Apparizioni del Sud
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Apparizioni del Sud

About this book

I diciannove racconti di Apparizioni del Sud hanno tutti ambientazione calabrese, a conferma della relazione di de Angelis con i luoghi natii. La natura e gli uomini sono investiti da quelle metamorfosi che misteriosamente impregnano la realtĆ  di una luce rivelatrice, propria di una vita primigenia, ferma alle origini. Il racconto d'apertura ĆØ Ladri di sale, che ridĆ  voce ancora una volta agli umori putrescenti della palude, con i pastori divorati dalle mosche e dalle zanzare, costretti a farsi ladri di sale nella vicina miniera di Lungro, pur di non lasciare imputridire il latte nelle caldaie. L'ironia spicca nel racconto autobiografico Colombi per nozze, attraverso lo sguardo della moglie straniera del protagonista. Apparizioni del Sud si chiude con La casa in polvere, tragico epilogo in cui la natura appare ancora una volta insidiosa e nemica.

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Information

Ladri di sale

I
Mancavano sempre di sale, i pastori, dopo le mungiture lunghe di fine stagione, e i calori eccessivi dell’estate morente inacidivano sinanche il latte cagliato; di ricotta vergine nemmeno a parlarne; e la prima ricotta si aggrumava corrotta dalla luce che infuriava sulle canne secche del pagliaio. Il sale costava troppo e ne sarebbe occorso a quintali. A volte nemmeno col danaro si riusciva a ottenere dai rivenditori tutto il sale necessario: si facevano orge di latte, i cavalli ne avevano i secchi per dissetarsi, si invitavano i passanti, e il latte imputridiva nelle caldaie che cacciavano fuori il verderame come un umore maligno. Immersi in quell’acido disgusto, i pastori erano divorati vivi dalle mosche e dalle zanzare; e decidevano allora di convogliare il latte in uno stagno segreto in mezzo ai boschi, per nutrirne i pesci e i serpenti d’acqua.
Fu al tramonto che Pietro prese a discorrere del sale con gli anziani e, misurando con gli sguardi il mare, suggerƬ che, prima di far ritorno alle capanne, qualche giovane di fegato avrebbe potuto risalire il Dolcidormi e tentare di provvedere tutti i pastori penetrando nella miniera di Lungro. La miniera apparteneva allo Stato, e bisognava cimentarsi con le guardie di finanza: i custodi si lasciavano corrompere volentieri da qualche formaggio fresco. Fecero i nomi dei prescelti, caricarono tre muli dal pelo lustro, di bisacce profonde e di due damigiane di vino rosso per il viaggio.
Ā«Seguite il mare fino a che potete, e riparatevi nei pagliai degli orti: ā€œattaccateā€ la montagna, ricordandovi bene di non passare per Firmo, senza deviare per festeĀ».
A capo della brigata fu messo Giorgio come il più pratico di tali viaggi su per i monti, e il più cauto, se non il più avveduto, in vista delle prossime nozze. Partirono sotto la luna maligna, attorniata da nuvole, ma la marina era quasi spopolata al finir dell’agosto: giĆ  i cespugli di Costaionica, arsi dal solleone, tremavano a un levante umido che annunziava le prime piogge, e i frutti dei fichidindia sembravano gonfi di polvere da sparo colorata per una festa selvaggia: gli scheletri minuti dei pesci e delle asterie rilucevano stranamente, calcinati dai raggi obliqui della luna. Un’arida pace accompagnava i giovani lungo il mare di un celeste sbiadito, e non si sarebbero meravigliati di veder apparire le sirene, tanto l’incanto sapeva diffondersi dal cielo sulla terra e su quel favoloso mare. Gli zoccoli affondavano nella sabbia, e i piedi scalzi degli uomini. E il più giovane non potĆØ resistere e incitò il gruppo al coro, tentando accordi sulla fisarmonica che portava a tracolla. Si avvidero che cantavano per distruggere un’arcana malinconia, e forse una misteriosa paura, e se non fosse stato il consiglio dei vecchi, sarebbero penetrati nei sentieri degli orti popolati da alberi e uccelli.
