Non sono un algoritmo
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Lombardo Claudio

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Non mi piace fare prefazioni, ma a Claudio Lombardo non posso rifiutarla, tale è la Sua passione per ciò che ha scritto.
Non posso comunque rinunciare allo spirito provocatorio che da sempre mi accompagna: perché dunque non dovrei poter essere un Algoritmo?
Secondo un certo approccio psicologico anch’io potrei essere un algoritmo, incarnato quanto si vuole, ma pur sempre algoritmo: un insieme di procedure strutturate e apprese attraverso opportuni programmi che includano potenzialità di sviluppo autonomo.
Penso a “Her”, l’interessante film di Spike Jonze (2013) in cui si verificano comportamenti verosimili e verosimilmente probabili di interazione persona-persona, persona-macchina, macchina-macchina … in cui “Qualcuno” o “Qualcosa”, non importa “Chi”, interagisce con l’Altro e nemmeno importa “Quale”, conoscendo più in profondità se stesso e l’altro, perché secondo una certa impostazione di pensiero e ricerca così può e “deve” essere.
Perché – inesorabilmente e ovviamente – la Scienza è interpretazione e narrazione di eventi e cause, non diversa da qualsiasi altra narrazione, se non per il fatto di dover obbedire a certi statuti epistemologici … anch’essi tuttavia variabili nello spazio e nel tempo come tutto ciò che esiste e oltre ogni paradosso … PANTA REI!

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Information

Publisher
Kimerik
Year
2018
ISBN
9788893757058

 
1° CAPITOLO
IL COGNITIVISMO
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Il termine «architettura cognitiva» ha la sua origine nel «lavoro di Newell e colleghi (Newell, 1982, 1990; Rosenbloom et al., 1993). Il termine possiede un significato ben preciso nel paradigma cognitivista, nel quale le architetture cognitive rappresentano tentativi di creare teorie unificate della cognizione (Newell, 1990), cioè teorie che possano coprire i vari aspetti caratteristici della cognizione, come l’attenzione, la memoria, la risoluzione di problemi, il processo di decisione, l’apprendimento, partendo da diversi aspetti come la psicologia, la neuroscienza e le scienze della computazione» (Vernon et al., 2007). Una determinata architettura «cognitiva e un particolare insieme di conoscenze è generalmente denominato modello cognitivo» (ibidem). «Le specifiche di un’architettura cognitiva consistono nelle ipotesi rappresentazionali, nelle caratteristiche della struttura della memoria e nei processi che operano su questa memoria. L’architettura cognitiva definisce il modo in cui un agente cognitivo gestisce le risorse a sua disposizione. Per gli approcci cognitivisti, tali risorse sono nient’altro che il sistema computazionale nel quale il sistema simbolico è realizzato. L’architettura specifica il formalismo relativo alle rappresentazioni della conoscenza e alla memoria utilizzata per archiviarle, i processi che agiscono su tale conoscenza e, infine, i meccanismi di apprendimento di questa. Normalmente fornisce altresì un modo di programmazione del sistema, in modo che sistemi dotati di “intelligenza” possano essere istanziati in un qualche dominio applicativo» (Vernon et al., 2007; Langley, 2005).
Esistono approcci diversi allo studio dei «sistemi cognitivi; ognuno elabora ipotesi diverse sulla natura della cognizione» (Vernon et al., 2007), relative al modo in cui il sistema cognitivo dovrebbe essere analizzato e sintetizzato (Vernon, Metta, Sandini, 2010). All’interno di tali approcci «possiamo distinguere due gruppi principali: 1) l’approccio cognitivista, che si fonda sul processamento simbolico e rappresentazionalista; 2) l’approccio dei sistemi emergenti, che include i sistemi connessionisti, quelli dinamici e quelli enattivi, basati in modo più o meno pregnante sui principi dell’auto-organizzazione» (Vernon et al., 2007; Clark, 2001; Varela, 1992). («Le capacità cognitive sono, per il connessionismo, emergenze di stati globali delle cosiddette “reti neurali”»; Telfener, Casadio, 2003).
