Cittadinanza e Costituzione
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Cittadinanza e Costituzione

Gianfranco Barcella

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Cittadinanza e Costituzione

Gianfranco Barcella

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La legalità è un valore fondamentale in una società civile. Educare alla legalità è importante, specie per quanto riguarda le nuove generazioni. È evidente come questo delicato compito spetti in primis alla scuola, che si adopera attraverso numerose iniziative a diffondere sempre più la "coscienza legale", il rispetto per le leggi e la lotta alle mafie. In questo interessante saggio l'Autore traccia un quadro completo della situazione storica, giuridica e sociale del nostro Paese servendosi anche di un efficace apparato di fonti.

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XVII. I testimoni della legalità di ieri e di oggi
Temi proposti:
Passi avanti nella lotta contro le mafie, l’Italia ne ha fatto molti seguendo anche l’intuizione di uomini illuminati e spesso vittime delle mafie. Sergio Mattarella
Il pensiero che salva è quello della conoscenza attraverso la sofferenza. Eschilo
Meglio il sacrificio di uno solo che la corruzione di molti. Aldoux Huxley
Temo più la mafia quando non spara. Leonardo Sciascia
È bello morire per ciò che si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola. Paolo Borsellino
Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo. Paolo Borsellino
Molte persone ogni giorno lavorano in silenzio, senza echi di stampa intorno, fedeli ai diritti ed ai doveri di cittadinanza ed all’etica della responsabilità, ma purtroppo, tra loro, ve ne sono state alcune che sono rimaste “vittime del loro dovere” e sono diventate eroi da portare ad esempio, meritevoli della nostra incondizionata stima ed ammirazione. Per motivi contingenti riportiamo solo alcuni profili, certi che diventeranno fonte di emulazione, soprattutto per le giovani generazioni.
Beppe Alfano (giornalista e politico)
Giuseppe Aldo Felice Alfano detto Beppe è nato a Barcellona Pozzo di Gotto il 4 novembre 1945. Frequentò la facoltà di Economia e Commercio all’Università di Messina dove conobbe Mimma Barbaro, sua futura moglie. Dopo la morte del padre lascia gli studi e si trasferisce a Cavedine, vicino a Trento, trovando lavoro come insegnante di educazione tecnica alle scuole medie e ritornando in Sicilia nel 1976. Appassionato di giornalismo, Alfano comincia a collaborare con alcune radio provinciali, con l’emittente locale “Radio tele Mediterranea” ed è corrispondente de “La Sicilia” di Catania. Divenne il “motore giornalistico” di due televisioni locali della zona di Barcellona Pozzo di Gotto, “Canale 10” e poi “Tele News”, questa ultima di proprietà di Antonino Mazza, anch’egli ucciso
dalla mafia. Non fu mai direttore responsabile di queste testate in quanto non fu mai iscritto, in vita, all’albo dei giornalisti per una sua posizione di protesta contro l’esistenza stessa dell’albo medesimo. Gli venne concessa l’iscrizione postuma all’albo dei Giornalisti pubblicisti alla memoria. La sua attività giornalistica è stata rivolta soprattutto verso uomini d’affari, mafiosi latitanti, politici e amministratori locali e massoneria. La notte dell’8 gennaio 1993 fu colpito da tre proiettili calibro 22 mentre era fermo alla guida della sua Renault 9 amaranto in via Marconi a Barcellona. Alla morte seguì un lungo processo che condannò un boss locale, Giuseppe Gallotti, all’ergastolo per aver organizzato l’omicidio, lasciando ancora ignoti i veri mandanti e le circostanze che provocarono l’ordine di morte nei suoi confronti. I suoi familiari, nel suo nome, fanno parte dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia. In particolare, la figlia Sonia è molto impegnata nel preservare la memoria del padre e i diritti delle vittime della mafia, oltre che nel condurre un’intensa attività informativa relativamente alla criminalità organizzata; dal 2009 al 2014 è stata eurodeputata, eletta con l’Italia dei Valori. Nell’assemblea di Strasburgo ha ricoperto diversi ruoli, fra cui quello di Presidente della commissione speciale sulla criminalità organizzata, la corruzione e il riciclaggio di denaro.
