Bambini affittati. Vaché e sërvente: un fenomeno sociale nel vecchio Piemonte rurale e montano
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Bambini affittati. Vaché e sërvente: un fenomeno sociale nel vecchio Piemonte rurale e montano

Molinengo Aldo

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Bambini affittati. Vaché e sërvente: un fenomeno sociale nel vecchio Piemonte rurale e montano

Molinengo Aldo

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Nella quasi totalità delle famiglie contadine, uniche cose che si tramandavano da una generazione all'altra, oltre a un po' di terra, erano la miseria e la fame. La scarsità di cibo condizionava tutta l'esistenza fin dalla nascita e, dei tanti figli che venivano al mondo, molti morivano a pochi giorni o pochi mesi di età. Per chi sopravviveva c'era il problema quotidiano di sfamarsi, che per i bambini veniva risolto mandandoli via da casa a lavorare: maschi e femmine, fin dagli otto o nove anni, venivano "affittati" per diversi mesi ad altre famiglie. Nei mercati e nelle fiere, oltre a vendere, comprare e scambiare merci, molti contadini affittavano i propri figli per impiegarli nella custodia del bestiame al pascolo o in altri lavori.

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Information

Year
2012
ISBN
9788880686231

IL LAVORO MINORILE

L'affitto dei bambini presso altre famiglie, per impiegarli in lavori inerenti l'attività agricola, è stata una realtà che per secoli ha riguardato capillarmente ogni territorio. Ma si può facilmente pensare che fosse un fatto talmente scontato che non poteva, nei tempi passati, meritare un qualsivoglia documento scritto. Pertanto al riguardo non esiste una vera e propria storia d'archivio. Qualche frammento di documentazione si può invece estrapolare da carte notarili, che si riferiscono all'impiego di bambini in attività di tipo artigianale, in particolare nella lavorazione dei filati e dei tessuti. Da queste testimonianze scritte, si può presumere che ci fosse un notevole sfruttamento delle bambine o ragazze, se a Venezia nel XIV secolo venne emanata una legge, la prima forse, e per molto tempo l'unica, con la finalità di regolamentare il lavoro minorile.
Inoltre, un destino comune a molte bambine, nei secoli passati, era quello di essere affidate a famiglie agiate, in qualità di aiutanti nei lavori domestici, ricevendo in cambio una piccola dote per il loro futuro matrimonio. Ma più che di domestiche, in molti casi si poteva parlare di serve, viste le condizioni di lavoro, aggravate dal rischio di non ricevere niente se ci si era ribellate a qualche sopruso. Questa prassi è continuata ovunque, anche se con toni meno duri, fino a pochi decenni fa.
Il lavoro svolto da piccoli minori non solo ha avuto diverse forme, ma ha anche riguardato molte epoche storiche, e tra tutte le occupazioni l'impiego dei bambini nelle campagne è stato sicuramente il più diffuso. La consuetudine di affittare uno o più figli per diversi mesi all'anno a una famiglia contadina più ricca, in modo da assicurare loro almeno un po' di cibo, è stata radicata per moltissimo tempo, qui come altrove, sia in Italia che all'estero. Le zone più interessate dal fenomeno sono sempre state, ovviamente, quelle più povere, prima tra tutte la montagna. Dall'Italia, oltre che spostarsi nell'ambito della propria valle o in territori vicini, si raggiungeva la Francia, la Svizzera, l'Austria e da quest'ultima anche la Germania. Uno spostamento, comunque, che avveniva da una grande a una meno grande povertà, visto che nessuno stava decisamente meglio degli altri. La miseria infatti era diffusa ovunque, e non c'era paese europeo che ne fosse privo.
