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Rivista di Politica 2/2017
Il nuovo radicalismo politico: populismi di destra e di sinistra nella crisi della democrazia europea
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Il nuovo radicalismo politico: populismi di destra e di sinistra nella crisi della democrazia europea
About this book
L'apocalisse della post-modernità: una lettura politico-antropologica dei "morti-viventi" - Damiano Palano La "nuova sinistra" radicale europea: dalla crisi della socialdemocrazia ai cambiamenti nelle democrazie rappresentative contemporanee - Luke March Un banchiere all'Eliseo: l'irresistibile ascesa di Emmanuel Macron - Michele Marchi Il nuovo disordine mondiale: gli Zombie nel mondo post-umano - Dominic Holdaway Storia e metamorfosi del Front national: l'estrema destra nello specchio della Quinta Repubblica - Marco Gervasoni Etica del lavoro e modernizzazione politica: una lettura del Pinocchio di Collodi - Giovanni Belardelli L'Islam in Francia: la difficile alternativa tra laicismo di Stato e libertà religiosa - Andrea Frangioni
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Information
Publisher
Rubbettino EditoreYear
2017eBook ISBN
9788849852141
CONGETTURE E CONFUTAZIONI
Macron: un destino presidenziale?
Se l’evento politico del 2016 è stato l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, quello del 2017 è, almeno sino ad oggi, l’ingresso all’Eliseo di Emmanuel Macron. Del giovane enarca ed ex-banchiere nel corso delle ultime settimane si è detto tutto e il contrario di tutto. Si è parlato molto della sua formazione (Sciences Po, Ena, Inspections des Finances, Commission Attali) e del suo incarico alla Banca Rothschild, ancor di più si è forse detto dell’eterodossa storia d’amore con l’attuale première dame, di oltre venti anni più vecchia di lui. Infine ci si è interrogati sul carattere di cesura per l’intero sistema politico-istituzionale della Quinta Repubblica rappresentato dalla sua elezione. La lunga sequenza elettorale per certi versi iniziata con le primarie de Les Républicains, poi proseguita con quelle socialiste, entrata nel vivo con i due turni presidenziali e conclusasi con le legislative vinte trionfalmente, sembra delineare non tanto la conferma del passaggio da una logica bipolare (e tendenzialmente bipartitica) ad una tripolare (con l’ingresso del FN), quanto quella di una ristrutturazione complessiva del sistema. L’impressione è quella di vivere una fase di transizione nella quale destra e sinistra sembrano polarizzarsi ulteriormente e nello spazio lasciato da questo spostamento verso le estreme potrebbe inserirsi un vasto raggruppamento in grado di raccogliere i cosiddetti riformisti di destra, sinistra e centro impegnati nel complicato ma indispensabile percorso di ristrutturazione del Paese. Se si tratti di una transizione congiunturale (quindi destinata a durare un periodo preciso e circoscritto) o di una transizione strutturale (profonda e stravolgente) saranno il tempo e successive elezioni a dirlo. L’impressione è che molto dipenderà dall’inquilino dell’Eliseo e da come i vari soggetti politici si rapporteranno alle sue prossime mosse.
Diventa ancora più importante allora porsi qualche altra domanda su chi sia Emmanuel Macron e soprattutto se si possa arrivare a parlare, almeno potenzialmente, di un macronismo in azione. Questa non è una questione banale, anche se può apparire un po’ affrettata. Dal momento che, se osserviamo l’evoluzione della Quinta Repubblica e il succedersi dei suoi sette precedenti presidenti, l’impressione è che l’efficacia dell’azione politica e l’importanza dei risultati ottenuti, siano sempre state legate alla capacità o meno dei vari presidenti di presentare un proprio progetto per il Paese, ma allo stesso tempo di incarnare una propria visione più ampia della società e del mondo all’interno della quale questo si trovava a vivere. Da tale punto di vista è emblematico il caso dei primi tre presidenti della Quinta Repubblica. Sembra quasi superfluo affermare che sia esistito un gollismo e che questo si sia incarnato in un legame profondo, carnale e quasi eterno, tra il «più illustre dei francesi» e la Francia. Istituzioni, collocazione geopolitica e proiezione di politica estera, ma anche strutturazione della competizione politica e centralità dello stato e della sua amministrazione pubblica sono legati alle capacità del Generale de Gaulle di unire France eternelle e ricostruzione del Paese da collocare nel mondo bipolare. Pompidou e Giscard d’Estaing sono stati due variazioni sullo stesso spartito. Pompidolisme e giscardisme sono due tentativi (in larga parte riusciti) di rinnovamento da un lato politico-economico e dall’altro politico-sociale del gollismo. Il primo ha lavorato, in parte riuscendovi ma per forza di cose lasciando il lavoro a metà del guado a causa della morte prematura, per far entrare il Paese nella società post-industriale. Il secondo ha preso per mano la France eternelle e le ha fatto digerire il meglio della rivoluzione post-materialista del ’68.
