19 luglio 1992 - 19 luglio 2012. Due anni di stragi - Vent'anni di trattativa
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A vent'anni dalla morte di Paolo Borsellino e dalla campagna stragista di Cosa Nostra restano i misteri sulla gestazione della Seconda Repubblica.

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Yes, you can access 19 luglio 1992 - 19 luglio 2012. Due anni di stragi - Vent'anni di trattativa by Sandra Amurri, Giampiero Calapà, Gian Carlo Caselli, Nando dalla Chiesa, Enrico Fierro, Peter Gomez, Marco Lillo, Giuseppe Lo Bianco, Antonio Padellaro, Sandra Rizza, Marco Travaglio in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Politics & International Relations & Terrorism. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.
3 Romanzo di una trattativa
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Quelle larghe intese tra lo Stato e la mafia
di Marco Travaglio
da «il Fatto Quotidiano», 7-9 dicembre 2011
Qualcuno trattò con la mafia per una malintesa “ragion di Stato”, qualcun altro per salvarsi la pelle, altri ancora per fermare le stragi di mafia che avevano messo in ginocchio l’Italia, altri infine per favorire Cosa Nostra in cambio di voti. Ma il risultato delle trattative – che sono almeno tre, nel biennio terribile 1992-1994 – fu comunque devastante: Cosa Nostra, che con la svolta terroristica di Riina, di Bagarella e dei Graviano, aveva gettato le basi per la sua fine, rinacque a nuova vita, grazie a una formidabile arma di ricatto sulla politica tutta: una cambiale che forse non ha ancora finito di incassare dallo Stato. Ecco l’agghiacciante conclusione a cui è giunta la Procura di Palermo nell’indagine sui negoziati Stato-mafia che fecero da sfondo alle stragi del 1992-‘93 e che hanno condizionato la politica negli ultimi 17 anni. Di questo ha parlato o dovrà parlare nei prossimi giorni davanti ai pm una lunga fila di politici, ufficiali dei Carabinieri, dirigenti delle forze dell’ordine e del Dipartimento amministrazione penitenziaria (Dap). In veste di testimoni, con l’obbligo di dire la verità. Possibilmente, tutta.
1985-1987. Il rapporto di pacifica convivenza tra lo Stato e Cosa Nostra entra bruscamente in crisi quando il Pool antimafia di Falcone, Borsellino e altri valorosi magistrati alza il tiro delle indagini e, col maxi-processo alla Cupola nato dalle rivelazioni dei primi pentiti Tommaso Buscetta, Totuccio Contorno e Nino Calderone, comincia a occuparsi anche di politici: Vito Ciancimino e i cugini Nino e Ignazio Salvo. Con l’arresto dei primi intoccabili, tutti dirigenti della Dc siciliana, ben si comprende che nulla sarà più come prima.
1987. La reazione di Cosa Nostra al maxi-processo non si fa attendere: la mafia decide di punire la Dc dirottando i suoi voti in Sicilia sul Psi e, in misura minore, sui Radicali (ritenuti utilissimi per il loro ipergarantismo). Per agganciare Craxi, o qualcuno del suo entourage, nel novembre 1986 il boss catanese Nitto Santapaola organizza un attentato dimostrativo alla villa milanese di Silvio Berlusconi, in via Rovani, nel tentativo di usare come tramite un vecchio amico dei mafiosi ben inserito in casa del Cavaliere: Marcello Dell’Utri. Alle elezioni politiche del 1987 la mafia vota e fa votare per il Psi, che in Sicilia candida come capolista Claudio Martelli. Nel 1989 gli attentati mafiosi a Catania contro i grandi magazzini Standa (all’epoca di proprietà di Berlusconi), interrotti – secondo i giudici – grazie alla mediazione del solito Dell’Utri.
1991. Il rapporto coi socialisti delude Cosa Nostra, che torna ad appoggiare la Dc alle elezioni siciliane, facendo eleggere deputato regionale – sempre secondo i magistrati – l’andreottiano Giuseppe Gianmarinaro. Anche perché i cugini Salvo e il plenipotenziario di Andreotti nell’isola, Salvo Lima, hanno garantito che il maxi-processo verrà annullato in Cassazione dal solito giudice Corrado Carnevale, detto l’“Ammazzasentenze”.
1992, GENNAIO. Grazie alla rotazione dei presidenti alla Suprema Corte – sollecitata dal ministro della Giustizia del governo Andreotti, Claudio Martelli, su input del direttore degli Affari penali Giovanni Falcone – a presiedere il collegio del “maxi” non è Carnevale, ma Arnaldo Valente. Il 30 gennaio la Corte conferma le condanne dei boss, molti dei quali non usciranno vivi dal carcere.
