Per una Chiesa scalza
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Per una Chiesa scalza

Ernesto Olivero

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Per una Chiesa scalza

Ernesto Olivero

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PresentazioniCardinal Angelo Comastri, Vicario Generale di Sua Santità per la Città del VaticanoErri De LucaMons. Giuseppe Versaldi Vescovo di AlessandriaMadre Anna Maria Cànopi Badessa dell'Ordine di San BenedettoMatteo Spicuglia

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UNA PORTA SEMPRE APERTA ...

I tre saggi

Un giorno, Dio decise di mandare di nuovo suo Figlio sulla Terra. Attraverso il suo angelo, informò i vertici ecclesiastici che Gesù sarebbe tornato per fare un giretto. Panico: come accoglierlo? Chi sapeva della cosa, prese una decisione: « Dobbiamo invitare tre personalità illustri del mondo intero, perché possano accogliere Gesù con grande sapienza ». Furono scelti tre uomini saggi. Al tempo e all'ora fissata, nel luogo prestabilito, arrivò Gesù. I tre saggi delegarono uno di loro per rivolgere la prima parola al Figlio di Dio. La prima parola, però, se la prese Lui: « La gente chi dice che io sia? ». Il saggio dei saggi, sicuro, ma emozionato rispose: « Gesù, tu sei il fondamento escatologico... ». Gesù lo interruppe subito: « Escato che???? ».
Questo aneddoto lo raccontò il cardinal Léon Joseph Suenens, primate del Belgio, al Pomeriggio di Speranza che organizzammo il 13 maggio del 1973.
Mi è sempre rimasto impresso. Molta ironia, ma a volte nell'ironia sono nascoste verità profonde. E quella storiella mi fa pensare ancora oggi.
Dio non opera con parole che nessuno capisce. Gesù è chiaro e diretto, ma bisogna prenderlo sul serio. Quando dice che è venuto per i malati e per i deboli, lo dice sul serio. Quando Gesù prende un bambino e lo indica come esempio, lo fa sul serio. Quando dice « Venite a me, voi tutti affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò », lo dice sul serio. Nella mia vita ho visto tanti poveri cristi che ne hanno fatte di tutti i colori. Eppure, quando se ne sono resi conto, pentendosi e chiedendo scusa, sono diventati dei giganti. Quante volte ho visto uomini e donne che facevano fatica con la purezza e con il loro corpo, sentendosi una schifezza infinita. Eppure, hanno accettato di diventare campo per un seme di Dio e sono diventati un esempio, capaci di parlare di purezza e di castità, con il cuore, con credibilità.
Ho capito così che Gesù è vivo e che la sua è una storia piena di misericordia. Per tutti. Dobbiamo credere a quelle parole! Più sono impossibili e assurde e più diventiamo campo, più lo stupore ci prende, più siamo in grado di raccontare con la nostra vita che la storia di Gesù è l'unica storia di salvezza possibile. Gesù non è una parola o una verità come tante: è la Parola, è la Verità. Ma guai a chi usa le sue parole per farsi i fatti propri e ingannare. Qualcuno forse ci riuscirà, ma deve sapere che per chi è vittima di scandali e di fregature c'è una forza segreta e speciale. Ci sono quelle parole: « Venite a me, voi tutti... ».

