La Piuma - tra cielo e terra
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La Piuma - tra cielo e terra

About this book

Questo libro è il racconto di un'esperienza in grado di trasformare radicalmente la vita di una persona, il Cammino di Santiago. Un viaggio – fatto di incontri, paesaggi, speranze, indecisioni, fatica – che mi ha permesso di scoprire il percorso che dall'io conduce al noi. Un percorso non facile, lungo il quale ho combattuto interiormente una battaglia: quella di un Castello a difesa di una Piuma, simbolo di una purezza che l'umanità, ai nostri giorni, rischia di perdere per sempre.

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INDICE

Prima parte – I passi del cammino
Il tribunale
Sei giunto a metà, vuoi continuare il cammino?
Le mie origini
L’hospital
Todo cambia
Come un chicco di grano
L’arrivo a Santiago
Botafumero
Finis Terrae
La Piuma
Seconda parte – Verso una nuova vita
Desiderio di eternità
Il cammino del noi
Appendice
Ringraziamenti
Beato te, pellegrino,
se ti rendi conto che il vero cammino
comincia dove finisce la strada.
Beatitudini del Pellegrino
Ai cristiani, agli yazidi e ai musulmani sciiti di Mosul, perseguitati dall’Isis.
Prima parte – I passi del Cammino
IL TRIBUNALE
Il trambusto rendeva le parole lontane e indecifrabili. Vedevo volti intenti a fissare un uomo.
Erano volti furiosi.
Mi avvicinai.
Al centro della stanza c’era una persona, l’unica a rimanere in piedi.
Tremava. Senza cintura i pantaloni larghi tendevano a cadergli giù dai fianchi. Alcuni sgherri gli stavano appresso e lo deridevano riempiendolo di insulti, altri gli sputavano addosso picchiandolo con dei bastoni.
Compresi di trovarmi all’interno di un’aula di tribunale, e che quell’uomo era l’imputato.
Alla sua destra era posizionata la giuria, mentre il giudice, un uomo torvo, curvo e pallido, restava con lo sguardo proteso in avanti alla ricerca del minimo sospetto per farlo cadere in errore. Tra un’invettiva e l’altra prorompeva in micidiali colpi di tosse.
«Sei qui perché non hai rispettato la legge. Abbiamo la prova che hai pensato con la tua testa. E questo non è previsto dalla nostra giurisdizione!»
Ancora in stato confusionario l’uomo si preoccupava più dei pantaloni che gli cadevano che di quanto gli veniva detto.
Improvvisamente il giudice gli puntò il dito contro.
«Imputato AB2X, come hai potuto commettere questo abominio? Hai tradito la fiducia che ti era stata data. Sei un sovversivo! Ti seguiamo da tempo, e finalmente abbiamo la certezza che sei un nostro nemico. Ti sei guardato dentro per migliorarti. La corte decreta la sentenza definitiva: condannato a restare immobile per tutto il resto della tua vita.»
La giuria, scandendo ripetutamente le parole della sentenza, pronunciò all’unisono:
«Immobile per tutto il resto della tua vita!»
Il giudice riprese a parlare, urlando ancora più forte.
«Imputato AB2X, sei accusato di esserti tolto la maschera dal volto. Lurido verme, da quando siamo nel Castello questo è vietato. Hai sperato! E la legge stabilisce la divisione, l’odio reciproco e l’incomunicabilità. Ti dichiari colpevole per i reati commessi?»
L’uomo, tremante, rispose: «Sì».
«Quando avremo la Piuma tu morirai.» E rivolto alle guardie: «Portatelo nella sala delle torture».
L’uomo si dibatteva cercando di liberarsi, ma senza riuscirci. I suoi piedi erano come bloccati a terra. Gridava ma dalla sua bocca non usciva parola.
«Sei condannato a espiare le tue colpe e i tuoi rimpianti nella tristezza e nel dolore. Non potrai mai più camminare!»
Le urla di quell’uomo mi provocarono un sussulto. Mi accorsi che anch’io stavo gridando. Poi riuscii a vedere il suo volto.
Ero io.