Di tratto in tratto, sul mare spuntava uno scoglio ferrigno e altri scogli affioravano, appena colorando di rame le acque per i riflessi della roccia rugginosa. Mostri dovevano abitare tra quei nidi sottomarini e bolle biancastre scoppiavano intorno senza rumore, quasi davvero i mostri sbadigliassero dal fondo, nel sonno agitato. Erano in dodici, tutti sui vent’anni, dai corpi stupendi e dal cuore provato, ed ecco che origliavano nelle pause del canto a sorprendere il potere malefico delle onde gelate di luna, e le intenzioni segrete di quelle nuvole funeste. Ci fosse stata una donna, sarebbero stati consolati da una dolcezza e da una debolezza da difendere: invece erano inermi contro quegli echi, quei murmuri, quei brividi di acque e di cielo. Accanto era la terra, ma lontanissima, come in un orrido sogno. La notte finƬ in un’alba di latte smunto, giĆ  inquinata dal riverbero solare, e i fantasmi sparirono. Si rifugiarono in un pagliaio, e saccheggiarono l’orto di un amico; insieme al quale bevvero il vino rosso in tazze ricavate in zucche gigantesche: cianciavano per liberarsi dagli incubi e dal terrore superstizioso del mare che avevano contemplato nel sonno. E il sonno li fulminò a tradimento, mentre il sole assediava la terra.
Si destarono ingannati e delusi, con l’amaro in bocca, e spaccavano altri cocomeri tenuti in fresco nel pozzo; avevano voglia di attaccare lite, di distruggere, di abbattere almeno un albero; sulla terra ancora calda, lo strepito delle ultime cicale incitava alla musica. Essi invece avevano abbandonato le feste delle marine, per il sale che evita al latte di corrompersi. Intanto si corrompeva il loro sangue nelle vene segrete del corpo, strepitando come un animale impazzito. I cocomeri crepitavano sgangherati e i semi lucidi schizzavano per la violenza: i giovani mordevano in quella polpa rossa e dolciastra. Si concertarono con parole irose, smaniando di provocarsi; e Giorgio li persuadeva col ricordo dei padri gravi e solenni nel comando:
Ā«Siamo partiti per un’impresa. Se manchiamo alla promessa fatta non potremo ritornare nelle capanne. Chi oserĆ  affrontare la collera dei padri?Ā».
Ripresero il cammino dietro i muli che fustigavano con verghe lunghe di salice, e suonavano lamenti sulle fisarmoniche, sempre seguendo la linea del mare corrucciato negli ultimi splendori sanguigni; ma guardavano gli orti e soprattutto certi ulivi giganteschi mossi dal vento leggero che nasceva ora dal bosco. Ogni tanto si guardavano per cogliersi negli sguardi una luce di pazzia, ma si vergognavano di mostrarsi cosƬ deboli, ora che il fresco della sera si scioglieva dentro il sangue e lo faceva scorrere senza ingorghi. Mangiarono, sempre camminando, pane e cacio e si umettavano le labbra di vino, resi guardinghi, ora che la montagna si approssimava, mentre i particolari dell’impresa notturna li costringevano a una luciditĆ  ferma. Abbandonarono il mare, che la luna nasceva occupando il cielo illanguidito e, non avvertendo più quel gigantesco e sfinito lamento, si andavano rinfrancando, sgombre la mente e la fantasia dalle superstizioni e dalle ubbie: in mezzo agli alberi ritrovavano la loro schietta natura, e le foglie pietose rinfrescavano le fronti affaticate. Erano ancora ulivi alla base del Dolcidormi, miti e secolari ulivi, ma giĆ  alberi duri e forti dai rami di metallo si mostravano un po’ più in alto a misurare la salita e il cammino: grosse pietre affioravano dalla terra in mezzo alle erbe e al muschio, e certi funghi fatui, bianchissimi, che scoppiavano come bolle di sapone al più lieve contatto. I pastori osservavano la terra, quella diversa costituzione e quel colore diverso: avvicinandosi al cielo, sognavano di scoprire alberi carichi di frutti mai visti, come sempre accade a coloro che vedono un nuovo mondo; i tappeti di muschio tenace li inducevano a repentini abbandoni: tuttavia nella foresta, luogo per molti di essi ignoto, per la presenza degli alberi non temevano gli spiriti e le magie. Giorgio decise di accampare in una radura vasta attorniata da vecchi abeti, e da una roccia ferrigna da cui sgorgava acqua cristallina. Accesero il fuoco per arrostire fette del pane duro, ai muli