Salam è tornata
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La parabola ecologica di un uccello sacro nella Siria di oggi

Gianluca Serra

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La parabola ecologica di un uccello sacro nella Siria di oggi

Gianluca Serra

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Gianluca Serra sbarca in Siria per prendere parte a un progetto di cooperazione internazionale e compie una clamorosa scoperta scientifica, la cui notizia farà il giro del mondo e finirà su tutte le riviste scientifiche più prestigiose. Il giovane biologo italiano, inviato per creare una riserva naturale nel deserto di Palmira, scopre l'esistenza di una colonia di Ibis eremita, un uccello dall'aspetto favoloso e bizzarro che si considerava estinto in Siria da più di settant'anni. Già sacro agli antichi egizi, con il suo lunghissimo becco adunco è immortalato in un famoso geroglifico del Tempio di Horus.
Salam (in arabo "Pace") è il nome che verrà dato a uno degli esemplari della colonia, una femmina, e che sarà monitorato per scopi scientifici nei suoi spostamenti e comportamenti.
Il libro racconta l'avventura di quella scoperta, l'entusiasmo e gli incredibili ostacoli alla salvaguardia dell'ultima colonia mediorientale – una battaglia lunga dieci anni – ma anche quello che sta accadendo oggi attraverso le voci di due rifugiati palmiriani che ce l'hanno fatta, o di chi è voluto restare, o di coloro che stanno attualmente cercando di oltrepassare il confine turco in frangenti drammatici.
Una Siria (all'epoca era ancora un sonnacchioso paese dittatoriale travestito da repubblica) perfettamente fotografata in queste pagine: tra le tende dei beduini, sotto il giogo dei famigerati servizi segreti, nei lussuosi palazzi del potere, lungo le sue strade polverose. Sullo sfondo l'allarme per un collasso ecologico globale.