SEI GIUNTO A METÀ, VUOI CONTINUARE IL CAMMINO?
25 luglio 2014
Quella sembrava una delle solite mattine d’estate, afosa, scandita dai consueti appuntamenti di lavoro. E come in ogni torrida mattina d’estate cercavo di convincermi che avrei sopportato il caldo senza azionare l’aria condizionata dell’auto. Solitamente resisto almeno per un po’. Ma verso le nove e mezza il condizionatore era già in funzione.
Mi trovavo in prossimità di un ponte, quando la mia attenzione si soffermò su un lenzuolo affisso, come tanti se ne vedono lungo provinciali e autostrade. Sopra c’era scritto:
Sei giunto a metà, vuoi continuare il cammino?
Stupito e incuriosito al tempo stesso, mi domandai a chi fosse indirizzato quel messaggio: forse una sorta di caccia al tesoro di paese? Oppure più semplicemente uno scherzo organizzato per un addio al celibato? Per qualche minuto mi soffermai sul senso di quelle parole, ma non trovandovi alcun significato sorse in me un’ulteriore domanda.
E se quel messaggio fosse rivolto a me?
Mi ero svegliato presto quella mattina, e avvertivo ancora una strana ansia... forse un incubo di cui non avevo memoria. Mentre guidavo continuava a rimbalzarmi nella testa quella frase, come una pallina di un flipper. Sei giunto a metà, vuoi continuare il cammino? Dopotutto avevo trentotto anni...
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita...
E mi convinsi che sì, quel messaggio era rivolto anche a me. Era una domanda al senso della vita. Parole inequivocabili, un segno nel tempo della mia storia.
In quella prima metà di “cammino” non avevo mai creduto fino in fondo nelle mie capacità. C’era sempre una tristezza, un certo pessimismo, che affiorava all’improvviso. Ed ecco che la speranza veniva vanificata: mi sentivo come un prigioniero che deve scontare la pena per le colpe commesse e continua a recriminare per gli errori passati.
Ogni volta mi riproponevo di imprimere una svolta in positivo alla mia esistenza ma, a un passo dall’arrivo, tornavo inesorabilmente indietro. Bloccato nella palude dello scoramento.
Continuavo a guidare.
Superato il ponte mi ritrovai di colpo a rallentare a causa di una vettura che transitava a rilento davanti alla mia.
Mi misi a ingiuriare, a prendermela col destino, a picchiare colpi col volante, e neppure mi accorgevo che ormai quella macchina la potevo tranquillamente sorpassare.
Ma niente, preferivo restare dietro, a sfogare tutto il mio livore contro il guidatore della macchina, ignaro capro espiatorio delle mie lamentele.
Riconoscendomi grande esperto in materia, ammisi a me stesso che il più frequente alibi per restare immobile è l’autocommiserazione. Quasi una comfort zone, dove non si rischia nulla. Perché in fondo si sta bene in una simile condizione, come all’interno di una bolla dove non si sentono rumori esterni; vengono percepiti soltanto quelli che provengono dalle proprie paure e insicurezze, zavorre che ostacolano un percorso di cambiamento.
Nonostante tutto, da tempo avevo il desiderio di andare oltre quello stato. Volevo compiere dei passi concreti verso un rinnovamento interiore, pur non sapendo però ancora da dove iniziare.
Mi convinsi che dovevo cambiare prospettiva.
Sì, ma come fare?
*
La risposta arrivò inaspettatamente. In quei giorni incontrai il mio amico Riccardo, appena tornato dal Cammino di Santiago. Ricordo ancora i suoi occhi, illuminati come se avessero visto qualcosa di straordinario, al di là della ragione.
Ecco cosa stavo cercando. Ecco come avrei portato a compimento quel progetto di cambiamento che sentivo già in atto e che aspettava soltanto la mia adesione.
Restai infatti talmente colpito dal suo sguardo che decisi all’istante di partire anch’io.