Mitterrand e il mitterrandismo (a patto che sia esistito) costituiscono, per molti versi, una cesura. L’arrivo del leader socialista all’Eliseo è la conferma della solidità del gollismo nella sua incarnazione istituzionale e di come la grandeur, proiezione di politica internazionale dello stesso gollismo, sia solo parzialmente riaggiornata da Mitterrand nel cosiddetto gaullo-mitterrandisme. Il punto è che, al di là della pantomima strumentale del changer la vie, il mitterrandismo non è altro che una dottrina per la conquista del potere, non a caso tutta compresa nella grande capacità dello stesso Mitterrand di tenere insieme i due poli opposti del socialismo francese, cioè l’anti-liberalismo e la vocazione di fornire un governo al Paese, ma che già a partire dal 1986 mostra i suoi limiti.
Su Chirac, Sarkozy e Hollande è inutile dilungarsi troppo. Chirac e lo chiracchismo sono difficilmente definibili. O perlomeno con una battuta si potrebbe assimilare quest’ultimo alla pura dottrina per la conquista del potere, dispiegata per un ventennio (dal 1976 al 1995), senza però il talento di un Mitterrand. Tracce di sarkozysmo in realtà emergono durante la campagna elettorale per il voto 2007, nel suo tentativo di proporre una complessiva riforma per il Paese e nel suo slancio di ouverture e di abbattimento degli steccati ideologici. I primi disastrosi mesi di permanenza all’Eliseo finiscono però per aprire le porte ad un quinquennato “inutile”, che diviene poi “decennio perduto”, con l’impalpabile presidenza Hollande, eletto sull’onda del tout sauf Sakozy, ma senza un talento proprio.
Come collocare Emmanuel Macron in questa rapida e sommaria carrellata?
Innanzitutto Macron sembra aver colto un punto decisivo della crisi che sta vivendo il Paese. Leggendo tra le righe di quella “domanda di autorità” che emerge da tutte le inchieste di opinione, Macron ha avviato un vero e proprio discorso sull’importanza e il ruolo del cosiddetto “monarca repubblicano”. In alcune interviste nel corso della campagna elettorale Macron è stato esplicito nel parlare di una vera e propria forma di incompletezza della democrazia, in generale, e francese, in particolare. In questa narrazione Macron ha esplicitamente parlato di de Gaulle come in grado di sanare, con la sua legittimità storica, il suo carisma e le sue riforme istituzionali, la lunga parentesi del Terrore e in particolare l’eliminazione cruenta del sovrano. È il presidente della Quinta Repubblica, con la sua elezione a suffragio universale diretto e i suoi poteri a surrogare questa assenza. E Macron lo ha più volte descritto, nel corso della campagna elettorale, come colui che possiede una forma di autorità democratica, come l’interprete di un dialogo continuo e diretto con il Paese, come il portatore di un universo storico e simbolico e infine di una volontà permanente di proiezione nell’avvenire. Ebbene, tutto ciò, dall’uscita di scena di François Mitterrand, è progressivamente scomparso, per ragioni differenti, nei presidenti che hanno successivamente occupato l’Eliseo. Macron, a partire dalla serata del 7 maggio sulla piazza del Carrousel du Louvre, passando per il discorso di investitura della settimana successiva e dal primo consiglio dei Ministri, ha mostrato un volontarismo spiccato nella direzione di ricostruire questa figure du roi. Insomma, citando il filosofo e direttore di «Le Débat» Marcel Gauchet, è evidente come i francesi in questi anni abbiano sofferto dell’assenza del loro “re” in democrazia. Con Macron potrebbero averlo ritrovato.
