solide basi il formalismo geometrico per descrivere spazi curvi di dimensione arbitraria. Nella famosa lezione inaugurale tenuta allâUniversitĂ di Gottinga nel 1854, Riemann infranse la concezione euclidea dello spazio piatto e spianĂČ il cammino a una teoria matematica che democraticamente studi la geometria di qualsiasi tipo di «superfici» curve. Sono le scoperte di Riemann che forniscono gli strumenti matematici per analizzare in modo quantitativo spazi non euclidei come quelli illustrati nelle figure 3.4 e 3.6. Fu merito del genio di Einstein riconoscere che quellâarmamentario matematico era fatto su misura per formalizzare la sua nuova concezione della forza gravitazionale. La geometria di Riemann â dichiarĂČ Einstein audacemente â Ăš in accordo perfetto con la fisica della gravitĂ .
Oggi, quasi un secolo dopo il tour de force di Einstein, la teoria delle stringhe ci fornisce una descrizione quantistica della gravitĂ che, per forza di cose, modifica la relativitĂ generale quando le distanze in gioco diventano dello stesso ordine della scala di Planck. Dato che la geometria riemanniana Ăš il nocciolo matematico della relativitĂ generale, ciĂČ significa che anchâessa deve essere modificata per poter rispecchiare in modo adeguato la nuova fisica delle piccolissime distanze, tipica della teoria delle stringhe. Mentre la relativitĂ generale asserisce che le proprietĂ di curvatura dellâuniverso sono descritte dalla geometria riemanniana, secondo la teoria delle stringhe ciĂČ Ăš vero soltanto se si esamina la struttura dellâuniverso a scale sufficientemente grandi. A scale piccole quanto la lunghezza di Planck deve manifestarsi una geometria completamente nuova, che sia in accordo con la nuova fisica della teoria delle stringhe. Questo nuovo paradigma geometrico prende il nome di geometria quantica.
A differenza di quel che accade per la geometria riemanniana, non esiste alcun trattato geometrico giĂ bellâe pronto, sepolto magari in qualche scaffale di matematica, che i teorici delle stringhe possano consultare per la geometria quantica. Al contrario, fisici e matematici sono oggi strenuamente impegnati nello studio della teoria delle stringhe e, tassello dopo tassello, stanno mettendo insieme un settore del tutto nuovo della fisica e della matematica. Sebbene ci sia ancora molta strada da percorrere, queste ricerche hanno giĂ messo in luce molte nuove proprietĂ dello spaziotempo, che sono diretta conseguenza della teoria delle stringhe â proprietĂ che lo stesso Einstein avrebbe quasi certamente trovato eccitanti.
Lâessenza della geometria riemanniana.
Se saltate su un tappeto elastico, il peso del vostro corpo, stirando le sue fibre elastiche, lo farĂ deformare. Questo stiramento Ăš maggiore proprio sotto i vostri piedi e diventa quasi trascurabile verso il bordo del tappeto. Potete apprezzare chiaramente questo effetto dipingendo sul tappeto elastico unâimmagine facilmente riconoscibile, per esempio quella della Gioconda. Se nessun peso Ăš presente, la Gioconda ha il suo aspetto normale. Ma quando salite sul tappeto elastico, ecco che lâimmagine della Gioconda si distorce, soprattutto nella regione che sta sotto i vostri piedi, come si vede nella figura 10.1.
Figura 10.1.
Quando state in piedi sul tappeto elastico, lâimmagine della Gioconda subisce la distorsione maggiore proprio sotto di voi.