Il cognitivismo rappresenta una corrente psicologica che nasce nel mondo anglosassone tra gli anni ’50 e ’60 del 900’ che vuole colmare i limiti dell’approccio “comportamentista” alla spiegazione delle funzioni psichiche superiori. La psicologia cognitivista può sotto molti aspetti essere considerata una psicologia mentalistica volta a dimostrare - al contrario di quanto sostenuto dai comportamentisti - che alcuni termini mentalistici vanno introdotti come primitivi.
«Il termine cognitivo indica tutti quei processi che comportano trasformazioni, elaborazioni, riduzioni, immagazzinamenti, recuperi ed altri impieghi dell’input sensoriale. Termini come sensazione, percezione, immaginazione, ritenzione, ricordo, problem solving e pensiero, per citarne alcuni, si riferiscono ad ipotetici stadi o aspetti dell’attività cognitiva» (Neisser, 1967, 2014).
«Il cognitivismo fa riferimento a teorie dell’informazione, della comunicazione e della cibernetica: la simulazione al computer (intelligenza artificiale) è il metodo di ricerca più efficace» (Perussia, 2015).
Una delle funzioni più rilevanti del nostro pensiero è considerata la memoria, definita come il continuo processo di: codifica, immagazzinamento, recupero di dati.
Il cognitivismo è un movimento frastagliato che fonda le sue radici nel lavoro di molteplici ricercatori: George Boole «che sviluppa un’algebra basata solo su unità di informazione numeriche elementarizzate (binary unit o binary digit o bit) e su pochi operatori logici; Alan Turing che introduce l’idea di una macchina intelligente, identificabile con un test in cui le risposte della macchina apparissero ad un suo interlocutore umano come indistinguibili dalle risposte di un altro essere umano; Claude Shannon che sviluppa una teoria dell’informazione secondo cui qualsiasi dato può venire scomposto fino ad essere rappresentato in un codice binario, cioè in forma digitale; Miller, Galanter e Pribram che descrivono la nostra interazione con l’ambiente come il costruirsi di una sequenza di procedure di tipo TOTE: Test, Operate, Test, Exit; Noam Chomsky secondo cui l’individuo non eredita dei contenuti mentali, ma una struttura universale di linguaggio» (Perussia, 2015).
«Obiettivo finale del cognitivismo consiste nel ragionare in modo simbolico su rappresentazioni, in modo da generare il necessario comportamento adattivo, anticipatorio e, possibilmente, adatto a raggiungere degli scopi» (Vernon et al., 2007). «Il cognitivismo afferma che la cognizione richiede calcoli definiti su rappresentazioni interne da cui deriva la conoscenza, in un processo nel quale l’informazione del mondo viene astratta dalla percezione e rappresentata utilizzando una struttura di dati simbolici appropriati, sui quali si ragiona, e quindi utilizzata per pianificare e agire nel mondo» (ibidem). Una prima corrente all’interno del cognitivismo] è stata «anche denominato da molti come approccio cognitivo dell’elaborazione dell’informazione (o manipolazione simbolica) (Haugland, 1982; Kelso, 1999; Marr, 1977; Newell, Simon, 1976; Pinker, 1984; Thelen, Smith, 1998; Varela, 1992)» (Perussia, 2015); la seconda corrente invece è stata definita approccio ecologico e si ispira «all'opera dello studioso della percezione J. Gibson (1977). Egli ritiene che la mente accolga e riconosca in modo diretto le strutture di informazione che sono presenti nell'ambiente, senza che siano richieste operazioni di rielaborazione. Le versioni ecologiche del cognitivismo sottolineano la funzione adattativa dei sistemi psichici e la loro plasticità» (Boldrini et al., 2012; Goldstein, 1981). In direzione opposta alla tendenza ecologica vi sono le scienze cognitive che nascono nel 1977 quando Schank, Collins e Charniak fondano una nuova rivista scientifica dal titolo "Cognitive Science". Tuttavia, le stesse idee cominciarono a circolare dal 1956 dopo un simposio sulla teoria dell'informazione in Massachusetts al quale parteciparono scienziati quali Herbert Simon, George Miller e Noam Chomsky. In quella circostanza emerse con chiarezza una duplice convenzione: che fosse possibile affrontare lo studio dei processi cognitivi coinvolgendo sinergicamente diverse discipline quali la linguistica teorica, l'intelligenza artificiale e la psicologia; e che la scienza dei calcolatori offriva un potente metodo di indagine, la simulazione, cioè la riproduzione dei processi cognitivi mediante programmi su calcolatore (Marraffa, Paternoster, 2012).