versarono la biada sulla terra, spargendo tra le radici affioranti ricche manciate di fieno. Bevvero appena, ristorandosi con pane e aglio che scaccia il sonno. Erano a mezzo scheletro del Dolcidormi, quasi sul grande sentiero che dalla foresta conduce alla miniera di sale: i lumi di Lungro ardevano richiamando le stelle come per segnali convenuti, e si indovinava (a causa della luce intensa) la vita del paese che si preparava al sonno. I pastori origliavano, e tre furono posti a guardia del sentiero, con lunghi rami senza scorza, un piccolo fuoco acceso, e coltelli che si industriavano sul legno dolce e fresco a fingere un lavoro grazioso. Cadde la notte con la larga dolcezza della luna: i muli ruminavano a occhi chiusi; accanto al fuoco i pastori si raccontavano storie.
Ogni tanto si scuotevano con forti pugni sulle spalle; quando, a mezzanotte, Giorgio diede il segnale della partenza. Sul grande sentiero gli zoccoli dei muli risuonavano fitti; allora li avvilupparono con pezze di stoffa, lembi di camicia o di fodere.
I pastori camminavano sui margini coperti d’erba.
Immagine decorativa.
...trovarono la miniera deserta...
Ora discendevano per la strada maestra soffice di polvere bianchissima, a piccoli scaglioni, pronti a intervenire, ad assalire e a difendersi. Temevano i moschetti dei carabinieri sempre di ronda, o delle guardie di finanza, ma pensavano di sfruttare il fidanzamento di Giorgio ad Acri – come se ritornassero da quella festa – ed era questa la vera ragione delle due grosse damigiane di vino; Giorgio s’era portata la giacca nera di panno fino per convalidare la menzogna. Non fecero brutti incontri, e trovarono la miniera deserta e il guardiano sparito per qualche convegno. In un primo momento pensarono di sforzare il magazzino del deposito, ma ritennero lo scasso un vero e proprio furto, anche perchĆ© potevano essere sorpresi dal guardiano. C’era una baracca abbandonata e vi nascosero i muli. Muniti di lanterne affrontarono il buio delle scale che guidavano sottoterra, uno dietro l’altro. Ma si arrestarono quasi subito, incantati da quel buio denso e da un fresco membranoso che gocciolava stille grosse e pesanti. Per abituarsi alle tenebre, smorzarono tutte le lanterne all’infuori di una, e scorsero massi giganteschi incastrati nella volta, biancastri, che potevano essere di sale; anche le pareti erano di sale, scavate, con massi sporgenti, nicchie e anfratti, gomiti che minacciavano di sbarrare il cammino.
Arrivarono in una caverna appena franata, ricchissima. Forse gli operai avevano accesa la miccia prima di abbandonare il lavoro per non perdere tempo l’indomani. I pastori si denudarono, ma il calore era atroce in quel buco pieno di accidenti e pericoli. Grossi massi riempirono le bisacce, e altro sale fu avvolto negli indumenti. Si divisero il carico, lustri di sudore e giĆ  impolverati di terra come diavoli. Quelli che portavano le bisacce, procedevano appaiati e goffi come buoi, con tutto il peso sulle spalle e sul collo: tentavano gli scalini con mille precauzioni, inciampando a ogni dislivello. La lanterna appesa alla cintola illuminava sinistramente il buio che il sale faceva brillante e pauroso, e i sobbalzi della luce imitavano un vago inseguimento di fantasmi.
La luna denunziò la terra, e come Dio volle, si abbatterono sotto quel chiarore fantastico a occhi chiusi, in un sogno che legava i loro corpi fiacchi, mentre il pericolo li costringeva a una fuga affannata. Col fischio modulato in sordina, costrinsero gli animali ad accovacciarsi e li caricarono delle bisacce rigonfie: del sale che avanzava si imbottirono le tasche profonde e il petto tra la camicia e la pelle.
Nessuno diceva una parola, e gli animali stessi mettevano nello scegliere il cammino una cautela insospettata. A mano a mano che la luna declinava allargando i suoi raggi indeboliti, una stanchezza misteriosa assaliva i corpi degli uomini, e ogni ombra acquistava consistenza. I rigonfi delle bisacce denunziavano il sale; recisero i rami teneri per mascherare il carico strambo. Ripassando per la radura dispersero la cenere del fuoco, allontanando le grosse pietre disposte in circolo per la sosta. Ogni traccia sparita, deviarono, volgendo le spalle ai monti di Acri, e nella nuova direzione lo spirito si andava rasserenando anche perchĆ© spuntava l’alba.