Giorgio Ambrosoli (avvocato)
Giorgio Ambrosoli è nato a Milano il 17 ottobre 1933 da una famiglia borghese di forte impronta cattolica e conservatrice, figlio dell’avvocato Riccardo Ambrosoli (impiegato all’ufficio legale della Cassa di Risparmio delle province Lombarde), e Piera Agostoni. Dopo aver ricevuto un’educazione fondata su una robusta fede cattolica, frequentando il Liceo Classico “Manzoni” di Milano, Ambrosoli si lega a un gruppo di studenti monarchici e finisce per militare nell’Unione monarchica italiana. Seguendo le orme del padre, nel 1952, si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, e dopo il conseguimento della laurea, nel 1958, con una tesi in diritto costituzionale sul Consiglio superiore della magistratura e l’esame da procuratore, inizia l’attività professionale nello studio dell’avvocato Cetti Serbelloni.
Nel 1962 sposa, nella chiesa di San Babila a Milano, Anna Lori. Dal matrimonio nasceranno tre figli: Francesca (nel 1968), Filippo (nel 1969) e Umberto (nel 1971). Dopo alcuni anni di attività, nel 1964, inizia a specializzarsi nel settore fallimentare delle liquidazioni coatte amministrative e viene chiamato a collaborare con i commissari liquidatori della Società Finanziaria Italiana. Nel settembre 1974 fu nominato dall’allora governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, guidata sull’orlo del crack finanziario dal banchiere siciliano Michele Sindona, al fine di esaminarne la situazione economica prodotta dall’intricato intreccio tra la politica, alta finanza, massoneria e criminalità organizzata siciliana. I sospetti sulle attività del banchiere siciliano nascono già nel 1971, quando la Banca d’Italia, attraverso il Banco di Roma, inizia a investigare sulle attività di Sindona nel tentativo di evitare il fallimento degli istituti di credito da lui gestiti: la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria. L’allora governatore Guido Carli, chiaramente motivato dalla volontà di non provocare il panico nei correntisti, decide quindi di accordare un prestito a Sindona, anche in virtù della benevolenza dell’amministratore delegato dell’istituto, Mario Barone. Quest’ultimo fu cooptato come terzo amministratore, modificando appositamente lo statuto della banca stessa, che ne prevedeva solo due; nel caso specifico, Ventriglia e Guidi. Tale prestito fu accordato con tutte le modalità e transazioni necessarie e fu incaricato il direttore centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, di occuparsi della vicenda. Le banche di Sindona vennero fuse e prese vita la Banca Privata Italiana di cui Fignon divenne vicepresidente e amministratore delegato. Contro tutte le aspettative, Fignon andò a Milano a rivestire la carica e comprese immediatamente la gravità della situazione. Stese numerose relazioni, ricostruì le operazioni gravose e il sistema societario messi in piedi da Sindona e dai suoi collaboratori e ne ordinò l’immediata sospensione. In effetti Sindona, falsificando le scritture contabili e usando la Fasco AG come uno schermo per le sue avventure finanziarie, aveva usato indebitamente la liquidità depositata presso le due banche milanesi (Banca Unione e Banca Privata Finanziaria) che all’epoca in cui venne nominato Ambrosoli erano state da poco fuse – anche se solo sul piano formale – nella Banca Privata Italiana, come mostra la prima relazione del commissario liquidatore redatta da Ambrosoli nel 1975. Nel settembre del 1974, Fignon consegnò a Giorgio Ambrosoli la relazione sullo stato della Banca. Fignon continuò nel suo operato, tanto da essere citato anche nelle agende dell’avvocato Ambrosoli, che nulla poteva immaginare di ciò che sarebbe seguito. Ciò che emerse dalle investigazioni indusse, nel 1974, a nominare un commissario liquidatore che venne individuato nella figura di Giorgio Ambrosoli.