Questo esempio mette in luce il nocciolo della strategia matematica adottata da Riemann per descrivere spazi non piatti. Basandosi su precedenti intuizioni di matematici come Cari Friedrich Gauss, Nikolaj LobaÄevskij, Janos Bolyai e altri, Riemann mostrĂČ che unâaccurata analisi delle distanze fra tutti i punti di un dato oggetto geometrico fornisce un modo per quantificare la sua curvatura. In parole povere, quanto maggiore (e non uniforme) Ăš lo stiramento â cioĂš, quanto maggiore Ăš la deviazione dalle relazioni metriche che si misurano in uno spazio piatto â tanto maggiore Ăš la curvatura dellâoggetto geometrico. Lo stiramento del tappeto elastico, ad esempio, Ăš molto piĂș considerevole sotto i vostri piedi che altrove e perciĂČ le relazioni metriche fra i punti di questa regione sono quelle che risultano maggiormente alterate. Questa zona del tappeto elastico ha dunque la curvatura piĂș accentuata, in accordo con quanto ci si poteva aspettare, dato che proprio qui lâimmagine della Gioconda subisce la distorsione maggiore, tanto che lâombra di una smorfia affiora allâangolo del suo sorriso immancabilmente enigmatico.
Einstein diede alle scoperte matematiche di Riemann una ben precisa interpretazione fisica, mostrando, come abbiamo visto nel capitolo III, che la curvatura dello spaziotempo rappresenta la forza gravitazionale. Analizziamo ora piĂș attentamente questa interpretazione. Matematicamente, la curvatura dello spaziotempo â proprio come la curvatura del tappeto elastico â rispecchia la distorsione delle relazioni metriche fra i suoi punti. Fisicamente, la forza gravitazionale che agisce su un oggetto Ăš il riflesso diretto di tale distorsione. Immaginando di rendere lâoggetto sempre piĂș piccolo, la fisica e la matematica concordano con tanta maggior precisione quanto piĂș vicino si arriva a realizzare fisicamente lâastratto concetto matematico di punto. La teoria delle stringhe, tuttavia, pone un limite invalicabile alla precisione con cui la fisica della gravitĂ puĂČ ricalcare il formalismo geometrico di Riemann, dato che esiste un limite oltre il quale non possiamo rendere piĂș piccolo nessun oggetto: arrivati alle stringhe, dobbiamo per forza di cose fermarci. La nozione tradizionale di particella puntiforme nella teoria delle stringhe non esiste, il che Ăš essenziale affinchĂ© da essa sia possibile ottenere una teoria quantistica della gravitĂ . Tutto ciĂČ mostra in termini evidenti che i presupposti della geometria riemanniana, fondata sul concetto di distanza fra punti, a scale ultramicroscopiche vengono sovvertiti dalla teoria delle stringhe.
Si deve dire che tutto ciĂČ ha effetti minimi sulle applicazioni macroscopiche della relativitĂ generale. Nellâelaborare modelli cosmologici, ad esempio, i fisici trattano abitualmente le galassie come se fossero punti, dato che le loro dimensioni, paragonate a quelle dellâintero universo, sono ridottissime. Per tale ragione, anche se usati in questo modo un poâ grossolano, gli strumenti della geometria riemanniana forniscono unâapprossimazione molto precisa, come dimostra il successo della relativitĂ generale in ambito cosmologico. Nel mondo ultramicroscopico, tuttavia, il fatto stesso che le stringhe abbiano unâestensione implica che la geometria di Riemann non puĂČ essere il formalismo matematico giusto. Ă dunque necessario, come ora vedremo, sostituirlo con quello della geometria quantica della teoria delle stringhe, che conduce a risultati profondamente nuovi e inattesi.
Lo scenario cosmico.
Secondo il modello cosmologico del big bang, lâintero universo sarebbe scaturito da unâunica esplosione cosmica, avvenuta piĂș o meno 15 miliardi di anni or sono. Come fu scoperto da Hubble, ancor oggi possiamo osservare come le schegge di questa esplosione â vale a dire molti miliardi di galassie â seguitino ad allontanarsi lâuna dallâaltra: lâuniverso si sta espandendo. Non sappiamo se questa espansione continuerĂ per sempre o se, a un dato momento, rallenterĂ fino ad arrestarsi del tutto e farĂ quindi marcia indietro, generando unâimplosione cosmica. Gli astronomi e gli astrofisici stanno cercando di risolvere la questione sperimentalmente, dato che la risposta dipende da qualcosa che in termini di principio si puĂČ misurare: la densitĂ media di materia nellâuniverso.
