Il ruolo formativo delle religioni storiche nelle società postsecolari
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Il ruolo formativo delle religioni storiche nelle società postsecolari

Pedagogia e Vita - Anno 76 (2018/3)

AA.VV.

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Rivista di problemi pedagogici, educativi e didattici
Editoriale
Fulvio De Giorgi - Secolarizzazione, secolarismo e cristianesimo. Appunti e ipotesi di interpretazione storica
Giuseppe Mari - Religione, laicità, educazione
Pierpaolo Triani - Il nuovo ruolo civico delle religioni nelle società pluralistiche e nel contesto post-secolare
Paolo Luigi Branca - Religiosità, religioni e radicalismi religiosi. Rischi e opportunità in ambito scolastico
Marcello Di Tora - I fondamenti dell'identità islamica e la modernità. Aspetti problematici di un confronto
Silvia Guetta - Ruolo formativo e civico dell'Ebraismo nelle società post-secolari
Livia Romano - Per una educazione universale. La via del Buddismo nelle società post-secolari
Elena Marta - I giovani e la religione oggi nelle società postmoderne
Giorgia Pinelli - Senso religioso e religiosità. L'educazione religiosa ai tempi del multiculturalismo
Lino Prenna - La cultura religiosa nella scuola italiana: oltre la marginalità
Maria Teresa Moscato - Famiglia ed educazione religiosa oggi
Giuseppe Acone - Pensare in pedagogia: sull'orlo dello stesso abisso

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Information

Year
2018
ISBN
9788838247705

1. Laicità: un concetto recente, ma carico di storia

A dispetto dell’etimologia, che lo riconduce al greco laós (“popolo”), il termine “laico” – come lo utilizziamo oggi – ha una storia più recente. Certo, già nel mondo ellenistico laikos viene utilizzato, nella Bibbia dei LXX per indicare ciò che non è consacrato a Dio. Un’accezione analoga troviamo in un antico scritto cristiano, la Prima lettera di Clemente ai Corinti [1] dove comincia ad assumere uno dei significati oggi correnti in ambito ecclesiale. Va tuttavia rilevato che, lungo il medioevo, il vocabolo non acquista il valore socio-politico, in riferimento alla tensione tra Stato e Chiesa, che identifica comunemente la “laicità” nei secoli della modernità. La ragione è semplice. Il medioevo esprime una diarchia tra potere imperiale e autorità religiosa (plasticamente raffigurata dalle due absidi nelle cattedrali bicefale della Renania) dove, pur non mancando le tensioni, non viene messo mai in discussione – dall’uno o dall’altra – che entrambi, seppur in misura diversa, concorrono a governare il creato. L’immagine dantesca dei “due soli” è eloquente al riguardo [2] .
Le cose cambiano quando, con l’avvento della modernità, si costituiscono gli Stati nazionali. Essendo giovani, sono fragili: quindi, la monarchia tende ad attribuirsi la pienezza della potestas, ridimensionando il peso politico della Chiesa che viene ricondotta all’interno dell’autorità regia: i fenomeni del “gallicanesimo” e dell’“anglicanesimo” sono esemplari di questo, ma, anche quando non si arriva alla costituzione di una Chiesa “nazionale”, il giurisdizionalismo ne configura comunque l’assoggettamento alla Corona. La “laicità” inizia così a identificare il passaggio di beni e prerogative dalla istituzione ecclesiastica a quella statale. Il fenomeno raggiunge l’acme con la stagione rivoluzionaria settecentesca, ma trova la sua più vivace (convulsa) espressione prima ossia a margine delle “lotte confessionali”.
Metto tra virgolette l’espressione perché, a dispetto della “vulgata”, identifica un fenomeno di matrice più politica che religiosa. Certo, l’odio confessionale è un dato di fatto e l’opposizione tra Riforma protestante e Controriforma/Riforma cattolica lo attesta tragicamente. Ma, se il movente fosse solo religioso, non comprenderemmo come mai, all’apice dello scontro (nella “Guerra dei trent’anni”), un paese retto da un cardinale (la Francia, con alla testa il Richelieu) sia sceso in campo a fianco dei protestanti svedesi contro la Casa d’Asburgo che si attribuiva la difesa del papato. Evidentemente la concorrenza tra Francia e Spagna per l’egemonia in Europa contava di più della difesa della fede, qualunque essa fosse. Sto indugiando su questo passaggio storico per due ragioni:
a) nel caos prodotto dallo scontro (che dilaniò il Centro-Europa: la Germania perse metà della popolazione), molte proprietà ecclesiastiche passarono in mano laica e vennero confiscate, questo processo essendo comunemente chiamato “laicizzazione”;
b) cominciò a farsi strada l’idea che la religione fosse un fattore più divisivo che unito, quindi prese avvio – ancorché in sordina – il fenomeno che avrebbe condotto a ritenere la fede un fatto privato, associando questa situazione alla “laicità”.
In realtà, non è vero che le parti religiose in campo – cattolici e protestanti – abbiano cercato solo lo scontro. Voglio qui ricordare la grande utopia comeniana della pansofia, intesa come il sapere universale che, divulgato attraverso la pampedia, avrebbe dovuto far riconoscere a tutti la coappartenenza ad un’unica comunità. Le parole del dotto umanista, che aveva conosciuto direttamente le atrocità consumate dalla violenza, sono eloquenti:

