La scoperta della prima infanzia
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La scoperta della prima infanzia

Per una storia della pedagogia 0-3. Vol. 1 - Dall'antichità a Comenio

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La scoperta della prima infanzia

Per una storia della pedagogia 0-3. Vol. 1 - Dall'antichità a Comenio

About this book

La prima infanzia è, sul piano educativo e pedagogico, una «scoperta» moderna o affonda le sue radici nella storia più antica? Per rispondere in maniera critica e documentata a questo interrogativo, l’autrice esplora in due volumi (vol. I Dall’antichità a Comenio, vol. II Da Locke alla contemporaneità ) le concezioni pedagogiche e le pratiche educative che hanno, di fatto, accompagnato la condizione delle bambine e dei bambini nella fascia d’età compresa fra 0 e 3 anni dall’antichità fino ai giorni nostri. La ricostruzione è anche occasione per riscoprire le radici epistemologiche di una agoghé del pâis progressivamente finalizzata a gettare le basi di un’educazione capace di confrontarsi con i caratteri precipui della «natura umana». Dall’analisi della prima comparsa di un pensiero «intenzionalmente» pedagogico fra età antica ed età medievale (vol. I), si è passati (vol. II) allo studio della formulazione in età moderna e contemporanea di una pedagogia sistematica della prima infanzia, distinta (anche se mai separata) dai saperi della letteratura, della teologia, della filosofia. Il ricorso ad una pluralità di fonti storiche ha consentito di far emergere dai «silenzi dell’educazione» la figura ancora poco abbozzata dell’ infans, riconosciuto però nel corso del tempo come portatore di un lógos in potenza e, in quanto tale, protagonista e destinatario di un’educazione secundum naturam.