1992, FEBBRAIO-MARZO. La reazione di Riina, delegittimato agli occhi dei padrini detenuti e dell’organizzazione tutta, contro i politici che l’hanno “tradito”, è rabbiosa e feroce: il 12 marzo fa assassinare l’eurodeputato Salvo Lima e, pochi mesi dopo, l’altro garante del patto non rispettato, Ignazio Salvo (il cugino Nino è morto per conto suo qualche mese prima). Ma nel mirino del capo dei capi ci sono anche altri politici considerati “traditori”: i siciliani Calogero Mannino (Dc, ministro del Mezzogiorno nel governo Andreotti), Carlo Vizzini (Psdi, ministro delle Poste e Telecomunicazioni), Sebastiano Purpura (Dc, corrente Lima, assessore regionale al Bilancio) e Salvo Andò (dirigente socialista catanese e futuro ministro della Difesa), più Claudio Martelli (Psi, ministro della Giustizia, eletto in Sicilia nel 1987) e l’allora premier Giulio Andreotti, senatore a vita e favoritissimo per il Quirinale (la cui corrente ha la sua magna pars nell’isola). Gli interessati lo sanno in tempo reale. Il 16 marzo, in una nota riservata del capo della Polizia Vincenzo Parisi che cita una fonte anonima e che è stato rinvenuto di recente dagli inquirenti, si legge: “Sono state rivolte minacce di morte contro il signor Presidente del Consiglio e i ministri Vizzini e Mannino... Per marzo-luglio campagna terroristica con omicidi esponenti Dc, Psi et Pds, nonché sequestro e omicidio futuro presidente della Repubblica (Andreotti, ndr)... Strategia comprendente anche episodi stragisti”. Quattro giorni dopo, in commissione Affari costituzionali del Senato, il ministro dell’Interno Vincenzo Scotti parla di un “piano destabilizzante” contro lo Stato. Tangentopoli intanto, detonata il 17 febbraio con l’arresto di Mario Chiesa, demolisce dalle fondamenta una classe politica che non si regge più in piedi. Cosa Nostra si attiva subito per crearsi nuovi referenti politici intorno a vaghi progetti secessionisti (le famose “leghe meridionali”), sul modello della Lega Nord che spopola nel Lombardo-Veneto.
1992, APRILE-MAGGIO. Accantonato il progetto di eliminare Andreotti, o uno dei suoi figli, a causa delle eccezionali misure di sicurezza che li circondano, Riina ordina di eseguire una condanna a morte emessa da tempo: quella contro il simbolo del “maxi”, Giovanni Falcone. “Quando venne ucciso Lima – racconterà Giovanni Brusca – Riina mi disse che Ciancimino e Dell’Utri si erano proposti come nuovi referenti per i rapporti con i politici”. Il 21 maggio Paolo Borsellino rilascia una clamorosa intervista a due giornalisti francesi di Canal Plus, in cui parla di vecchie e nuove indagini sul mafioso Vittorio Mangano, già “stalliere” ad Arcore, e sui suoi rapporti con Berlusconi e Dell’Utri. L’intervista non va in onda (verrà scoperta da Rainews24 solo nel 2000), ma è probabile che giunga all’orecchio dell’entourage berlusconiano, visti i rapporti della Fininvest col mondo televisivo francese. Due giorni dopo, il 23 maggio Falcone, la moglie e la scorta saltano in aria a Capaci: proprio alla vigilia della prevista elezione di Andreotti a presidente della Repubblica. Il senatore, messo kappaò dall’uno-due Lima-Falcone, cede il passo all’ex ministro dell’Interno Oscar Luigi Scalfaro.