Tutte queste tipologie di lavoro minorile si sono poi esaurite, nei diversi momenti storici, a seconda di come sono mutate le condizioni economiche e sociali delle varie nazioni e di ogni area particolare. Nell'Ottocento fu l'Inghilterra il primo paese che vide cambiare le forme di utilizzo dei bambini nel lavoro, ma solo per spostare il problema da un settore all'altro. Infatti, la crescente industrializzazione vide nei minori un interessante serbatoio di manodopera. Al proposito, non fu un caso se le prime leggi relative al lavoro minorile furono quelle inglesi, seguite poi da quelle emanate in altri stati. In Italia, soprattutto nel Settentrione, il lavoro dei bambini nell'agricoltura ha iniziato a spegnersi verso gli anni Cinquanta del Novecento, in conseguenza dell'introduzione di novità tecnologiche di automazione. Tra queste, una delle più importanti è stata una semplice ma geniale invenzione, tuttora usata, che ha preso il posto dei piccoli vaché di pianura, i pastorelli che dovevano custodire il bestiame al pascolo. Si trattava di un filo elettrico, alimentato da una piccola batteria, e steso a formare un recinto attorno all'area di pascolo. Venne subito chiamato vaché elétrich, e la modesta scossa elettrica, prodotta appena toccato, diventò ancora più efficace dei richiami e dei deboli colpi di bastone dati dal bambino alle bovine. Ma l'impulso principale che portò a un radicale cambiamento economico e sociale fu la fase di industrializzazione del Nord Italia, che determinò, sempre in quegli anni, un massiccio esodo dal lavoro dei campi verso quello delle fabbriche, soprattutto da parte dei giovani. Lo scarso e malsicuro reddito fino ad allora ricavato dall'attività agricola, veniva così ampiamente superato dall'immancabile stipendio mensile dell'operaio. Non fu solo un momento di trasformazione nell'economia e nella società, ma anche di cambiamenti radicali nell'architettura, soprattutto quella alpina, che cercò per alcuni decenni di copiare maldestramente quella di pianura. Si voleva cancellare a tutti i costi ogni segno di povertà, ma, forse senza volerlo, in poco tempo si misero da parte anche culture e tradizioni secolari.
Nel più povero Meridione italiano, l'impiego dei minori in diversi settori economici, non solo quello agricolo, è durato più a lungo e in certi casi non è ancora cancellato del tutto. Qui, comunque, il fenomeno riguardava essenzialmente i maschi, in quanto un tempo in molte zone le femmine che andavano a lavorare come serve venivano giudicate « compromesse » per tutta la vita, e difficilmente avrebbero trovato da sposarsi. Infatti, non era raro che quelle che erano costrette ad andare a servizio in una famiglia, vi rimanessero fino alla fine dei loro anni.
Altrettanto, e ben più grave, rimane la situazione in alcune nazioni europee in cui la miseria è ancora diffusa, in particolare quelle dell'Est, dove l'affitto dei bambini è ancora oggi una triste realtà. Per non parlare dei continenti più poveri, dove si è ormai radicato il fenomeno dei piccoli operai che lavorano in fabbriche gestite da multinazionali di pochi scrupoli.
Nelle nostre terre, come d'altronde ovunque, l'affitto dei figli era una prassi che non veniva condannata da alcuno, tanto meno dalle autorità civili o da quelle religiose, in quanto a livello di piccola realtà locale entrambi i rappresentanti di queste categorie avevano, con molta probabilità, provato la medesima esperienza nell'età infantile. E i genitori che si vedevano costretti ad affittare i propri figli conservavano certamente nel cuore il ricordo della stessa sorte provata diversi anni prima, quando era toccato a loro essere mandati via da casa a lavorare in un'altra famiglia, e sapevano che era un fatto normale. L'unica cosa che si poteva fare per assicurare ai figli migliori condizioni di trattamento, era quella di mandarli a lavorare presso la famiglia dove, da bambini, si era stati trattati bene. Se questo non era possibile, allora ci si affidava al destino. In ogni caso, i genitori che da bambini erano stati affittati, e che continuavano a vivere con scarse risorse economiche, facevano altrettanto con i propri figli, ritenendo questo comportamento una scelta obbligata.