L'imprevisto accolto

Uno dei passaggi fondamentali della nostra storia è quando abbiamo capito che ogni imprevisto doveva essere accolto. Gli Arsenali si sono aperti negli anni a servizi e accoglienze che mai avrei immaginato. Tutto quello che abbiamo fatto, non lo abbiamo fatto per nostra iniziativa, ma perché una persona, una situazione, un problema ci hanno interpellato. E, nell'imprevisto accolto, abbiamo scoperto che Dio parla. C'è il suo dito.
Caro imprevisto, se non ti avessi accolto l'Arsenale di guerra continuerebbe a essere Arsenale di guerra oppure un rudere, rifugio di animali o di sbandati. Caro imprevisto, se non ti avessi accolto ci sarebbero state tante persone in più morte per il freddo, dimenticate sotto un ponte. Caro imprevisto, se non ti avessi accolto, tante donne non avrebbero trovato un riparo e una famiglia, ma sarebbero ancora merci o lapidi di un cimitero. Caro imprevisto, se non avessi incontrato quel « Tu, Olivero, stanotte dove dormi? » detto da un ragazzo di vent'anni, la nostra vita sarebbe diversa. Se questa notte negli Arsenali hanno dormito quasi duemila persone è perché quel dito puntato contro di me non mi lasciò indifferente, ma fu un appuntamento con Dio. Ancora oggi, benedico quell'imprevisto che ha trovato casa nella mia mente. Grazie imprevisto, che sei diventato l'atteso, il ricercato, il benedetto dal Signore.
Alle nostre porte, l'imprevisto bussa continuamente. Ricordo quando sotto Natale ci chiamò una assistente sociale per chiederci di accogliere una ragazza, ricoverata nel repartino psichiatrico di un ospedale. « Ernesto, ha pochi giorni di vita. Facciamola morire in modo dignitoso. Potete prenderla con voi per un breve periodo? ». Un imprevisto a cui fu naturale, anche se non scontato, dire di sì. Quella ragazza era alta un metro e 75, pesava poco più di 30 chili: uno scheletro. Aveva problemi di ogni sorta. Anche la madre ci prese per pazzi. « Voi siete troppo bonaccioni, - ci disse - mia figlia vi fregherà, è un disastro, non si merita più nulla ». « Signora, - fu la mia risposta - non si lasci ingannare dalle apparenze. Se vogliamo, sappiamo essere severi come carogne ».
Quella ragazza, quell'imprevisto accolto ancora una volta, ci fece capire la strada per allargare l'amore. La situazione che dovevamo affrontare era complicatissima. Avevamo a che fare con una giovane bugiarda, violenta, senza speranza. Ma andammo dietro all'amore che volevamo vivere. Organizzammo turni continui, le dedicammo tutte le attenzioni, coinvolgemmo 18 donne volontarie tutte per lei.
Risultato: quella ragazza che sarebbe dovuta morire nell'arco di un mese, visse con noi due anni. Da viva. Passo dopo passo, riuscì a riconciliarsi con Dio, con il proprio corpo, con la famiglia. E i frutti rimangono. Sua mamma, una povera donna che riesce a fatica ad arrivare alla fine del mese, viene ancora a trovarci e ci aiuta. Mi commuove ancora pensare a quando trovò un libretto al portatore con dei soldi che le avrebbero fatto molto comodo. Non ebbe esitazioni: donò tutto ai nostri poveri.
L'incontro con quella ragazza ci ha insegnato tanto, soprattutto ad accogliere le persone nella loro interezza. Accogliere chi bussa, non come problema, ma come una ricchezza. Lo dico sempre: il bene va fatto bene e questa filosofia è la stessa dei miei amici. Rimango senza parole a ripensare alla storia di questi anni. Mai un amico che mi abbia detto: « Stiamo esagerando, rallentiamo, non si può più vivere in una casa di matti, senza orari, senza programmi, pronti ad accogliere gli imprevisti, anche di notte ». È uno stupore immenso che ti aiuta a sopportare l'ingratitudine e dà una speranza senza fine.
Accogliere l'imprevisto significa anche non avere paura dei propri limiti, degli imprevisti che arrivano da dentro. Un giorno Umberto Agnelli disse che il mio stile era quello di buttare il cuore oltre la siepe e di andargli dietro. Mi riconosco molto in questa immagine. Il punto è che in tante situazioni non abbiamo sempre l'amore e l'umore giusti. Stati d'animo, condizionamenti, paure a volte possono fermarci. Ma abbiamo a disposizione una mente, un'intelligenza che sono il vero motore per accogliere gli imprevisti. Possiamo cambiare il nostro carattere, possiamo imporci una condotta, anche una scelta. Spesso, in questa costrizione, possiamo scoprire doni inestimabili, magari un supplemento di pazienza, un supplemento di misericordia. Del resto, quale sarebbe l'alternativa? Nascondersi? Chiamare la mamma? Arrendersi? Molti fanno così, ma non è la strada. Toccare il limite di se stessi, accogliere un imprevisto è sempre una benedizione. Non sono parole. Io l'ho visto.