Avrei dovuto andare in Terra Santa, quell’estate, ma a causa della guerra tra Israele e Hamas nella striscia di Gaza – una guerra assurda e senza senso che continuava a causare morte e distruzione, alimentando il desiderio di vendetta e l’odio da consegnare in eredità alle future generazioni ­– il viaggio era stato rimandato all’anno successivo.
Prenotai così il volo per Madrid, progettando di iniziare il Cammino il 19 agosto.
Quello fra me e Riccardo si rivelò un passaggio di consegne: come gli atleti che gareggiano in staffetta, anche Riccardo mi passò il testimone.
Terminata la sua corsa sarebbe iniziata la mia.
Nei suoi occhi c’era la gioia di chi ha visto qualcosa di talmente bello da non poter essere soltanto trattenuto per sé. Era qualcosa che doveva essere condiviso. E lui lo stava facendo con me.
Lo compresi realmente la sera in cui mi donò la sua personale conchiglia del pellegrino, il simbolo che rappresenta il Pellegrinaggio verso Santiago de Compostela e resta legato allo zaino per l’intero Cammino. Eravamo insieme ad altri amici, nella confusione, ma ugualmente percepii l’emozione di un vero e proprio rituale.
Mi aveva trasmesso lo spirito del pellegrino.
Così, come nella sua persona e nella sua influenza ultraterrena Virgilio guidò Dante, il mio amico fece lo stesso con me, invitandomi a mettermi in cammino per incontrare altre persone, per condividere con loro il sapore del viaggio.
Non esiste un vero viaggio senza un vero testimone.
«Simone» mi disse, «non puoi trovare la strada da solo, se così fosse il Cammino non servirebbe a niente. Il pellegrino deve uscire da se stesso.»
Pur nell’entusiasmo dell’imminente partenza non riuscivo a comprendere fino in fondo il senso di quelle parole. Cosa significava uscire da se stessi? Dopotutto il Cammino era una mia esigenza, e avrei voluto goderne ogni attimo trattenendolo per me. Portando a casa un’esperienza da ricordare.
Riccardo mi spiegò anche quale fosse l’attrezzatura indispensabile da portare appresso, e mi rassicurò su ogni mia preoccupazione e timore. Come un vero testimone si limitò a trasmettermi soltanto la gioia per la bellezza incontrata. Salutandomi mi fece un augurio.
«Buon cammino, pellegrino, custodisci nel cuore tutte le scoperte che incontrerai lungo la strada, perché saranno uniche e inimmaginabili. Qualsiasi cosa ti accadrà non aver paura perché non sarai solo.»
*
Giunsi così alla vigilia della partenza, incredulo che da lì a poco sarei rimasto soltanto con uno zaino contenente lo stretto indispensabile.
Avrei accettato quei limiti?
Sarei stato capace di custodire le emozioni del Cammino per farne tesoro al mio ritorno a Milano?
Era sera, ricordo che improvvisamente sentii dolermi l’alluce del piede destro. Ma non mi preoccupai più di tanto e mi addormentai.
Il mattino seguente mi svegliai molto presto per sistemare gli ultimi preparativi del viaggio. D’istinto scesi dal letto, appoggiai i piedi a terra e cacciai un urlo.
L’alluce era gonfio, anzi gonfissimo: un’infezione, senza dubbi.
Mi fiondai in farmacia per acquistare un antinfiammatorio, e il medico mi consigliò di curare la zona infetta restando a riposo. Gli risposi che stavo per partire per il Cammino di Santiago.
«Fra qualche giorno sarà a posto» mi rincuorò lui.
«Veramente ho l’aereo fra tre ore» gli risposi di getto.
Mi fissò senza espressione per un lunghissimo istante. Dando uno sguardo alla fila di gente dietro di me, concluse la nostra breve conversazione con una frase di circostanza.
«Credo che lei non debba partire.»
Ma io dovevo partire...
LE MIE ORIGINI
18 agosto
Atterrato a Madrid l’alluce mi faceva ancora pi...

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