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Information

Year
2020
ISBN
9788831461061
IL GIOCO DELL’OCA
Caselle vuote di uccelli e caselle troppo piene di umani. Uccelli che scalpitano per sopravvivere e umani che scalpitano per fare carriera sulla pelle dei volatili: la storia degli ibis non è soltanto una parabola ecologica emblematica dei problemi che il conservazionista in prima linea si trova ad affrontare, ma anche e più semplicemente una storia di intrighi e miserie umane che da un certo punto in poi ha assunto il carattere di un vero e proprio gioco dell’oca. Quel gioco in cui a un passo in avanti ne possono seguire molti all’indietro, gli imprevisti sono la regola e il sale del gioco sta nell’essere capaci di non scoraggiarsi, puntando ad andare avanti nonostante tutto.
Molte e variegate sono state le pedine che hanno reso pittoresco, a tratti grottesco, il gioco dell’oca in Siria.
Il capoprogetto. Per il capoprogetto somalo ero un giovane esperto all’inizio di una possibile carriera nell’Onu. Al tempo in cui lo incontrai nella hall di un albergo a Damasco ero solo un pivello. Lui era un simpatico lunatico: a seconda del momento mi trattava con sufficienza e una punta di arroganza, come si conviene a un vero capo di cultura araba, oppure, al contrario, mi riservava un trattamento alla pari, magari di sera, quando si sentiva solo e depresso e si ritrovava a vagare tra le rovine. In quei frangenti mi trattava addirittura con calore, a volte quasi come un figlio; in fondo eravamo gli unici stranieri, lontani dalla propria terra, residenti in quel villaggio remoto del deserto siriano. Di certo un po’ mi commiserava per l’idealismo e l’entusiasmo da novizio che dimostravo.
Il funzionario dell’ufficio regionale. «Ma tu allora sei un attivista!», sbottò un giorno, esasperato dalla mia insistenza, dall’ostinazione nel voler realizzare sul serio il progetto. Come se l’etichetta di attivista fosse una nota di demerito e indice di scarsa professionalità. A poco a poco cominciai a capire che questo inappuntabile signore incravattato voleva in realtà sottolineare la differenza, o meglio l’abisso, che ci separava: io ero un povero idealista ingenuo, che pensava di fare seriamente qualcosa con i fondi a disposizione, mentre lui era un vero professionista della cooperazione, un funzionario dell’Onu con i fiocchi, insomma uno che certamente non stava lì a sporcarsi le mani con le cose concrete e necessarie da fare, fuori dal suo lussuoso ufficio della Damasco diplomatica. Per questo ufficio regionale, i tentativi del giovane italiano erano solo una fonte di rogne e in quanto tali andavano contenuti.
Non c’era ragione al mondo che giustificasse il benché minimo dissidio tra Onu e governo siriano. I due soggetti sono infatti prosaicamente dei partner nel grande business della cooperazione internazionale. Insieme si accaparrano i progetti, ma soprattutto i fondi destinati ai progetti, generosamente elargiti dai donors internazionali. La loro attività principale è tutt’oggi costituita dalla redazione di tediosissimi rapporti tecnici che nessuno leggerà mai e montagne di comunicazioni formali necessarie ad alimentare il mostruoso metabolismo burocratico del progetto. Oltre che dalla creazione di accattivanti pagine web in cui si dichiarano successi favolosi mentre sul campo, tranne alcune notevoli eccezioni, i progetti rimangono troppo spesso lettera morta.
Il referente del governo. Per Al Trippone, e per buona parte dei funzionari corrotti siriani, io non ero altro che l’ennesimo furbastro straniero che cercava di lucrare sulla pelle dei beduini e del popolo siriano. Uguale in tutto e per tutto agli altri esperti-mercenari dell’Onu. Unica differenza ai loro occhi era che io condivo la faccenda con dei ridicoli princìpi.
Al Trippone era noto per essere scrupoloso nel vessare e ricattare tutti quelli che poteva. Pur appartenendo a una delle famiglie più abbienti di Palmira (possessore dell’unico palazzo degno di questo nome) non si vergognava minimamente di chiedere il pizzo, in modo impietoso e arrogante, ai suoi impiegati di estrazione povera e umile. Da quando il mio amico Adel era stato impiegato dal governo come ranger, lo chiamava una volta al mese chiedendogli di sacrificare una pecora (equivalente a uno-due salari mensili di Adel) perché aveva ospiti e doveva quindi imbandire un banchetto. Figuriamoci quali scrupoli poteva avere nei confronti di stranieri che lui immaginava ricchissimi e per questo degni del suo odio e della sua invidia.
