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Appunti tra due secoli (1964-2020)

Luigi Picardi

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Appunti tra due secoli (1964-2020)

Luigi Picardi

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La «questione regionale», aperta lungo l’intero corso della storia italiana unitaria, si è posta dapprima come istanza per l’introduzione delle Regioni nella struttura dello Stato fino alla Costituzione repubblicana del 1948, poi come attuazione dell’ordinamento regionale, che si sarebbe avviata per le Regioni a statuto ordinario, ventidue anni dopo, con l’elezione dei consigli regionali nel 1970.
Nell’ambito della questione regionale italiana la specificità della questione regionale molisana si è segnalata per aver rappresentato dalle origini negli anni Venti del secolo scorso e fino alla Costituente un «caso»; e più tardi, dopo il riconoscimento del Molise come Regione per separazione dagli Abruzzi nel 1963, un «problema», per il venir meno della sua vitalità economica e della sua coesione sociale di cui è emblematico, con altri fondamentali indicatori, il progressivo vistoso calo demografico a 302 mila residenti all’inizio del 2020.
Di qui il coinvolgimento della Regione a statuto ordinario più «piccola e vuota» nelle varie ipotesi discusse in questi ultimi anni per una diversa configurazione regionale italiana incentrata su nuove entità di area vasta. Con l’ampia introduzione che li sostiene, gli articoli che si ripropongono in Appendice documentano una lunga attenzione alla questione regionale molisana fino alle più marcate criticità del presente nel quadro ancora complesso e travagliato del regionalismo italiano.