Davanti a una luce tanto splendente, sparirebbero facilmente le tenebre degli errori e – una volta impegnati gli uomini solo su cose solide e tesi a raggiungere, attraverso vie sicure e certe, fini seri – più facilmente cesserebbero i dissidi, le liti, le guerre, per cui ora il mondo va in rovina. La causa dei conflitti è la reciproca esasperazione degli animi; dell’esasperazione, l’irritazione; dell’irritazione, la diversità dei voleri; della diversità dei voleri, la discordia degli animi; della discordia la vana, avida e disordinata ricerca delle cose. Ma tutte le deviazioni, e cioè le occasioni di dissidio, di errore, di liti, spariranno, una volta trovata la via delle cose, che non potrà non essere che una, sola e semplice giacché è l’essenza della verità [3] .

È un proposito coraggioso, così come è coraggiosa – da parte di Papa Adriano VI – l’ammissione, alla Dieta di Norimberga, degli errori commessi dalla Chiesa romana, per bocca del nunzio Francesco Cheregato, a cui consegnò un Breve, datato 9 settembre 1522, così descritto dal Card. Sforza Pallavicino nella sua Storia del Concilio di Trento:

Imponeva [Adriano VI] oltre a ciò al Cheregato, ch’egli confessasse liberamente, conoscere il Papa che tal disordine era supplizio di Dio per le colpe spezialmente de’ Sacerdoti e de’ Prelati (…) abusi nello spirituale, eccessi nei comandamenti, e ’l tutto, in somma, pervertito. (…) Non essere maraviglia se l’infermità fosse scesa dal capo all’altre parti, cioè da’ Sommi Pontefici a’ Prelati minori: tutti essi aver peccato: e convenire che s’umiliassero l’anime loro e dessero gloria a Dio. (…) Quanto apparteneva a sé; aver lui fermo nell’animo di riformar la Corte [papale], acciocché quindi avesse principio la sanità onde fu originata la malattia [4] .