Le organizzazioni non governative. Anche note come associazioni senza fini di lucro. Per l’organizzazione avicola globale (Oag) e per quella nazionale britannica (Oauk) io ero semplicemente un’opportunità da giocarsi. Qualche mese dopo la scoperta degli ibis avevo rivolto loro un accorato e sincero appello alla cooperazione, trattandosi di organizzazioni con fama internazionale di autorità nel campo della conservazione degli uccelli e della natura. L’uccello raro e carismatico che avevo scoperto aveva il potenziale per diventare un programma di punta per l’ufficio regionale dell’Oame, con sede ad Amman, che stentava a decollare. Per il personale delle Ong avicole io ero un esperto appassionato su cui si poteva contare (leggi “sfruttare ben benino”), almeno in teoria e finché conveniva loro.
Non passò molto tempo prima che l’Oame cominciasse a sbuffare ed essere in disaccordo su questa linea troppo morbida nei miei confronti: anche per loro, come per i governativi siriani e i burocrati dell’Onu, rimanevo un personaggio scomodo. Mi agitavo troppo, facevo troppe pressioni al fine di ottenere i permessi necessari per marcare gli ibis e altre cose del genere. Tutta questa attività costituiva un pericoloso precedente.
La gente del deserto. Per i nomadi ero una creatura singolare. Un alieno venuto da un altro pianeta. Gianluca, piovuto dal pianeta “Euroba”, si poteva permettere il grande lusso di essere sé stesso. «Tu sei come noi, hai qualcosa di nomade», mi disse con aria ispirata un beduino della zona degli ibis una sera di primavera. A quell’età in effetti lo ero. Avevo lasciato l’Italia da otto anni, e avevo lavorato già in varie zone remote di continenti diversi. Non avevo legami sentimentali importanti, ero appagato dal conoscere il mondo e dal sentirmi a casa un po’ ovunque – purché a stretto contatto con la natura e in posti lontani.
Per i beduini cammellieri di al-Talila, i fieri sba’a, tartassati dal governo siriano e continuamente a rischio di essere defraudati del loro diritto di utilizzare i pascoli tradizionali, io e la mia apparente follia rappresentavamo forse una residua speranza di resistenza. Di poter mandare tramite me un messaggio, magari ai vertici del sistema, sulla loro sventurata condizione di discriminati, di “specie in via di estinzione”. Di contro, ai loro occhi, in quanto parte del progetto Onu ero anche uno degli artefici della loro disgrazia.
Ex allievi e colleghi palmiriani. Credo che l’avventura della conservazione degli ibis abbia influito non poco su Mohamad, Ayoub e Adel, ex allievi del mio programma di formazione, colleghi e compagni di mille traversie. Ayoub, da cacciatore e bracconiere quale era, quando alla fine lasciai la Siria si era ormai metamorfosato in esperto nazionale e guida di birdwatching. Adel, che invece nel 2001 era un pastore, negli ultimi anni era diventato un rispettato ranger dell’Area protetta ibis. Mentre Mohamad, autista al momento del nostro primo incontro, a partire dal 2010 era addirittura stato nominato direttore dell’Area protetta. Al di là del miglioramento economico-sociale nella vita dei tre (più sociale che economico, per la verità), mi spingo a immaginare che aver vissuto insieme questa straordinaria esperienza abbia suscitato in loro un anelito nuovo. Di libertà, voglia di fare e possibilità di cambiare le cose. Come Adel mi ha fatto notare alcune volte.
La Reina. Mrs Asmaa al-Assad, la moglie del presidente Bashar al-Assad, la “Reina”, come l’avevo soprannominata, era probabilmente una delle poche persone dell’establishment che apprezzava il valore di quello che facevo in Siria. Sicuramente l’unica ad aver proferito più volte la magica frase: «Grazie per quello che stai facendo». Questa ragazza esile, dai lineamenti delicati, che allora aveva circa trent’anni, era nata e vissuta in Inghilterra, aveva studiato Scienze dell’informazione e lavorato nella City di Londra. Una persona in gamba e sveglia. Ma non ero tanto ingenuo da ignorare il fatto che in qualche modo anche lei mettesse a profitto il supporto che mi concedeva per costruire quell’immagine di donna moderna e impegnata, più che altro in campo sociale, a cui teneva molto.
Il funzionario Ong a sorpresa. Khaldoun A., funzionario dell’ufficio regionale di una Ong di conservazione della natura, è il tipo di persona paciosa e onesta che appare finalmente all’orizzonte quando ormai hai perso ogni speranza, quasi un emissario dal mondo dei giusti, per farti riappacificare con l’umanità.