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Information

1. Omero «educatore»: Achille ed Astianatte nella nascita dell’areté classica

Se l’inizio di un percorso di storia della pedagogia della prima infanzia coincide idealmente con la nascita della paideia nell’antica Grecia, non si può fare a meno di confrontarsi con la figura del poeta Omero (VIII-VII secolo a.C.), considerato dallo stesso Platone l’«educatore» per eccellenza della Grecia antica, grazie alla trasmissione all’interno dei suoi poemi epici di virtù (o areté) e di modelli di azione decantati fino ad allora nella tradizione orale degli aedi (= cantori) [1] . I versi dell’ Iliade e dell’ Odissea offrono ai loro fruitori uno spaccato del contesto storico-culturale dell’epoca remota cui fanno riferimento e, nel contempo, delineano un quadro ideale dell’educazione aristocratica (da áristos= eccellente) dei nobili cavalieri, l’unica classe sociale in quel periodo storico ad essere coinvolta in percorsi educativi e formativi formalizzati, poiché l’educazione era intesa come un processo spirituale di acquisizione da parte del singolo individuo di una cultura superiore, sorta da un processo di differenziazione sociale dell’umanità [2] . Tale educazione si configurava nei termini di una formazione a 360 gradi del futuro cavaliere, che sarebbe stato impegnato al servizio del suo sovrano come guerriero in tempo di conflitto e presso la corte in tempo di pace; per questo motivo, coinvolgeva contemporaneamente l’ambito tecnico (in quanto il fanciullo era avviato all’apprendimento della téchne che sovrintendeva la funzione di cavaliere, attraverso lo sport, i giochi cavallereschi, le arti musicali, il maneggio di armi, ecc.) ed etico (in quanto il medesimo fanciullo era educato ad incarnare un certo ideale di uomo attraverso l’assunzione di uno stile di vita improntato ai valori della gloria, del coraggio, dell’onore) [3] .
L’epica non mancò di interessarsi anche del mondo femminile, poiché, come puntualizzato da Eva Cantarella, «così come gli uomini imparavano dall’ èpos ad adeguarsi al modello dell’eroe, allo stesso modo le donne, ascoltando i poeti, imparavano quali comportamenti dovevano tenere e da quali dovevano rifuggire» [4] . In particolare, l’eccellenza femminile decantata da Omero consisteva nella cura dell’aspetto fisico e dell’abbigliamento, nella bravura nei lavori domestici (in particolare, la filatura e la panificazione), nelle virtù dell’obbedienza e della pudicizia, che facevano della donna – relegata «ideologicamente» all’interno dell’ òikos – «un personaggio socialmente e intellettualmente pallido, solo strumento della riproduzione e della conservazione del gruppo familiare», a fronte del cavaliere che solitamente aveva una concubina e si intratteneva in rapporti sessuali con le prigioniere di guerra e con le schiave, verso le quali però non aveva alcun dovere sociale e morale [5] .
Per cogliere la pregnante valenza pedagogica dell’ èpos, è opportuno richiamare l’interpretazione dei poemi omerici come contesto didattico formulata da diversi studiosi, fra i quali Eric A. Havelock: la narrazione in versi era subordinata al compito di ospitare elementi di carattere educativo, in special modo precetti tradizionali, norme comportamentali e istruzioni di tipo tecnico, stratificatisi fino a quel momento in una storia quasi millenaria narrata oralmente, in cui sussisteva un confine piuttosto labile fra il comportamento morale e il comportamento tecnicamente esperto [6] . Si può, pertanto, affermare che le gesta raccontate nei poemi omerici costituirono una testimonianza narrativa della cultura aristocratica della Grecia arcaica in un ideale “tempo degli eroi”, che lasciava intravedere la struttura politica e sociale di un mondo dominato da un re circondato da una corte di cavalieri e caratterizzato da una netta separazione fra aristocrazia e popolo. Il concetto di areté, incarnato nella figura dell’eroe , si sviluppò in questo modo in un humus culturale che ammise esclusivamente una forma di educazione elitaria, cioè “per pochi privilegiati”, “per uomini egregi”, chiamati fin dalla nascita ad eccellere e a distinguersi sopra tutti per gloria, forza, coraggio, zelo, fedeltà, cortesia (soprattutto nei confronti delle donne, in primis la madre). Essi erano pronti ad offrire il loro servizio di corte al sovrano, anche a costo di mettere a repentaglio la propria vita, pur di serbare fede al proprio ideale: da qui la connotazione “eroica” di tale areté, che trovava il suo massimo compimento nel sacrificio della propria vita da parte del cavaliere.
Sul piano della costruzione di un “discorso” pedagogico, occorre convenire con Werner Jaeger che al centro della struttura spirituale dell’ideale educativo omerico vi era l’esempio, incarnato nell’eroe quale idealtipo di uomo ben formato, in quanto padrone del lógos (inteso nel duplice significato di linguaggio e ragione) e padrone delle proprie azioni. I poemi omerici attestavano la presenza di un’alta coscienza educativa nella Grecia arcaica, ove il termine coscienza non va inteso nel senso di coscienza personale che si svilupperà dal Cristianesimo in avanti, ma di coscienza pubblica, cioè della comunità. Da qui la natura dell’esempio eroico quale paradigma di orientamento della condotta, della vita e del pensiero degli individui in un’epoca storica in cui non esistevano ancora leggi codificate, né un pensiero etico sistematico, se non gli usi, consuetudini e costumi tramandati dalla tradizione orale [7] .
All’interno della cornice tracciata dalla paideia omerica, qual era – se vi era – lo spazio per il népios (= infante)? Per poter rispondere, occorre ricorrere a due terreni di analisi, uno concernente l’educazione dell’eroe dalla nascita e il secondo l’educazione di un infante di ceto aristocratico, ma non destinato a diventare eroe. Nel primo caso, si è cercato di entrare nel merito della vita dell’eroe per eccellenza, Achille, figlio della ninfa Teti e di Peleo re di Ftia (Tessaglia). La sua esistenza fu improntata, fin dalla nascita, a realizzare l’ideale di «essere sempre il migliore e mantenersi superiore agli altri», grazie alla sua natura umana che sfociava nel mito, a dimostrazione dell’esistenza di una stretta contiguità fra l’etica aristocratica arcaica e il valore educativo dell’esempio mitico, legato al carattere “normativo” del mythos.
La descrizione della nascita e dell’infanzia di Achille nei miti greci raccolti nella Biblioteca dello pseudo-Apollodoro ateniese e la visione di alcuni reperti storici, come pitture vascolari o il tesoro di Kaiseraugst risalente al IV secolo d.C., consentono di conoscere episodi significativi dei primi giorni di vita di Achille [8] . In particolare, nel terzo libro della Biblioteca dello pseudo-Apollodoro si legge che:

quando poi Teti ebbe messo alla luce il parto concepito di Peleo, volendolo rendere immortale, occultamente, sicché Peleo non lo vedesse, lo mise nel fuoco, abbruciando in lui quanto di mortale avea tratto dal padre, e tutto il giorno ungendolo di ambrosia. Peleo sopraggiunto, vedendo il bambino palpitare entro il fuoco, alzò un grido; onde impedita Teti dal dar compimento all’opera, abbandonato il fanciullo, corse alle Nereidi. Allora Peleo preso il figlio, lo recò a Chirone, il quale il nutrì delle viscere di lioni e di cinghiali, e delle midolla degli orsi; e lui, che prima avea avuto il nome di Ligirone perché non avea appressate le labbra alla poppa, volle che fosse nominato Achille [9] .

Chirone fu una figura centrale nella vita di diversi eroi della Grecia arcaica: descritto come un saggio centauro vegliardo, creatura mitologica metà uomo e metà cavallo che dimorava nelle gole boscose e ricche di sorgenti del Pelio nella regione della Tessaglia, rappresentò il «maestro d’eroi» per eccellenza, investito del compito di educare il futuro eroe all’ areté e alle arti della civiltà umana. La sua opera educativa avvenne sempre al di fuori della famiglia, su esplicita delega dei genitori, che gli affidarono Achille ed altri piccini destinati a diventare eroi. Achille era un esempio di «bambino eccezionale», contraddistinto da una nascita prodigiosa e da un’esperienza di trophé (= “nutrimento”, “allevamento”) vissuta al di fuori di ogni istituzione, compresa la famiglia, a cui tradizionalmente competeva [10] . Si può, pertanto, sostenere che con l’ èpos omerico iniziò ad affermarsi il paradigma della casa come «luogo dell’antieroico» [11] , cioè come terreno dal quale allontanarsi per intraprendere un percorso di iniziazione alla vita adulta da uomo d’eccezione. Fu Chirone, e non Peleo, ad insegnare ad Achille nel corso degli anni lo sport e gli esercizi cavallereschi (caccia, equitazione, giavellotto), l’uso delle armi, le arti musicali (come suonare la lira), la chirurgia e la farmacopea, dimorando con lui in una grotta fra i monti, dunque in un contesto lontano dalla società umana, in cui la naturalità dell’ambiente faceva da pendant alla naturalità dei processi educativi [12] . Il suo operato venne perfezionato da Fenice, un amico straniero di Peleo, a cui Chirone restituì la vista.
Fenice costruì con il piccolo Achille una relazione educativa di profonda intimità, tanto da diventare per lui «una guida nel senso profondo dell’autoeducazione morale» [13] , grazie al sentimento paterno sviluppato nei suoi confronti. Sarebbe stato lo stesso Fenice ad accompagnare l’ormai giovane Achille sul campo di battaglia e nella corte regale, all’avvio ufficiale della sua vita pubblica. Dalle parole di Fenice, riportate nel IX canto dell’ Iliade, è possibile apprendere alcuni episodi della prima infanzia di Achille, rievocati dal vegliardo al giovane cavaliere nel tentativo di farlo tornare...