Dalle valli si scendeva a lavorare in pianura, ma nel momento in cui la povertà era davvero grande, si era affittati anche in un paese vicino, nella stessa vallata. Avere qualche bestia in più faceva la differenza, e bastava per aver bisogno di un bambino o di una bambina per portare le bovine al pascolo, sapendo che come ricompensa era sufficiente dare loro da mangiare, a volte neanche tanto. Da metà valle si saliva anche verso i paesi più alti, a fare i pastorelli durante il periodo dell'alpeggio, e lo stesso avveniva per la gente più povera di questi territori, che si vedeva costretta a cambiare vallata, talvolta scavalcando le Alpi per andare in un'altra nazione. Dall'alta valle, ragazzi e adulti si spostavano anche in inverno, quando il lavoro nei campi si fermava per molti mesi, per andare a lavorare in Francia e guadagnare un po' di soldi in vari settori, artigianali o commerciali. Ciò era sufficiente a generare una notevole differenza economica nell'ambito di territori confinanti tra loro; e questo spiega perché il lavoro di custodia del bestiame venisse svolto da bambini provenienti dai paesi posti più in basso o da altre valli. Infatti, dove meno era praticata l'emigrazione transfrontaliera stagionale, la situazione economica di molte famiglie era decisamente più drammatica. Anche nelle campagne della pianura, nonostante le condizioni di vita fossero decisamente migliori rispetto all'area montana, il fenomeno era ampiamente diffuso, in quanto a stare decisamente bene erano solo i cassiné, i proprietari di numerosi e ampi terreni. Così, dalle famiglie che disponevano di molta meno terra, bambini e ragazzi venivano mandati nelle grandi cascine a lavorare come vaché e garzoni, mentre le bambine facevano le sërvente. In una cascina poteva esserci una manodopera molto numerosa, che aumentava ancora in occasione della raccolta del fieno, del grano, del mais, o di ogni altra coltura locale, come la menta o la canapa. Soprattutto le vallate fornivano le braccia per questi lavori, e tra aprile e ottobre, con il culmine nei mesi estivi, si spopolavano letteralmente.
Gli spostamenti e la provenienza dei bambini affittati sono stati dunque uno specchio dello stato economico delle varie zone: bastava avere poco di più da mangiare e non si era costretti a fare la vita di piccoli servi. La paga, quindi, non era il vero scopo dell'affitto, in quanto spesso soltanto simbolica, ma l'importante era essere nutriti, anche se neanche questo era sempre assicurato. In più, era consuetudine dare un piccolo regalo al termine del periodo lavorativo, un galletto, un paio di pantaloni, un pezzo di stoffa, un paio di scarpe, o qualcos'altro in aggiunta, se la famiglia dove si aveva lavorato era generosa e di cuore.
Chi impiegava bambini nella propria azienda lo faceva anche perché aveva figli o troppo piccoli per poter lavorare o già grandi, e quindi in grado di svolgere altri lavori più pesanti. Anche in montagna i figli adolescenti non salivano all'alpeggio, ma rimanevano nel fondovalle per la raccolta del fieno.
L'incontro con il futuro padrone avveniva in vari modi: a volte direttamente a casa della famiglia che era disposta ad affittare i figli, ma più frequentemente ci si trovava in occasione del giorno di mercato del più grosso centro urbano vicino. Per l'area del Saluzzese era, ovviamente, Saluzzo il principale punto di incontro settimanale di tutta la gente che vi convergeva dalle vallate e dalla pianura circostante, addirittura anche dall'area torinese. Dal momento che il mercato era molto grande e occupava un po' tutta la città, c'era addirittura un posto che veniva detto piassa dij garson, una piazza dove ci si trovava per affittare i bambini e impiegare i garzoni. I padroni osservavano i bambini e sceglievano soprattutto quelli che sembravano più robusti. Ai più mingherlini spesso non restava che implorare di essere affittati, per avere dei pasti assicurati, anche se in cambio bisognava fare lavori che potevano essere troppo pesanti. Una volta che l'accordo era vicino, il più delle volte ci si recava in una vicina osteria a berci sopra uno o più bicchieri di vino e a definire il contratto. Nessun documento scritto, solamente una stretta di mano; come avveniva per ogni genere di affare che un tempo, ma ancora oggi, veniva trattato. Un altro importante riferimento erano le varie fiere, immancabile punto d'incontro tra le genti di diversi paesi, con la certezza di trovare tutto quanto poteva occorrere e, tra le tante cose, la possibilità di sistemare i figli in affitto.