Io so cos'è la speranza... anzi, no

Io non so cos'è la speranza e in fondo non mi interessa, però so come dare speranza, come far felici gli altri. Quando voglio che il mio pensiero e la mia mente si rallegrino, basta che pensi di essere in Giordania, a Madaba, all'Arsenale dell'Incontro, piazzarmi sulla porta e aspettare il pulmino che arriva. Sento già nell'aria uno strepitio, e appena si aprono le porte ecco cinque, dieci, quindici, venti bambini diversamente abili uscire con una gioia indicibile: vedono nella porta aperta dell'Arsenale dell'Incontro una salvezza e si precipitano. Sono i ciechi e zoppi del Vangelo, persone che fanno fatica a camminare, ma hanno gli occhi fissi su quella porta; lì siamo amati, lì possiamo giocare, lì passeremo una buona giornata. Ecco, quando voglio pensare a qualcosa di bello, vado sul sicuro.
Non so cos'è la speranza, ma so che da quando la Provvidenza ci ha fatto incontrare e accogliere persone che avevano chiuso con la vita, con la fiducia nella vita, e si sono sentite accolte, ho visto assassini convertirsi, convertirsi veramente, perché avevano trovato una porta aperta e non uno sguardo di pietra che li giudicava. Non so cos'è la speranza, ma ho visto donne che avevano chiuso con la vita, fatte a pezzi, ritrovare il sorriso perché qualcuno le ha accolte e, nel silenzio, ha pianto con loro.
Non so cos'è la speranza, ma so come far felici gli altri: se riesco a non alzare la voce, se riesco a gioire delle mie amiche, dei miei amici e lasciare loro spazio, se scelgo di restare in silenzio per far parlare chi mi avvicina.
Non so cos'è la speranza, anzi, non è vero, so cos'è: è far felici gli altri, è aiutare chi è nel dolore a respirare: « Io sono con te; non so darti risposte, ma sono con te. Tu non sei solo ». La speranza è non far sentire solo nessuno. La speranza è far capire alla gente che c'è un posto che veglia 24 ore su 24, con una porta aperta, un telefono sempre pronto ad ascoltare un dramma e a volte a piangere insieme. La speranza è avere un po' di rimpianto, perché se ci fossero delle ragazze e dei ragazzi in più a dare la vita, potrebbero esserci più risposte.
Io so cos'è la speranza: speranza è far spazio agli altri, è saper chiedere aiuto allo Spirito Santo: « Sono stanco, non so cosa dire, aiutami Tu », perché noi non dobbiamo parlare secondo la nostra logica, ma secondo la logica di Dio che bussa costantemente alla nostra porta per poter dare speranza, anche se apparentemente non l'abbiamo.
Diventiamo cristiani quando diamo spazio allo Spirito. Il cristiano incomincia a parlare quando, non sapendo cosa dire, cosa fare, a volte neanche cosa pensare, quasi presta la voce, presta lo sguardo, presta le mani a Dio. E allora si accorge che qualcuno, vicino a lui, si rallegra. La speranza è quel volto che sorride tra le lacrime, è quella persona che aveva smesso di camminare e ricomincia a muoversi. Tu ti meravigli e ti accorgi che in quel momento l'altro ti sta dando speranza. Perché speranza è amare e amare è dar da mangiare a chi ha fame, vestire chi è nudo, accogliere lo straniero, visitare il carcerato...