Se la densitĂ media di materia Ăš superiore a una cosiddetta densitĂ critica, pari a circa un centesimo di un miliardesimo di un miliardesimo di un miliardesimo (10â29) di grammo per centimetro cubo â equivalente a circa cinque atomi di idrogeno ogni metro cubo di universo â allora il cosmo Ăš pervaso da una forza gravitazionale sufficiente ad arrestare lâespansione e a invertirne la direzione. Se invece la densitĂ media di materia Ăš inferiore alla densitĂ critica, lâattrazione gravitazionale Ăš troppo debole per fermare lâespansione cosmica, che continuerĂ dunque per sempre. (La nostra personale esperienza del mondo ci potrebbe indurre a credere che la densitĂ media di materia sia immensamente superiore al valore critico. Bisogna perĂČ tenere presente che la materia â come il denaro â tende ad ammassarsi. Pensare che la densitĂ media di materia della Terra, o del sistema solare, o anche della Via Lattea sia indicativa di quella dellâintero universo sarebbe come considerare il patrimonio di Bill Gates indicativo della ricchezza media dei comuni mortali. CosĂ come il patrimonio della maggior parte di noi Ăš insignificante se confrontato con quello di Bill Gates, e contribuisce dunque ad abbassare enormemente la media, nellâuniverso le galassie sono separate da regioni di spazio pressochĂ© vuoto, che fanno sĂ che la media complessiva della densitĂ di materia sia drasticamente inferiore).
Studiando accuratamente la distribuzione delle galassie nello spazio cosmico, gli astronomi si sono fatti unâidea piuttosto precisa di quale sia la quantitĂ media di materia visibile nellâuniverso, che risulta notevolmente inferiore al valore critico. Sussistono perĂČ numerose evidenze sperimentali e stringenti ragioni teoriche che depongono in favore dellâipotesi secondo cui lâuniverso Ăš pervaso di materia oscura. Si tratta di una materia che non interviene nei processi di fusione nucleare che riforniscono di energia le stelle e, perciĂČ, non emette luce, rimanendo cosĂ invisibile ai telescopi degli astronomi. Nessuno Ăš ancora riuscito a capire quale sia lâesatta natura della materia oscura, nĂ© tantomeno a calcolarne con precisione la quantitĂ esistente. Il destino del nostro universo resta dunque un enigma.
Supponiamo ora â Ăš solo unâipotesi â che la densitĂ di materia superi il valore critico: di conseguenza, nel lontano futuro arriverĂ il giorno in cui lâespansione si arresterĂ e lâuniverso comincerĂ a collassare su se stesso. Tutte le galassie inizieranno ad avvicinarsi lâuna allâaltra, dapprima con grande lentezza, poi sempre piĂș rapidamente, fino a raggiungere tutte quante una velocitĂ sbalorditiva. Dovreste cercare di immaginarvi lâintero universo che si comprime in una massa cosmica che continua a contrarsi sempre di piĂș. Secondo una sequenza inversa a quella illustrata nel capitolo III, dalle sue dimensioni massime di molti miliardi di anni luce, lâuniverso si rimpicciolirĂ fino ad arrivare a quelle di appena qualche milione di anni luce, acquistando istante dopo istante sempre maggiore velocitĂ e comprimendo ogni cosa in un ammasso delle dimensioni di una singola galassia, poi di una singola stella, di un pianeta, di unâarancia, di un pisello, di un granello di sabbia, e ancora continuerĂ a contrarsi, in accordo con le leggi della relativitĂ generale, arrivando alle dimensioni di una molecola, di un atomo, e finendo, in un inesorabile big crunch cosmico, con lâessere del tutto privo di dimensione. Questo sostiene la teoria tradizionale: lâuniverso ebbe origine con un big bang a partire da uno stato di dimensione zero e, se la sua densitĂ di massa Ăš abbastanza elevata, avrĂ termine con un big crunch, che lo riporterĂ in un analogo stato finale di compressione cosmica definitiva.