1992, GIUGNO. Il giorno 8 i ministri Scotti e Martelli firmano un durissimo decreto antimafia che perfeziona il 41-bis, l’articolo dell’ordinamento penitenziario che regola l’isolamento carcerario per i boss: il Parlamento ha due mesi di tempo per convertirlo in legge, ma i partiti, asciugate frettolosamente le lacrime per Capaci, non paiono granché intenzionati a farlo. Intanto Scalfaro incarica Giuliano Amato di formare il nuovo governo (anche Craxi è ormai fuori gioco e attende il suo primo avviso di garanzia per Tangentopoli). Negli stessi giorni Marcello Dell’Utri, presidente di Publitalia e braccio destro di Berlusconi, avvia il “progetto Botticelli”: incarica Ezio Cartotto, consulente di Publitalia ed ex esponente della Dc lombarda, di studiare un’iniziativa politica della Fininvest per sostituire i vecchi referenti partitici del gruppo, travolti dagli scandali e giudicati inservibili. Anche lui insomma, come Cosa Nostra, si attiva per riempire il vuoto politico. Frattanto il capitano Giuseppe De Donno del Ros dei Carabinieri aggancia Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo “don” Vito, durante un viaggio aereo, comunicandogli che il suo superiore, colonnello Mario Mori, vicecomandante del Ros, vuole incontrare suo padre per vedere come si possano fermare le stragi. Parte quella che non solo Ciancimino jr. e numerosi mafiosi pentiti, ma anche i magistrati considerano la prima vera e propria trattativa fra lo Stato e la mafia. Da quel momento Vito Ciancimino diventa il tramite fra il Ros e il vertice di Cosa Nostra, rappresentato da Riina e Bernardo Provenzano (Ciancimino è legatissimo soprattutto a quest’ultimo). Nonostante le smentite di Mori, i magistrati si sono convinti che Mori avesse avviato i primi colloqui con Ciancimino già prima della strage di via D’Amelio, cioè almeno a metà giugno. Riina è felicissimo: come racconta Giovanni Brusca, in una riunione tenuta nei primi giorni di luglio, “Riina andava mostrando orgoglioso un papello con una serie di richieste: dall’abolizione del carcere duro alla revisione dei processi” e ripeteva: “Lo Stato finalmente si è fatto sotto, gli abbiamo fatto un papello così”. Il papello di Riina viene consegnato ai Ciancimino dall’intermediario Antonino Cinà, medico legato a Cosa Nostra. Don Vito ne passa subito una copia – come racconta il figlio – al fantomatico “signor Carlo” o “Franco”, uomo dei servizi segreti che segue come un’ombra l’ex sindaco. A sua volta Carlo-Franco, sempre secondo Massimo, fa avere il papello a Mori (che nega di averlo mai visto e “data” i primi colloqui con Ciancimino soltanto dopo la strage di via D’Amelio). Il papello contiene le richieste della mafia allo Stato in cambio della fine delle stragi: via il 41-bis (appena istituzionalizzato dal decreto Scotti-Martelli), i benefìci ai pentiti, l’ergastolo e il sequestro dei beni ai mafiosi, norme per consentire loro la “dissociazione come le Brigate rosse” e la revisione del “maxi”, e così via. Fra il 17 e il 19 giugno 1992 Martelli avverte Paolo Borsellino – che indaga forsennatamente sulla morte di Falcone – dei colloqui in corso fra il Ros e Ciancimino, e lo fa attraverso Liliana Ferraro, la giudice che ha sostituito Falcone al ministero. La Ferraro incontra il magistrato in una saletta dell’aeroporto di Fiumicino. Subito dopo Borsellino vede anche il futuro ministro della Difesa Salvo Andò. “Mio marito – racconta Agnese ai pm – non mi fece partecipare all’incontro con la dottoressa Ferraro. E non mi riferì nulla, salvo quanto detto dal ministro Andò: cioè che era giunta notizia da fonte confidenziale che dovevano fare una strage per uccidere Paolo con l’esplosivo. Mi disse che era stata inviata una nota alla Procura di Palermo al riguardo, e che Andò, di fronte alla sorpresa di mio marito, gli chiese: ‘Come mai non sa niente?’. In pratica, la nota che riguardava la sicurezza di mio marito era arrivata sul tavolo del procuratore Giammanco, ma Paolo non lo sapeva. Paolo perse le staffe, tanto da farsi male a una delle mani che, mi disse, batté violentemente sul tavolo del procuratore”. Intorno al 25 giugno Borsellino incontra Mori, ma non nel suo ufficio in Procura, bensì in un luogo più defilato: la caserma dei Carabinieri di via Carini a Palermo. Mori oggi nega che si sia parlato dei suoi colloqui con Ciancimino, ma i pm non gli credono: è altamente improbabile che Borsellino, appena informato dalla Ferraro, non abbia chiesto spiegazioni al diretto interessato. Anche perché quei “colloqui” tra mafia e pezzi dello Stato erano diventati una delle sue ossessioni. Il 28 giugno si insedia il governo Amato. Pressioni indicibili per rimuovere Vincenzo Scotti dall’Interno e Claudio Martelli dalla Giustizia: cioè i due ministri di Andreotti che, nell’ultimo biennio, sotto l’impulso di Falcone al ministero, hanno varato dure leggi antimafia. Martelli punta i piedi e riesce a farsi ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Prefazione: L’inizio della storia
  4. Paolo Borsellino, l’uomo, la vita e il 19 luglio
  5. L’agenda rossa
  6. Romanzo di una trattativa
  7. Immagini di una vita
  8. Stato-mafia: cronache sul Fatto
  9. Pronto, qui Quirinale, per servirla...
  10. Appendice: I protagonisti della trattativa
  11. Indice
  12. Ringraziamenti