Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità - I
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Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità - I

Figure della soggettività e imitatio dal Romanticismo al Decadentismo

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Metamorfosi dei topoi nella poesia europea dalla tradizione alla modernità - I

Figure della soggettività e imitatio dal Romanticismo al Decadentismo

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«Questa ricerca parte dal celebre studio Europaeische Literatur und Lateinisches Mittelalter (La letteratura europea e il Medio Evo latino) del 1948 dove Ernst Robert Curtius ricostruisce una linea di continuità tra antichità classica e letteratura europea moderna sulla base comune della letteratura latina medievale.
Al progetto dello studioso tedesco, già concepito una ventina d'anni prima, era anche sotteso un intento politico, quello di individuare l'unità di questa tradizione nello spazio e nel tempo a fronte del caos spirituale contemporaneo avviato a deflagrare nel conflitto mondiale. Dello studioso spicca una immagine nella memoria che è a suo modo eroica, quella di un uomo che lavorava, negli ultimi anni della seconda guerra mondiale, in una modesta biblioteca privata, dentro a un appartamento le cui finestre erano state frantumate dalla esplosione delle bombe.
Qualcuno ha definito Curtius un «umanista della guerra fredda», alludendo al suo conservatorismo politico; ma quel progetto concepito negli anni '20-'30 della «trahison des clercs» appare come una risposta coerente alla grande sfida intellettuale e politica come la si percepiva in Germania in quegli anni, allorché egli portò a coscienza l'imminente caduta della «mente germanica», reagendo alla Krisis con la proposta di un umanesimo integrale fondato sulla retorica antica e, nella modernità, sulle sue matrici cristiane…»
Sergio Zatti