La scienza cognitiva nasce su due idee fondamentali: 1) i processi di pensiero, e quindi l'intelligenza, sono meccanizzabili tramite programmi per computer (dovuto ad A. Turing); 2) il comportamento umano è mediato da rappresentazioni mentali perlopiù inconsce. In polemica con il comportamentismo che aveva dominato la prima metà del 900’, che riteneva che il compito della psicologia consistesse nell'individuazione di connessioni associative e regolari tra classi di stimoli e classi di risposte, Chomsky dimostrò che per spiegare il comportamento era indispensabile studiare le strutture “dentro la testa” (ibidem).
Chomsky è stato uno dei critici più incisivi del comportamentismo, contribuendo in modo determinante alla riabilitazione della tesi secondo cui il comportamento è mediato da entità mentali e dalla correlata assunzione che il compito della psicologia è scoprire descrivere tali entità. Altresì ha progettato il rivoluzionario programma di ricerca in linguistica teorica nato con il nome di grammatica generativa.
Tale idea fu determinante per la scienza cognitiva perché elabora il concetto di rappresentazione mentale, strutture dentro la testa, codificate in qualche modo nel cervello che veicolano certe informazioni: sono le rappresentazioni mentali, non le risposte condizionate a stimoli, a spiegare il comportamento. Una rappresentazione mentale è cioè un'ipotesi esplicativa in una teoria computazionale della cognizione. Una rappresentazione è qualcosa che un processo mentale descritto in termini algoritmici deve costruire per dare luogo a un certo comportamento. Quando certe proprietà del mondo non sono presenti o manifeste, possono in taluni casi essere rappresentate (Marraffa, Paternoster, 2012).
«Il cognitivismo classico-concepisce la mente come un sistema funzionale i cui processi possono essere descritti come manipolazioni di simboli informazionali, sulla base di una serie di regole sintattiche formali» (Gallese, 2003; Fodor, 1981; Pylyshyn, 1984).
«Secondo la sua tesi, le rappresentazioni sono intrinsecamente simboliche ed il pensiero può essere ridotto ad un processo meramente computazionale. Non è quindi sorprendente che, date tali premesse, il processo dell’attribuzione di stati mentali sia concepito esclusivamente in termini predicativi e di logica inferenziale, in tutto quindi simile ad una teoria» (Gallese, 2003).
Dunque, il cervello costruisce rappresentazioni del mondo esterno tramite operazioni computazionali e i processi mentali sono interamente riconducibili a processi rappresentazionali.
«Lo scopo della scienza cognitiva è di spiegare come funziona la mente. Parte della forza di questa disciplina risiede nella teoria della computabilità, poiché se una spiegazione è computabile, allora è coerente a prima vista, riproducibile» (Johnson-Laird, 1990).
«Le rappresentazioni sono intrinsecamente simboliche ed il pensiero può essere ridotto ad un processo meramente computazionale. Non è quindi sorprendente che, date tali premesse, il processo dell’attribuzione di stati mentali sia concepito esclusivamente in termini predicativi e di logica inferenziale, in tutto quindi simile ad una teoria» (Gallese, 2003).
I principali approcci oggi esistenti all’interno delle scienze cognitive si distinguono «per il tipo di modello preso come base della spiegazione della cognizione; da questo punto di vista, si possono individuare cinque diversi approcci: (a) approccio simbolico; (b) approccio connessionista; (c) approccio dinamico; (d) approccio della cognizione incarnata; (e) approccio della vita artificiale» (Giunti, 2005).