Ma quando le distanze divengono dellâordine della lunghezza di Planck, o addirittura inferiori, abbiamo ormai imparato che la meccanica quantistica toglie ogni valore alle equazioni della relativitĂ generale: dobbiamo far ricorso alla teoria delle stringhe. Ă quindi naturale porsi la seguente domanda: se nella relativitĂ generale di Einstein nulla vieta che la forma geometrica dellâuniverso possa diventare arbitrariamente piccola â proprio come in geometria riemanniana ogni spazio astratto puĂČ assumere le piĂș piccole dimensioni immaginabili â in che modo cambiano invece le cose nella teoria delle stringhe?
Come vedremo fra poco, anche in questo caso la teoria delle stringhe fissa un limite inferiore allâordine di grandezza delle distanze fisicamente accessibili e stabilisce, in modo nuovo e originale, che nessuna delle dimensioni spaziali dellâuniverso puĂČ mai contrarsi fino a diventare piĂș corta della lunghezza di Planck.
Con la familiaritĂ che abbiamo ormai acquisito con la teoria delle stringhe potremmo quasi essere tentati di azzardare una possibile risposta che spieghi come ciĂČ avvenga. In fin dei conti â si puĂČ argomentare â per quanti punti si accatastino lâuno sullâaltro (intendo, particelle puntiformi) il loro volume complessivo sarĂ sempre zero. Al contrario, se queste particelle sono vere e proprie stringhe che si ammassano tutte insieme con orientazioni completamente casuali, esse formeranno un minuscolo grumo di volume non nullo, una specie di pallottola delle dimensioni di Planck formata da elastici aggrovigliati. Se avete fatto questo ragionamento, siete sulla strada giusta, ma ancora non avete colto alcune essenziali, seppur sottili caratteristiche della teoria delle stringhe, dalle quali consegue, in modo davvero elegante, che per lâuniverso esiste una dimensione minima. Queste caratteristiche mettono in luce molto concretamente la novitĂ della fisica delle stringhe e i suoi effetti sulla geometria dello spaziotempo.
Per illustrare questi importanti aspetti prendiamo in esame un esempio che ci permetterĂ di eliminare molti dettagli non significativi senza pregiudicare la nuova fisica. Invece di considerare tutte le dieci dimensioni spaziotemporali della teoria delle stringhe â e nemmeno le quattro dimensioni estese che tutti conosciamo bene â torniamo al Tubuniverso. Abbiamo introdotto questo universo bidimensionale nel capitolo VIII, in un contesto antecedente alle stringhe, per spiegare alcuni aspetti delle intuizioni, risalenti agli anni venti, di Theodor Kaluza e Oskar Klein. Vogliamo ora usare questo modello come «scenario cosmico» per esplorare le proprietĂ della teoria delle stringhe in ipotesi semplici: le conclusioni alle quali giungeremo ci saranno utili per comprendere meglio tutte le dieci dimensioni spaziali previste dalla teoria. A questo scopo, supponiamo che la dimensione circolare del Tubuniverso, inizialmente bella pienotta, tenda ad assottigliarsi sempre di piĂș, avvicinandosi alla forma di Linelandia â una versione semplificata e parziale del big crunch.
La domanda alla quale cercheremo di rispondere Ăš la seguente: il fatto che nellâuniverso vi siano stringhe oppure particelle puntiformi modifica in maniera significativa le caratteristiche geometriche e fisiche di questo collasso cosmico?
La nuova caratteristica essenziale.
Per scoprire qual Ăš la nuova caratteristica essenziale della fisica delle stringhe non dobbiamo cercare chissĂ dove. Nel nostro ipotetico universo bidimensionale una particella puntiforme si puĂČ muovere soltanto nei modi illustrati nella figura 10.2: o il suo movimento si s...