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Information

PIER VINCENZO MENGALDO

FINESTRA, MURO, NEBBIA…:
FIGURE DELL’OSTACOLO E DELL’ESCLUSIONE

Prendo le mosse, come mi permetterò di fare spesso, da un testo non italiano né ottocentesco, Il ladro di ciliege di Brecht nella traduzione di Franco Fortini cui si deve la versione delle Poesie di Svendborg che lo contiene più la cosiddetta Raccolta Steffin, corredate da una breve ma intensa Introduzione che ha il suo centro proprio nel ragionamento intorno a questa poesia e al suo valore allegorico; leggo il testo di Brecht:
An einem frühen Morgen, lange vor Hahnenschrei,
Wurde ich geweckt durch ein Pfeifen und ging zum Fenster.
Auf meinem Kirschbaum, Dämmerung füllte den Garten,
Saß ein junger Mann mit geflickter Hose
Und pflückte lustig meine Kirschen. Mich sehend
Nickte er mir zu, mit beiden Händen
Holte er die Kirschen von den Zweigen in seine Taschen.
Noch eine ganze Zeitlang, als ich wieder in meiner Bettstatt lag,
Hörte ich ihn sein lustiges kleines Lied pfeifen1.
Naturalmente non mi soffermo sugli aspetti ideologici del testo (Fortini parla per esempio della «invincibilità del povero», della «sua irresistibile libertà segreta», ma io metterei piuttosto l’accento sulla nota simpatia di Brecht, non so quanto fedelmente marxista, per tutto ciò che è anarchico, come del resto finisce per fare implicitamente il prefatore). Ma ecco cosa scrive lo stesso Fortini: «È la situazione della finestra ossia della esclusione: un “luogo” simbolico della poesia contemporanea»2 ecc.: il che si può facilmente riformulare nella opposizione fra interno ed esterno, mentre non è inutile porre anche l’accento, come non sorprende in Brecht, sul carattere intensamente teatrale della breve lirica e perciò sull’equazione implicita finestra=sipario, a proposito della quale viene opportunissimo un verso come sempre pregnante di Baudelaire: «Haïssant le rideau comme in hait un obstacle…»3.
Dunque, la finestra come ostacolo ed esclusione (in una sua poesia, In tenebris, I, non è inutile aggiungere che Thomas Hardy parla analogamente di «scena di separazione»). A un italiano non può non venire subito in mente l’inizio della Sera del dì di festa di Leopardi, e d’altra parte che lo stesso tema ricorre più di una volta nelle liriche amorose di Di Giacomo (per accennare soltanto alla più famosa: A Marechiare); e soccorrono molti testi poetici stranieri, come Alla njanja di Puškin («Tu intristisci alla finestra/ quasi fossi di sentinella» ecc.), o Sera d’inverno dello stesso, o Leigh Hunt, Una notte di pioggia d’estate: «Open the window, and let the air/ Freshly blow upon face and hair»4, o, molto significativa, La candela della Mansfield («But the awful thing was the window:/ I could not think what was outside./ No tree to be seen, I was sure,/ No nice little plant or friendly pebbly path»5, ecc., mentre in cinque versi isolati di Browning, Serenata alla villa, XII, si susseguono la finestra e il cancello di ferro, variante del «muro» di cui parlerò. E forse si può citare anche Heine, Libro dei canti:
Wasserfahrt
[…] Ich kam schön Liebchens Haus vorbei,
Die Fensterscheiben blinken;
Ich guck’ mir fast die Augen aus,
Doch will mir niemand winken.
[…]6.
S’intende poi che la «finestra» può porsi anche come ostacolo che viene, almeno intenzionalmente, superato. Così ad esempio in La morte del rimpianto di Hardy dove la persiana, the shutter, ricorre tre volte, o in questo Carducci, Ad Annie: «Batto alla chiusa imposta con un ramicello di fiori/ glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o Annie» (seguono alcune analogie): certo l’imposta, così gentilmente sollecitata, si aprirà; o invece la possibile visione è respinta, come nell’incipit di questa lirica di Hardy, Chiudi fuori quella luna: «Close up the casement, draw the blind,/ Shut out that stealing moon»7, che rovescia il tema inverso al nostro, cioè la finestra come veicolo di rapporto fra l’interno e l’esterno, scoperta, novità, ecc. che pure si potrebbe largamente documentare. E d’altra parte in uno dei suoi Petits poèmes en prose, num. xxxv, che si intitola appunto Le finestre, Baudelaire rovescia il senso del tema stesso «Celui qui regarde au dehors à travers une fenêtre ouverte, ne voit jamais autant de choses que celui qui regarde une fenêtre fermée»8, ecc.
Ma da questo tema specifico è bene passare per un attimo a quello generale, o arci-tema, che lo comprende: se non altro per osservare che il sottotema più completo e tipico (nonché più tragico) che realizza l’arci-tema è senza dubbio quello rappresentato dalla letteratura di prigionia e ancor più, più di recente, da quella concentrazionaria: su entrambe non è il caso che mi soffermi, o soltanto per ricordare che l’Ottocento italiano è ricco di noti resoconti di una prigionia (Pellico, Bini, Settembrini ecc.; e nel teatro musicale si può pensare soprattutto all’inizio del II atto del Fidelio di Beethoven e a quello del IV atto del Trovatore di Verdi); e per ricordare anche che non è infrequente il caso in cui si pone che la mente individuale può superare verso un pensiero di libertà il recinto costrittivo della prigione: così ad esempio nel Corno magico del fanciullo di Arnim-Brentano:
Der Gefangene
Und sperrt man mich ein
Im finstern Kerker,
Dies alles sind nur
Vergebliche Werke;
Denn meine Gedanken
Zerreißen die Schranken
Und Mauern entzwei,
Die Gedanken sind frei9.
Prendiamo invece un altro sotto-tema, quello del muro (o recinto, steccato, staccionata e anche cancello ecc.): questo, se non erro, è poco rappresentato nella poesia italiana e anche straniera dell’Ottocento (una eccezione potrei indicare ne Il muro, The Wall, appunto, di Browning), mentre diviene vivissimo e molto significativo in quella del Nove (in Italia si possono citare subito Montale, Sereni, Caproni e Fortini su cui tornerò). Mi si consenta allora di appellarmi a uno dei più grandi racconti che siano mai stati scritti, Tre anni di Cechov, inizi immediati del Novecento. Rientrando a casa il protagonista, Laptev, si siede nel proprio cortile, lo stesso che aveva felicemente frequentato da bambino, e al di là di uno steccato sente, nel cortile dei vicini, prima «passi leggeri» poi tenere parole d’amore e baci di due giovani di cui può cogliere «pers...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Colophon
  4. Indice
  5. Introduzione di Sergio Zatti
  6. Nota bibliografica
  7. SERGIO ZATTI: Curtius e la modernità
  8. PAOLO TORTONESE: L’occhio dell’anima: una metafora antica nel romanticismo
  9. FRANCO D’INTINO: Sittranzi grolia munni. La topica sepolcrale nella poesia italiana ... tra Sette e Ottocento (da Cesarotti a Belli)
  10. ROCCO CORONATO: Apollo, le Muse, il sé. Invocazione e caduta in Coleridge e Keats
  11. DIEGO SAGLIA: «Places of nestling green, for poets made»: il locus amoenus nella poesia inglese dell’anno 1819
  12. ALESSANDRO FARSETTI: «Portai la mia vivace musa/ nel caos di feste e sfrenate dispute»: sui topoi della poesia russa in epoca romantica
  13. SERGIO PEROSA: No topoi: siamo americani (Whitman/Dickinson)
  14. ANDREA SCHELLINO: Dal topos al poncif: ridefinizione del luogo comune nell’Ottocento francese
  15. AMELIA VALTOLINA: Il fondo cavo del significare: metamorfosi di un topos dalla poesia romantica ai versi di R. M. Rilke
  16. PIER VINCENZO MENGALDO: Finestra, muro, nebbia…: figure dell’ostacolo e dell’esclusione