Le piccole di Gerusalemme

Una sera di qualche anno fa ricevo la telefonata di un giornalista. Voleva un mio commento sull'arresto di alcuni politici coinvolti in un traffico di cocaina. « Guardi, non so nulla perché arrivo adesso dal Brasile ». Insiste: « Cosa ne pensa di chi assume droga per rendere di più sul lavoro, per avere più energie? ». Mi viene da ridere: « Guardi, parla alla persona sbagliata. Sono appena rientrato da un viaggio di 80 ore, 40 le ho passate in aereo per spostarmi da un posto all'altro dell'Italia, della Germania, del Brasile. Il tutto senza nemmeno un tiro di coca ». Il mio interlocutore sorride, ma il problema è serio. Cos'è che non funziona?
La spiegazione per me è semplice. Il problema è che l'attore principale non è mai interpellato. E l'attore principale è Dio! Il nostro mondo si è dimenticato che esiste Dio, che esiste un Amore a nostra disposizione. Dio diventa amore quando qualcuno si intestardisce e non ha più paura.
L'amore diventa Amore se io divento amore: io che consolo, io che perdono, io che accetto un'offesa e non la ricambio, io che accetto di dare del mio. Non si va da nessuna parte, lamentandosi. Solo chi ama crea speranza, crea sequela. Il Signore ci chiede di diventare sempre più amore, ma questo amore non è lontano da noi, è dentro di noi. Noi lo abbiamo sperimentato tante volte.
Il 18 gennaio 1988 all'Arsenale della Pace abbiamo iniziato le accoglienze. Prima per gli uomini, poi per le donne. Ogni giorno, ogni notte storie nuove, 365 giorni l'anno, con la decisione di non chiudere più la porta, né a Natale, né a Capodanno, né a Pasqua, né a Ferragosto. Abbiamo accettato che il mondo ci entrasse in casa: ci ha portato lingue, culture, ideologie e religioni diverse; ci ha portato donne ferite dalla violenza e ridotte in schiavitù, madri disperate, uomini imprigionati per le loro idee, famiglie, anziani; ci ha portato Torino, l'Italia con le sue povertà, le sue violenze; ci ha portato le ferite delle guerre nel mondo e le conseguenze tragiche del sottosviluppo. Il mondo in casa ci ha educato ad allargare lo spazio della nostra tenda, a far posto all'altro, ad ascoltarlo, a non aver paura di chi è diverso da noi, a perdonare chi ha sbagliato. Ci ha fatto crescere!
A volte le persone che accogliamo rimangono da noi per poco tempo e non facciamo in tempo ad abituarci ai loro nomi e ai loro volti, altre volte le loro vite si intrecciano con le nostre e quasi diventano parte della nostra famiglia. Capita così a volte di ricevere una carezza da parte di qualcuno degli ospiti, come nel caso di Nicole. Ecco cosa può fare l'amore. Ce lo scrive in una lettera.
« Sono Nicole, vengo dal Congo. Al mio Paese ho lasciato mio marito e due figli, di 4 e di 9 anni, di cui non so più nulla. Ho trentun'anni, ho studiato diritto all'università. Sono stata arrestata ed in carcere ho subito ogni sorta di abuso e di umiliazione perché mio marito appartiene ad uno schieramento di opposizione. Mia mamma quattro anni fa si è messa una corda al collo e si è impiccata dopo aver subito una violenza sessuale. Mi viene da piangere a pensare che poco più di un anno fa, in questo periodo, ero appena arrivata in Italia e come noi tutte piccole di Gerusalemme la notte non dormivo perché la testa non smetteva di pensare. Il Sermig per noi è Gerusalemme. Così tra noi ci chiamiamo piccole di Gerusalemme; ci avete accolto senza neanche sapere chi eravamo. Per tutte noi il primo periodo in Italia è stato bruttissimo, non capivamo nulla; voi ci avete dato un amore così grande che io in trentun'anni della mia vita non ho mai visto. Mai avrei immaginato possibile dare un amore così grande e forte a persone che neanche si conoscono. Il Sermig è Gerusalemme terrestre perché c'è pace, speranza, amore, coraggio, amore e ancora amore. Dio abita lì perché Egli stesso ci ha detto che è Amore. Al Sermig
ho incontrato il sig. Olivero: è padre della speranza, dell'amore e del coraggio. Lui poteva pensare solo alla sua famiglia e invece ha deciso di prendersi cura di tutti. Ho incontrato anche la Fraternità, i volontari: avete fatto per me le camicie e i cappotti che indosso. Voi, il sig. Olivero, fate tutto questo per tanta gente. Accogliete donne senza speranza, come noi, venute da tutte le parti del mondo, che parlano lingue diverse. Vi mettete al servizio dei più poveri e passate il giorno e la notte ad ascoltarci e ad incoraggiarci a superare la nostra sofferenza. Voi date la vita per noi, potreste lavorare e guadagnare per farvi una vostra vita e invece avete scelto e preferito i poveri alla ricchezza. Avete lasciato le vostre famiglie, mariti, figli, genitori, sorelle e fratelli, per essere con noi che non siamo niente di niente, senza alcuna importanza. Siamo donne stanche della guerra, della violenza, delle ingiustizie etniche, sociali e culturali, donne senza importanza. Io penso che se solo ci fosse qualche Sermig in più nel mondo, il mondo sarebbe diverso, sarebbe migliore. Nel mio Paese ci sono troppe cose brutte e io pensavo che tutto il mondo fosse così. Qui ho ricevuto tanta forza nel vedere voi. Voi ci avete amato come delle figlie senza neanche conoscerci e ho capito che dovevo essere forte perché stavo ricevendo tanto, tantissim...

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