I tentativi di accordo non ebbero effetto e – com’è noto – si giunse a codificare il principio del Cuius regio eius religio che sancì non solamente l’incomponibilità della frattura, ma anche la prevalenza del potere laico sul piano religioso. Infatti, questa soluzione associava la religione ammessa in un dato luogo a quella professata da chi vi esercitava il governo, in gran parte soggetti secolari. Del resto, in ambito protestante, il venir meno dell’autorità papale mise le Chiese sotto il diretto controllo dell’autorità civile, molto più che della base congregazionale. Si verificò quindi una crescente ingerenza del potere politico che raggiunse l’apice nel regime giurisdizionalista. Il fenomeno interessò, seppur in modo diverso, anche il mondo cattolico, ma esplose nel XVIII secolo quando con l’illuminismo si verificò un’accentuazione della tendenza a laicizzare la cultura che avrebbe trovato, nella stagione rivoluzionaria, la propria trascrizione politica, condotta alle sue estreme conseguenze dalle secolarizzazioni napoleoniche.
L’idea di fondo è quella della privatizzazione della fede. Ad essa si giungeva non solo in seguito alle carneficine delle “lotte confessionali”, ma anche in forza del “relativismo” (così lo chiameremmo oggi) indotto dall’allargamento degli orizzonti culturali procurato dai viaggi d’esplorazione. Nel suo Supplemento al viaggio di Bougainville Diderot mette in bocca al thaitiano Oru, che replica al cappellano circa la pratica dell’incesto, queste parole: “Non metterai sotto accusa i costumi europei in base a quelli thaitiani, né di conseguenza i costumi di Thaiti in base a quelli del tuo paese” [5] . Nelle sue Lettere persiane Montesquieu adotta uno stile ironico per fare la caricatura dei costumi tradizionali, perché il loro estensore sarebbe un persiano che descrive ai compatrioti quello che trova in Europa. Ad esempio, a proposito di Papa e Vescovi così s’esprime:

Il papa è il capo dei cristiani. È un vecchio idolo, che ora viene incensato per abitudine. In altri tempi gli stessi sovrani lo temevano, perché poteva deporli (…), ma oggi non più. (…) I vescovi sono gente di legge a lui subordinata (…) quando sono riuniti fanno, come lui, articoli di fede, da soli non hanno altra funzione che quella di dispensare dall’eseguire la legge. Saprai che la religione cristiana è piena di una infinità di pratiche difficilissime, e, avendo ritenuto che adempiere ai propri doveri è meno facile che tenere dei vescovi dai quali essere dispensati, per l’utilità pubblica si è preferito il secondo sistema [6] .

Con simili premesse, non stupisce che, in area francese, abbia preso forma la convinzione che “laicità” significhi rimozione dallo spazio pubblico della fede religiosa per sostituirvi una conoscenza perfetta e indiscutibile, quella scientifica. La “canonizzazione” di quest’idea è avvenuta con l’imporsi dell’illuminismo e del positivismo, ed è ben espressa da questo intervento di Volney, risalente al 1791:

Il conseguimento dell’unanimità d’opinione postula previamente il raggiungimento della certezza, cioè che le acquisizioni intellettuali corrispondano perfettamente ai modelli a cui si riferiscono (…) [che devono] essere sottomessi alla percezione sensoriale. (…) Da ciò concludiamo che, per vivere nella concordia e nella pace, occorre essere d’accordo a non affermare nulla sugli oggetti [che non sono percepibili dai sensi], (…) occorre tracciare una linea di demarcazione fra gli oggetti verificabili e gli oggetti non verificabili, e separare con una barriera inviolabile il mondo degli esseri fantastici dal mondo della realtà: la qual cosa significa togliere ogni effetto civile alle opinioni teologiche e religiose [7] .

Ho prima parlato di “canonizzazione”, ora adotto un’ulteriore immagine religiosa affermando che dalle parole di Volney lo spazio pubblico è “consacrato” ad una “fede” del tutto mondana: quella nella scienza. Del resto, sono stati proprio i positivisti francesi ad impostare una visione del mondo in cui è chiara la trascrizione secolare dei costumi confessionali: calendario, santi, liturgie… Il documento pedagogico più eloquente – in proposito – è il Code Soleil, detto anche Livre des Instituteurs che, dal 1923 al 1979, ha orientato la morale professionale dei docenti d’Oltralpe. La sua lettura mostra una interpretazione del docente come “consacrato”: si parla di “vocazione”, si elogia il “celibato” (come dedizione totale), si esorta ad assumere la “missione” educativa [8] … In altre parole, nell’habitat postrivoluzionari...

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