Concluso il contratto, si tornava a casa. Pochi giorni dopo avveniva il trasferimento del bambino verso la nuova destinazione. Vista la sua giovane età, veniva sempre accompagnato dal padre, che immancabilmente si raccomandava al padrone affinché trattasse bene il figlio o la figlia, che da quel momento rimanevano soli, con tutta la loro vita nel cuore. Se poi l'affitto avveniva quando già c'era un immediato bisogno del lavoro del bambino, si veniva subito portati dal padrone direttamente dal mercato alla cascina, senza più nemmeno vedere per qualche tempo ancora i propri famigliari.
Normalmente, quando si andava nelle cascine della pianura, si lavorava da marzo a dicembre, cioè il periodo del pascolo del bestiame, in quanto l'attività principale era quella di custodire gli animali nei prati, anche se si facevano tanti altri lavori. In montagna invece, si saliva all'alpeggio a San Giovanni, il 24 giugno, per scendere a San Michele, il 29 settembre. Ma il lavoro di custodia del bestiame poteva cominciare già prima, a maggio, e continuare poi ancora per tutto ottobre nei pascoli più bassi, per cui si rientrava nella propria famiglia solamente alla fine di questo mese.
Il rito annuale dell'affitto si ripeteva diverse volte, almeno fino all'età di quindici o sedici anni e non è detto che si continuasse ad andare nella stessa famiglia dove si era iniziato a lavorare. Era più frequente che si cambiasse ogni anno, e le motivazioni erano diverse. La principale era dovuta al fatto di non essersi trovati bene, sia per il troppo lavoro, sia per scarsità di cibo. Ma si cambiava anche per cercare di essere meglio pagati o per evitare un'eccessiva familiarità, in quanto se il bambino lavorava e non protestava, c'era il rischio che lo si sfruttasse ancora di più. A casa dai genitori si tornava ben di rado, in certi casi solo in occasione della festa patronale del paese di provenienza e, visto che il contratto durava fino a Natale, era normale che in quel giorno si rimanesse ancora in cascina a lavorare, per rientrare in famiglia il giorno dopo, a Santo Stefano. Anche le bambine o le ragazze venivano affittate, sia come domestiche, ad aiutare in casa del padrone, sia per fare, come i maschi, vari lavori nei campi o per controllare le bestie al pascolo, tanto in pianura quanto negli alpeggi. In più, alle ragazze era anche destinato il ruolo di collaboratrice famigliare, più semplicemente serva, presso una famiglia di città, e allora veniva meno la precisa stagionalità dei lavori di campagna. Solitamente si lavorava tutto l'anno, anche se in molti casi il periodo in cui si era affittati di più era quello invernale, quando a casa non c'erano lavori. Più triste era, sempre per le bambine, lavorare nelle filande o nelle tessiture, dove oltre al lavoro duro c'erano anche orari eccessivamente lunghi, ambienti malsani e diversi chilometri di cammino per raggiungere quotidianamente questi stabilimenti.
I ragazzi, una volta cresciuti, verso i sedici anni, quando il fisico poteva ormai sopportare fatiche più pesanti, diventavano garzoni o manovali, e andavano a lavorare nelle cascine con una vera paga che, anche se scarsa, era pur sempre un po' di più del misero vitto e dell'alloggio. Si trattava di lavori stagionali, in occasione della raccolta di fieno, grano, castagne o altri prodotti, ma c'era anche chi rimaneva come dipendente fisso per tutto l'anno, visto che a casa non si poteva vivere tutti della poca terra posseduta. Non mancava chi decideva di cambiare mestiere, andando a fare il cavatore di pietre, il muratore o altro, a seconda delle attività che c'erano nella zona. Ma erano tanti quelli che da giovani mettevano in un sacco lo stretto indispensabile e migravano fuori dall'Italia. I più scavalcavano le Alpi per scendere in Francia, in Provenza, partendo in compagnia di altri compaesani o da soli,...

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