Il profeta ecologico. Il sottoscritto. A un certo momento della mia vita, all’inizio di una possibile carriera accademica, avvertii chiaramente la “chiamata ecologica”. Fu una specie di illuminazione, avvenuta un tardo pomeriggio mentre viaggiavo su un bus sgangherato e colorato nella Patagonia cilena, bordeggiando spiagge con onde gigantesche e pittoreschi villaggi di pescatori. In quel momento realizzai per la prima volta che un conto era fare conservazione della natura come accademico tramite ricerche e analisi, stilando mappe e statistiche: il conservazionista da salotto o da laboratorio, insomma. Altro conto era fare il conservazionista da campo, cioè il cosiddetto practitioner. Colui che, ben schierato in prima linea dove la natura viene devastata, si sporca le mani e decide di rimanere invischiato fino al collo. Nessuna specie è stata mai salvata dall’estinzione con la sola ricerca. Fare conservazione significa alla fine dei salmi indurre un cambiamento significativo nel comportamento della gente.
Dal pomeriggio dell’illuminazione passarono sei anni prima di chiudere definitivamente i conti con la ricerca e prima che mi si offrisse l’opportunità di diventare un cooperante, o international civil servant, dell’Onu nel deserto siriano. Da allora, senza via di scampo, cominciai a soffrire del complesso del “missionario verde”.
All’inizio della saga dell’ibis in Siria, negli anni dal 2000 al 2004, ero per così dire al sicuro, sotto l’ala protettiva dell’Onu e la guida di un capoprogetto. Per quanta frustrazione e allergia mi procurassero il sistema e la burocrazia, specialmente verso l’ufficio regionale (lentezze, fiscalità intollerabili, maneggi al limite del giustificabile), almeno non ero direttamente coinvolto ed ero sufficientemente tranquillo per dedicarmi seriamente al lavoro per il quale ero lì. Le trattative con i loschi governativi non mi riguardavano. Il progetto terminò in maniera brusca e senza ragionevole preavviso per la mancata estensione dei fondi a causa delle frizioni tra il governo donatore, l’Onu e il governo siriano. Mi ritrovai da solo a Palmira. Tutto lo staff del progetto si disperse, vennero tolte le tende in quattro e quattr’otto. Come fanno i beduini.
Naturalmente a me non passò neanche per l’anticamera del cervello di mollare tutto. Eravamo solamente a metà dell’opera. C’erano gli ibis da salvare, c’erano gli impegni presi con le popolazioni locali. Rimasi quindi con i miei due fedeli compagni Mohamad e Adel a Palmira, determinato più che mai a perseguire la mission impossible. Ingenuamente pensai che avrei potuto contare sulla Ong avicola globale e su una Ong nazionale siriana, la prima che si occupasse di natura in Siria e che avevo contribuito a mettere in moto. Ma in combutta con Al Trippone, queste realtà non aspettavano altro che restassi solo, senza protezioni, per farmi fuori. Si creò quindi una specie di “asse del male”, coalizzato contro di me, ai vertici del quale c’erano l’Oame, un viscido governativo di Damasco (fondatore della Ong siriana) e il nostro buon Al Trippone a Palmira.
Quest’ultimo non esitò a fare leva sul mukhabarat per cercare di spaventarmi e farmi mollare la presa. È praticamente impossibile sopravvivere come residente straniero indipendente in Siria senza avere l’ombrello protettivo di qualche organizzazione internazionale o istituzione straniera. Infatti la polizia segreta cominciò subito a girarmi intorno, subii l’agguato nel deserto e feci la spiacevole conoscenza del generale del mukhabarat di Palmira.
Cercai di resistere il più a lungo possibile. Ma alla fine dovetti lasciare la Siria per tornare in Italia nell’estate del 2004, immaginando, e sperando, di tornare attraverso un nuovo progetto gestito dalle Ong avicole.
Trascorso un anno dalla fine ...

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Serra, Gianluca. (2020) 2020. Salam è Tornata. [Edition unavailable]. Exorma edizioni. https://www.perlego.com/book/1978934/salam-tornata-la-parabola-ecologica-di-un-uccello-sacro-nella-siria-di-oggi-pdf.

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Serra, G. (2020) Salam è tornata. [edition unavailable]. Exorma edizioni. Available at: https://www.perlego.com/book/1978934/salam-tornata-la-parabola-ecologica-di-un-uccello-sacro-nella-siria-di-oggi-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Serra, Gianluca. Salam è Tornata. [edition unavailable]. Exorma edizioni, 2020. Web. 15 Oct. 2022.