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Information

Year
2020
ISBN
9788838250439
Topic
History
Index
History

1. La «sistemazione» del Molise

Scritto all’indomani dell’approvazione della legge costituzionale 27 dicembre 1963, n. 3, che istituiva la Regione Molise distaccando il territorio della Provincia di Campobasso dalla preesistente Regione Abruzzi e Molise voluta dall’Assemblea Costituente giusto sedici anni prima, il 27 dicembre 1947, l’articolo veniva pubblicato su «Nord e Sud» [1] , la prestigiosa rivista meridionalista diretta da Francesco Compagna [2] . Un estratto dell’articolo veniva riportato su «Informazioni Svimez» [3] .
Stigmatizzando i limiti di un regionalismo come quello molisano, non privo di accenti campanilistici, si auspicava che esso potesse farsi carico di «un lavoro non facile, per riempire di sostanza economica e civile una scatola vuota, un comprensorio delimitato in base a criteri prevalentemente giuridici e storico-amministrativi».
Constatato che «ad un secolo di distanza dall’unità politica italiana il Molise non aveva ancora un capitolo suo nella questione meridionale», veniva disegnato a grandi linee il possibile sviluppo della nuova regione, ancorando le argomentazioni a quanto si era potuto apprendere presso la Svimez – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno [4] .
In particolare, il percorso indicato risentiva della distinzione operata allora riguardo al territorio del Mezzogiorno da Nino Novacco [5] , segretario generale della stessa Svimez, e ripresa da Compagna [6] , tra aree di sviluppo ulteriore, «caratterizzate dall’esistenza di non abbondanti risorse ulteriormente sfruttabili, ma anche da un forte addensamento sia di capitali sociali che di capitali tecnici (nell’agricoltura, nei servizi e soprattutto nell’industria) in presenza di una densissima ed esuberante popolazione», rappresentanti solo il 5 per cento della superficie del Mezzogiorno e il 29 per cento della sua popolazione; aree di sviluppo integrale, caratterizzate «da una bassa densità media di popolazione, suscettibile però di aumento, dato che in queste aree, se è piuttosto scarsa la precedente accumulazione di capitale, ci si trova generalmente in presenza di risorse naturali (agricole, idriche, minerarie) non ancora sufficientemente valorizzate», che riguardavano il 32 per cento del territorio meridionale e il 25 per cento della popolazione; e aree di sistemazione, «caratterizzate da una accentuata scarsità sia di risorse naturali che di capitali tecnici e sociali», che corrispondevano al 60 per cento della superficie del Sud e al 50 per cento della sua popolazione: l’«osso» del Mezzogiorno, altro dalla «polpa», secondo la classica immagine di Manlio Rossi-Doria [7] , le zone interne di montagna e di alta collina (individuate già allora da alcuni analisti come «zone di fuga») sulle quali si sta rinnovando oggi l’attenzione degli studiosi [8] e delle istituzioni [9] .
Dalla distinzione di Novacco discendeva il titolo stesso dell’articolo in cui per la prima volta si richiamava l’attenzione sul Molise come tipica area di sistemazione, della quale colpivano già la forte «decadenza demografica che è sinonimo di indigenza» e «la depressione che coinvolge tutti i rami dell’attività economica» [10] .
Alla luce delle tendenze demografiche in atto nella regione tra i due censimenti 1951 – 1961 e dello spopolamento che da «salasso» si era già fatto «emorragia», il tipo di sviluppo possibile della realtà molisana sembrava dover valorizzare soprattutto bosco e pascolo in agricoltura; imprese lattiero casearie e della carne, del legno e della carta, della cellulosa e delle resine nell’industria; altri insediamenti industriali nelle «oasi» del Venafrano e del Termolese; puntare sulla congiungente più breve tra Adriatico e Tirreno come «asse di sviluppo» da Termoli a Napoli lungo la valle del Biferno ed oltre il Matese per aprire la regione al Mezzogiorno e al Paese; promuovere il turismo balneare e montano; la diversificazione e il potenziamento delle istituzioni scolastiche in funzione dello sviluppo [11] , fino a comprendere l’insediamento di una «università di tipo nuovo», che non si riducesse a un diplomificio fine a se stesso, per essere capace invece, grazie a una scelta accorta delle facoltà, di elaborare e di anticipare l’intervento economico in un rapporto stretto con il territorio, sicchè il tema dell’università molisana veniva per la prima volta proposto all’attenzione di un più ampio pubblico colto dalle pagine di un’autorevole rivista nazionale [12] .
Un tipo di sviluppo, peraltro, «necessariamente lento [...] che probabilmente non saranno neanche i giovanissimi a vederne pienamente concluso il ciclo».
Pessimismo o, forse, ottimismo? Quei giovanissimi, oggi ormai anziani, sono testimoni di ben altro: di un Molise in agonia, passato dai 352 mila abitanti al momento della separazione dagli Abruzzi nel 1963 (0,69 per cento del totale italiano di 51 milioni) ai 302 mila di inizio 2020 (0,50 per cento del totale italiano di 60 milioni), senza dire delle inquietanti negatività di altri significativi parametri di riferimento, come periodicamente rilevati, tra gli altri, da Svimez, Istat e Banca d’Italia.
Discostandosi in qualche modo dalla linea fortemente critica assunta dalla rivista subito dopo l’istituzione della Regione Molise [13] , l’articolo esprimeva fiducia, nel clima culturale e politico maturato in quegli anni intorno al tema della programmazione economica, che il Molise potesse «avere, in quanto regione, una propria capacità di programmazione, in grado di garantire quel certo tipo di sviluppo che sia sufficientemente organico nella visione di un regionalismo economicamente aperto [...], avere, cioè, la possibilità di far valere la sua presenza nel Mezzogiorno e nel Paese, più di quanto non avrebbe potuto farla valere in quanto plurima periferia delle regioni limitrofe». E ciò grazie a «un nuovo corso della classe politica [...] una nuova collaborazione tra le forze della sinistra democristiana e della sinistra laica [...] supporto politico di una trasformazione della società molisana».
L’auspicato nuovo corso non ci sarà e il Molise dovrà aspettare ancora a lungo prima di (non) essere ... «sistemato».