Vi è poi una seconda dimensione importante di questo possibile macronismo nascente, in stretta connessione con tutto il discorso relativo all’influenza su Macron del filosofo Paul Ricoeur e dei rapporti tra l’attuale presidente e il mondo che ruota attorno alla rivista «Esprit» (e alla cosiddetta deuxième gauche rocardiana). Al di là dei fatti inequivocabili, cioè Macron per un certo periodo assistente di Ricouer nel percorso di pubblicazione dell’importante opera La Mémoire, l’histoire, l’oubli (Seuil, 2000), Macron membro del comitato di direzione della rivista «Esprit» e autore di sei contributi (tra saggi e recensioni) oltre che di un’assidua presenza alle riunioni e ai gruppi di lavoro come dichiarato tra gli altri dall’ex direttore di pubblicazione Olivier Mongin. Nel concreto sarebbe errato parlare di Macron come del politico filosofo o del politico intellettuale. Macron è un politico tout court e in questo senso ha certo più possibilità di riuscire. Cosa pare utilizzi, il nuovo presidente, delle sue letture e della sua curiosità intellettuale? Essenzialmente il sincretismo, ovvero la convinzione che il tempo storico della globalizzazione, quello che stiamo vivendo, sia tempo di opposti che si attraggono, di convergenze tra elementi apparentemente inconciliabili. È la fase, almeno questa è la lettura di Macron, del «en même temps». Spesso criticato per l’espressione, molto utilizzata in campagna elettorale e nei dibattiti, Macron la considera un vero e proprio marchio di fabbrica del suo volontarismo politico. È possibile riformare il mondo del lavoro e inserirvi dosi importanti di liberalismo ma «en même temps» aggiungere solidarismo e tutele sociali. È possibile promuovere nuovamente il merito e lo studio del greco e del latino, ma «en même temps» investire per avere classi piccole e con i migliori docenti nelle aree a minor tasso di presenze scolastiche. E così di seguito. E per fare tutto ciò, e qui nuovamente l’influsso di Ricoeur sembra evidente, è necessario investire sul «potere di raccontare», qualcosa di ben più profondo e sottile di quello che oggi è definito storytelling. E la cosiddetta «forza del racconto» è senza ombra di dubbio stata la cifra più qualificante della lunga campagna di Macron, sin dal lancio del suo movimento En Marche! E infine Macron sembra abbracciare la filosofia della volontà di Ricoeur, quella che narra di un uomo fallibile, ma in grado di trovare in sé la capacità di realizzare i propri talenti. Si potrebbe andare oltre e aggiungere altri punti di contatto e altre caratteristiche dell’approccio macroniano assimilabili al pensiero di Ricoeur, ma il rischio è quello di scivolare verso la caricatura del grande filosofo che interpreta il mondo e del suo allievo (poi amico della cerchia più ristretta), il quale si assume l’onere di trasformarlo. Meglio fermarsi un passo prima e osservare come concretamente il nuovo inquilino dell’Eliseo riuscirà ad incarnare questa idea della politica come generatrice di opportunità affinché il numero maggiore di esseri umani possa diventare padrone del proprio destino.
Vi è infine un’ultima caratteristica che si è evidenziata nella breve, ma intensa, carriera politica di Macron. Ed è un vero e proprio elogio dello spirito di conquista, quasi una sorta di sfacciataggine e sfida continua, in parte esaltata dalla “giovane età”, una sorta di fuoco dentro che ha fatto assimilare Macron ad un novello Julien Sorel o Lucien de Rubempré. Anche in questo caso, cercando di evitare facili semplificazioni ed esaltazioni, ci si può limitare a citare la triade «rivoluzione, trasgressione e rifondazione», che Macron stesso ha dispiegato prima di tutto quando, a partire dall’aprile del 2016, ha lanciato il suo attacco diretto al sistema politico “tradizionale”. Al momento delle sue dimissioni da ministro, nell’agosto del 2016, ha esplicitamente parlato dei «limiti del nostro sistema politico che ha creato le premesse per l’impotenza collettiva nella quale si trova il Paese». Tre sono i blocchi principali da scardinare: il corporativismo, l’arretratezza dei corpi intermedi e quella dei partiti politici, non più in grado di fornire visioni attualizzate del reale. Occorre dunque una rivoluzione, che nella narrazione macroniana è sinteticamente rappresentata dal suo profilo giovane...
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- Rivista di Politica Aprile-Giugno 2017
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- Numero 2 Aprile-Giugno 2017