In questo ruolo, Ambrosoli assunse la direzione della banca e si trovò a esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto, principiando dalla controllante società “Fasco”, l’interfaccia fra le attività palesi e quelle occulte del gruppo. Nel corso dell’analisi svolta dall’avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritturazioni contabili, oltre alle rivelazioni dei tradimenti e delle connivenze di ufficiali pubblici con il mondo opaco della finanza di Sindona. Contemporaneamente a questa opera di controllo Ambrosoli cominciò a essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione. Queste miravano sostanzialmente a ottenere che avallasse documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d’Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell’istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi. Nel 1975 indirizzò una lettera alla moglie in cui scrisse: Anna carissima, è il 25.2.1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della B.P.I., atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente di ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti; ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato – ne ho piena coscienza – solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in qualche modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto. […] Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché o ragazzi sono uno meglio dell’altro… Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere quello che costi […]. Giorgio.
Nel corso dell’indagine emerse, inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti di un’altra banca, la statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni economiche erano ancora più precarie. L’indagine, dunque, vide coinvolta non solo la magistratura italiana, ma anche l’FBI. Ai tentativi di corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità penale del banchiere. Nella sua indagine sulla banca Sindona, Ambrosoli poté contare solo su Ugo La Malfa come referente politico, mentre il maresciallo della Guardia di Finanza Silvio Novembre gli fece da guardia del corpo. Nonostante le minacce di morte, infatti, ad Ambrosoli non fu accordata alcuna protezione da parte dello Stato. In Bankitalia, poté contare sul sostegno di Paolo Baffi, il governatore, e di Mario Sarcinelli, capo dell’Ufficio Vigilanza, ma solo fino al marzo del 1979, quando entrambi furono incriminati per favoreggiamento personale e interesse privato in atti d’ufficio nel corso di un’inchiesta sul mancato esercizio della vigilanza sugli istituti di credito legata al caso Roberto Calvi del Banco Ambrosiano. Entrambi furono però integralmente prosciolti in istruttoria nel 1981. Baffi si dimise il 16 agosto 1979, lasciando l’incarico di Governatore a Carlo Azeglio Ciampi, mentre per Sarcinelli fu eseguito il mandato di arresto in carcere. In questo periodo Ambrosoli ricevette una serie di telefonate intimidatorie anonime nelle quali il suo interlocutore, indicato da Ambrosoli con il termine convenzionale di “picciotto”, per via del suo accento siciliano, gli intima, via via sempre più in maniera esplicita, di ritrarre la sua testimonianza resa ai giudici statunitensi che indagavano sul crack del Banco Ambrosiano, fino a minacciarlo di morte. Solo nel 1997, nell’ambito del processo del senatore Giulio Andreotti, a Palermo, grazie alle rivelazioni del pentito Giacomo Sino, l’autore delle telefonate anonime fu identificato in Giacomo Vitale, massone e uomo d’onore, nonché cognato del boss mafioso Stefano Bontade. In un clima di tensione e di pressioni anche politiche molto forti, Ambrosoli concluse la sua inchiesta. Avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale il 12 luglio 1979.
La sera dell’11 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, Ambrosoli fu avvicinato sotto il portone della sua casa, in via Morozzo della Rocca 1, da uno sconosciuto. Questo si scusò e gli esplose quattro colpi 357 Magnum. A ucciderlo fu il malavitoso statunitense William Josep Aricò, la pistola l’aveva comprata da Henry Hill, il pentito, sulla cui vita reale si basa il film di Martin Scorzese del 1990, “Quei bravi ragazzi” che era stato dal 1974 al 1977 suo compagno di cella nel penitenziario di Lewisburg insieme a Robert Venetucci. Nessuna autorità pubblica presenziò ai funerali di Ambrosoli, a eccezione di Paolo Baffi (Banca d’Italia).
Giorgio Ambrosoli non ebbe grand...

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