[1] A. XI, nuova serie, maggio 1964, n. 53 (114), pp. 79-91, presente in Appendice. Sulla rivista, tra gli altri, F. Compagna e G. Galasso, Autobiografia di «Nord e Sud», in «Nord e Sud», a. XIV, nuova serie, gennaio 1967, n. 85 (146), pp. 81-115, poi in « Nord e Sud » quasi trent’anni, a cura di Guido, Luigi, Anna Maria e Piero Compagna, Società Editrice Napoletana, Napoli 1985, pp. 456-490.
[2] Sulla sua figura di studioso, politico e uomo di governo, Francesco Compagna e la democrazia nel Mezzogiorno (scritti di G. Arnaldi, S. Fenoaltea, R. Romeo, M. Rossi-Doria, P. Saraceno, G. Spadolini, L. Valiani), in «Nuova Antologia», a. 117, 1982, n. 2143, pp. 3-35; G. Spadolini, Addio Compagna, ivi, pp. 155-161; C. Muscarà, Francesco Compagna dal meridionalismo alla geografia, in «Rivista Geografica Italiana», a. XC, 1983, pp. 65-79. Tra gli studi più recenti, i contributi in G. Pescosolido (a cura di), Francesco Compagna meridionalista europeo, Lacaita, Manduria-Bari-Roma 2003. Chi scrive aveva avuto il prof. Compagna docente di geografia politica ed economica e relatore di laurea all’Università di Napoli Federico II nel 1963.
[3] A. XVII, nn. 21-22, 20-27 maggio 1964, pp. 383-385.
[4] Nel 1964, vincitore di una borsa di studio, chi scrive frequentava il «VII corso di formazione e specializzazione sui problemi della teoria e della politica dello sviluppo economico» che si svolgeva nella sede romana della Svimez sotto la guida di Pasquale Saraceno e valenti studiosi italiani e stranieri.
[5] Zone «omogenee» e sviluppo economico regionale, in «Nord e Sud», a. VI, febbraio 1959, n. 51, pp. 31-46.
[6] La questione meridionale, Garzanti, Milano 1963, pp. 137 ss.
[7] Dieci anni di politica agraria, Laterza, Bari 1958; ora, con introduzione di Francesco de Stefano, l’ancora del Mediterraneo, Napoli 2004; M. Rossi-Doria, La polpa e l’osso. Agricoltura risorse naturali e ambiente, a cura di Marcello Gorgoni, l’ancora del Mediterraneo, Napoli 2005. Nella ricca bibliografia sullo studioso e sul politico, si veda ora la lezione di G. Fabiani, Il meridionalismo di Manlio Rossi-Doria tra impegno scientifico e azione, in Lezioni sul meridionalismo. Nord e Sud nella storia d’Italia, a cura di S. Cassese, cit., pp. 181-212.
[8] Tra i contributi più recenti, E. Borghi, Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale, Donzelli, Roma 2017; M. Marchetti, S. Panunzi, R. Pazzagli (a cura di), Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, Prefazione di E. Borghi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2017; M. Della Morte, M.A. Gliatta, La Strategia per lo Sviluppo delle Aree Interne e la sua implementazione in Molise e in Abruzzo, in «Le Regioni», n. 6, dicembre 2017, pp. 1270-1277; G. Macchi Jánica e A. Palumbo (a cura di), Territori spezzati. Spopolamento e abbandono nelle aree interne dell’Italia contemporanea, Cisge – Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici, Roma 2019. Nel Molise non sono mancate nel tempo, in vari ambienti della cultura e della politica, attenzioni per le zone interne. E’ forse il caso di ricordare l’iniziativa di sensibilizzazione presa dal Comune di Campobasso nel 1973, indicendo un «Premio Campobasso» da conferirsi ad una monografia che fosse ritenuta in grado di «evidenziare con originalità i problemi e le prospettive dello sviluppo economico, sociale, civile e culturale della società meridionale con particolare riguardo al “Mezzogiorno interno”» da una commissione presieduta da Pasquale Saraceno e composta da Francesco Compagna, Sandro Petriccione, Manlio Rossi-Doria e Decio Scardaccione. L’iniziativa non avrebbe avuto ulteriore corso in quel Comune dopo le dimissioni dell’assessore alla pubblica istruzione Luigi Picardi, promotore ed organizzatore del premio.
[9] Il riferimento è...

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