«L’ approccio simbolico (Newell, Simon, 1972; Newell 1980; Pylyshyn 1984; Johnson Laird, 1988) utilizza come modelli i processori simbolici. Un processore simbolico è un qualunque sistema che opera trasformazioni effettive di strutture simboliche appropriatamente definite. Caratteristica fondamentale di tali strutture è quella di costituire rappresentazioni di eventi o situazioni» (Giunti, 2005).
Il connessionismo (Rumelhart, McClelland, 1986) concepisce l'architettura cognitiva «sul modello di una rete di unità (nodi) di elaborazione. Ogni unità è collegata ad altre per mezzo di nessi attraverso i quali si possono attivare o inibire i nodi adiacenti e così modificarne la risposta. I primi e più noti sostenitori del connessionismo si sono raccolti attorno al programma Parallel Distributed Processing (PDP)» (Rumelhart, McClelland, 1986).
L’approccio dinamico (Van Gelder and Port, 1995; Van Gelder, 1998) propone sistemi dinamici continui, sia di tipo connessionista, sia, più in generale, sistemi specificati da equazioni differenziali o alle differenze finite.
L’approccio della cognizione incarnata (Varela, Thompson, Rosch 1991; Clark, 1997) propone anch’esso come modelli particolari tipi di sistemi dinamici, le cui componenti dovrebbero riflettere aspetti del cervello, del corpo e dell’ambiente di un agente inteso come entità situata ed incarnata.
Infine, l’approccio della vita artificiale (Langton 1989; Parisi, 1999; Cangelosi, Parisi, 2002) utilizza sistemi complessi i cui comportamenti scaturiscono dall’opportuna interazione di un numero solitamente elevato di componenti più semplici.

2° CAPITOLO
LA COGNIZIONE SOCIALE E LA TEORIA DELLA MENTE
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«Un artefatto artistico è un pezzo di realtà che viene creato da un essere umano attraverso una continua previsione degli effetti, soprattutto di natura emotiva, che avrà prima di tutto su sé stesso, l’artista, e poi sugli altri, quelli che vedranno il quadro, ascolteranno la musica, leggeranno il romanzo o la poesia.» (Fonte: Parisi, 2006)
Il self-portrait del collasso della teoria della mente
In questa figura, un quadro di Serena Vignolini: due individui in posizione asimmetrica, visivamente discordanti: un uomo che mostra indifferenza, e una donna incomprensione e dispiacere; gli occhi di tutt’e due sono omessi ad indicare una “cecità” mentale. La condizione ottica complessiva del quadro – e soprattutto lo sfondo, ottenebrato – genera peculiari sensazioni nell’osservatore legate ad un’atmosfera simbolicamente condensata nella non-comunicabilità, nell’assenza di prospetto, nel disordine dell’indagine dei pensieri altrui, porta all’erosione della relazione; una conseguenza di chi non possiede una funzionale teoria della mente.
Claudio Lombardo
Abstract
La ToM è un ponte che collega ricerca cognitiva e ricerca sociale, precedentemente separate (Camanioni, 2003). Astington e Oslon (1993) hanno sottolineato che la psicologia cognitiva, prima della ToM, aveva trascurato l'aspetto dell'esperienza sociale nel processo cognitivo. Obiettivo di questo capitolo è descrivere le dinamiche e il funzionamento della ToM al fine di comprenderne le sue peculiarità e metterle in evidenza durante la descrizione dell’HRI.
«La teoria del campo di Kurt Lewin (1951) afferma che «il campo psicologico di una persona dipende dall’interpretazione soggettiva che la persona costruisce rispetto al proprio ambiente sociale», considerando la configurazione dei fattori inerenti la persona stessa e la situazione in cui si trova ad agire» (Palmonari et al., 2002).
I processi neuro-cognitivi che «ci permettono di interagire con gli altri in modo idoneo costituiscono la cognizione sociale, che si riferisce specificamente al modo in cui percepiamo, elaboriamo e interpretiamo le informazioni sociali» (Bertoux, 2017).
La cognizione sociale ha come oggetto gli esseri umani e le loro interazioni; ovvero cognizione e conoscenza delle persone e delle loro azioni. «Le macchi...

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