Table of contents

  1. Copertina
  2. LA SCOPERTA DELLA PRIMA INFANZIA
  3. Indice dei contenuti
  4. INTRODUZIONE
  5. PARTE PRIMA - Dall’antichità classica al Cristianesimo
  6. I. NÉPIOS E TROPHÉ NELL’ANTICA PAIDEIA GRECA
  7. 1. Omero «educatore»: Achille ed Astianatte nella nascita dell’areté classica
  8. 2. La paideia spartana: il népios figlio della polis
  9. 3. La paideia ateniese: il népios fra òikos e paídeusis
  10. 4. Dalla rivoluzione pedagogica del V secolo a Platone: per una risignificazione della trophé fra paideia e politeia
  11. 5. Aristotele: il népios fra physis ed eudaimonia
  12. 6. Oltre le mura della polis: dall’areté ellenistica al De liberis educandis
  13. II. GLI INFANTES NELL’HUMANITAS DELL’ANTICA ROMA
  14. 1. Alle origini dell’Urbe: una storia di esposizione infantile
  15. 2. Gli infantes fra mos maiorum e familia: dalla romanitas arcaica alla rivoluzione del II secolo
  16. 3. L’Institutio oratoria di Quintiliano: fra primato dell’eloquenza e una nuova idea di paternità
  17. 4. Due testimonianze di “età imperiale” dei cambiamenti avvenuti nel rapporto madre-neonato
  18. III. IL SINITE PARVULOS AL CUORE DELLA PAIDEIA CRISTIANA
  19. 1. I testi evangelici: dal bambino Gesù ad una nuova concezione del parvulus
  20. 2. Dalla Didaché ai primi passi della paideia cristiana
  21. 3. Il Cristo pedagogo e il paídion cristiano di Clemente Alessandrino
  22. 4. Giovanni Crisostomo e l’anima infantile come una città
  23. 5. Girolamo fra psicologia infantile e metodo naturale
  24. 6. Agostino e la prima «autobiografia dell’infanzia»
  25. PARTE SECONDA - Dal Medioevo al Rinascimento
  26. IV. LA PAIDEIA OCCIDENTALE MEDIEVALE E L’AMBIGUITÀ DELL’INFANZIA FRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE
  27. 1. Il contributo paideutico dell’oblazione monastica
  28. 2. La paideia laica dal V al X secolo: il neonato come mal aimé?
  29. 3. Dal XI secolo in avanti: la coesistenza di nuove sensibilità e di vecchie ambivalenze
  30. V. IL BAMBINO NUOVO DELLA PAIDEIA UMANISTICA FRA ANTROPOCENTRISMO ED EDUCAZIONE LIBERALE
  31. 1. Uno sguardo inedito sul bambino e sull’educazione
  32. 2. Leon Battista Alberti: per una nuova idea di paternitas e di familia
  33. 3. Erasmo da Rotterdam e un nuovo modello di educazione del principe
  34. 4. Juan Luis Vives: un esempio di precettistica morale per l’educazione di fanciulle cristiane
  35. 5. Michel de Montaigne: dai limiti del pédantisme alla “testa ben fatta” del gentiluomo
  36. VI. FRA RIFORMA PROTESTANTE E RINNOVAMENTO CATTOLICO: LA NASCITA DELLA PEDAGOGIA
  37. 1. Lutero e la missione educativa della famiglia
  38. 2. Silvio Antoniano e l’educazione familiare secondo il rinnovamento cattolico
  39. 3. Jan Amos Comenio fra educazione universale e pedagogia come sapere autonomo
  40. APPENDICE ICONOGRAFICA
  41. PARTE PRIMA: DALL’ANTICHITÀ AL CRISTIANESIMO
  42. PARTE SECONDA: DAL MEDIOEVO AL RINASCIMENTO
  43. Indice dei nomi