Immagine decorativa.
Nessuno diceva una parola, e gli animali stessi mettevano nello scegliere il cammino una cautela insospettata.
Subito stabilirono di far passare avanti tre compagni con gli animali, diffidando della luce indiscreta del giorno; Giorgio rimase con gli altri e facevano grande strepito tra gli alberi per attirare l’attenzione dei carabinieri o dei guardiani nascosti. Gridavano brindisi alla sposa, ma per un bel pezzo nessuno apparve, intanto che i tre scivolavano per il sentiero battuto, allo scoperto. Quella era la zona pericolosa, e tra gli alberi trafficavano i militi imboscati, o per sorprendere gli spaccalegna o i contrabbandieri di sale.
Una certa paura e il fresco della rugiada appena illuminata li persuadeva ad aumentare il baccano e la frenesia del canto, stornellando in coro e sorreggendosi negli acuti con la mano a copribocca. Naturalmente sbucarono due guardie di finanza e li interrogarono da lontano, intimorite dal numero e dal concerto.
«Chi vuol rispondere per tutti? Da dove venite?».
Ā«Io – disse Giorgio –, sono lo sposo e questi mi fanno onore e compagnia. Siamo di Terranova, e discendiamo da Acri...Ā».
«Come fate ad andare a piedi per due giorni di cammino?».
«La povertà non va a cavallo, brigadiere mio».
«Cercate di non smarrire la strada, e ritornate sul sentiero. O siete ubbriachi?».
«La strada è in discesa, e il vino non ha ammazzato nessuno». Intanto le guardie spiavano e non tardarono a scoprire il contrabbando sotto la camicia.
«Non avreste sale per caso?».
«Confetti e vino, brigadiere».
«Siete grossi come capponi, intanto. Che vi dispiacerebbe far una capatina in caserma?».
«Certo che ci dispiacerebbe. Dopo una festa è il letto che ci vuole».
«Dormirete sul tavolaccio della camera di sicurezza».
«Andate a caccia di cristiani, dunque? Ma noi abbiamo troppo camminato per camminare ancora invano. Che ci suggerite?».
«Di muovervi con le buone, e di mostrarci subito il sale che vi gonfia le camicie».
«Ma è pane e cacio, brigadiere, ma son dolci e frutti...».
«Bene, allora fateci partecipare alla festa».
«Non mi garba: io non vi ho invitato».
«Accampatevi in mezzo alla radura, e il primo che si muove, è un uomo morto».
Ā«Riposoo! – comandò Giorgio burlesco. – Arrangiatevi alla meglio, mangiate e bevete, e suoni e canti: la festa continua, in onore del brigadiere. Ma per quanto tempo?Ā». E la sua voce cambiò di tono rivolgendosi ai militi.
«Sino a che non deporrete il contrabbando».
«Contrabbando i confetti della sposa?».
Ā«Animo, vogliamo essere indulgenti: se depositate il sale sull’erba, vi autorizziamo a filareĀ».
«Ma che sale, che sale! Giusto ce ne manca un pizzico per la minestra...». Giorgio parlò in dialetto stretto per indurre i compagni alla calma, precisando che i militi non possono sparare su uomini fermi, e che non avevano il coraggio di venirli a frugare, nonostante i moschetti. Intanto, più tempo stavano fermi e più vantaggio i muli avrebbero acquistato: bisognava far di tutto per costringere i militi a una sosta prolungata.
Anche i militi si consultarono a bassa voce e improvvisamente si misero a ridere maligni. Quel riso insospettƬ la brigata, e non fossero stati i moschetti, qualcuno avrebbe deci...

Table of contents

  1. Apparizioni del Sud
  2. Colophon
  3. Introduzione di Vittorio Cappelli
  4. Ladri di sale
  5. Il finto lebbroso
  6. Il pipistrello
  7. Zingaresca
  8. I gatti dell’isola
  9. Il lupo
  10. La Morte sull’albero
  11. Il cane sapiente
  12. Il grappolo acerbo
  13. Colombi per nozze
  14. Sciopero delle galline
  15. Il cane che aveva sete
  16. Il consolo
  17. Il bambino rapito
  18. Storia di galline
  19. Il primo dente
  20. Viaggio con triste presagio
  21. Vendetta dei passeri
  22. La casa in polvere
  23. Indice