La salute nella e oltre la legge
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La salute nella e oltre la legge

Sfide odierne

Filippo Anelli, Giuseppe Ferrara

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La salute nella e oltre la legge

Sfide odierne

Filippo Anelli, Giuseppe Ferrara

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Scienza medica e diritto sono due mondi conciliabili?Se pensiamo alla gestione del caso Stamina, la prima risposta è sicuramente no.In Italia, mentre la FNOMCeO elaborava il nuovo Codice deontologico, associazioni, personaggi dello spettacolo, politici, giornalisti della stampa e della televisione, opinionisti valutavano l'efficacia del cosiddetto protocollo Stamina e proponevano piani terapeutici mentre molti magistrati lo imponevano ai medici a forza di ordinanze.Una vera e propria sfida! La salute affidata non ai medici ma alla legge o addirittura oltre la legge!Il "caso Stamina", al netto delle eventuali conseguenze giudiziarie sulle quali non esprimiamo alcuna opinione, rappresenta il punto di non ritorno per tutti quelli che credono nella libertà ed indipendenza della professione medica, ispirata ai principi e alle regole della deontologia professionale. Il "caso Stamina" rappresenta un momento di divisione e di contrasto tra le varie articolazioni dello Stato e della società civile. Una frattura che dobbiamo risanare, soprattutto tra professione medica e potere giudiziario.Questo libro prende in esame il rapporto medico-paziente così come disciplinato dalle norme, partendo dalla Costituzione sino al Codice deontologico del 2015. Luci e ombre, consonanze e dissonanze, propositi e carenze.Hanno contribuito alla stesura del libro A. D'Amato, R. D'Ambrosio, O. Di Stefano, T. Fiore, R. Guerra, R. Rossi, M. Saccomanno, O. Schiraldi, S. Scotti.

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LA SALUTE NELLA E OLTRE LA LEGGE

Filippo Anelli e Giuseppe Ferrara

La nostra domanda è: “Qual è il rapporto della professione del medico con la legge?”.
La domanda sembra tanto banale da non meritare una risposta, oppure la risposta può essere semplice e scontata se pensiamo che per esercitare la professione dobbiamo seguire un regolare corso di studi, dobbiamo superare un esame abilitativo, superare dei concorsi, eccetera. In sostanza svolgiamo delle attività secondo quanto stabilito dalle leggi dello Stato.
La nostra risposta può non essere altrettanto semplice e scontata se quella che dovrebbe essere la normale attività di prevenzione, diagnosi e cura inizia ad avere dei limiti legati, sempre per legge, ad esempio, a tetti di spesa, carenze strutturali o vuoti di organico dei vari settori.
Le nostre certezze cominciano a vacillare se siamo tenuti troppo spesso a rispondere del nostro operato in un’aula di giustizia.
E, per finire, non sappiamo più cosa pensare e rispondere quando quella stessa magistratura che ci sottopone al giudizio della legge, ci impone un orientamento diagnostico o terapeutico privo di fondamento avallando, nella fattualità della legge, ciarlatanerie terapeutiche.
Siamo partiti da una domanda semplice e da una risposta scontata per finire nella più sconcertante incertezza.
A questo punto tentiamo di ricostruire la trama di un ragionamento possibile che ci permetta di ripristinare un rapporto positivo non tanto con le leggi, quanto con i magistrati che le interpretano e le applicano, tralasciando per un momento la politica che le approva.
Medico e magistrato praticano due professioni che sono nella profondità della loro essenza delle professioni intellettuali e, pertanto, almeno nei principi e nelle intenzioni, indipendenti da pressioni esterne “altre” ma, nei rispettivi campi di azione, legittime, libere e per conseguenza cariche di responsabilità. La libertà è il presupposto della responsabilità professionale.
La formazione e la professione del medico sono normati, sono possibili solo secondo le leggi dello Stato. Già Federico II nelle Costituzioni di Melfi del 1231 codifica e definisce le professioni del medico e del farmacista, infatti, in queste Costituzioni era fatto “divieto dell’esercizio della medicina a chi non avesse conseguito con pubblico esame l’approvazione dei maestri di Salerno” (libro III, titolo XLIV)1.
Però, essere abilitato alla professione, dopo un regolare corso di studi e relativi esami, significa essere medico?
Molto spesso no, nella pratica e nel senso più profondo del significato. Molti di noi con grande difficoltà diventano medici dopo, nella pratica clinica e con ancora più grande difficoltà acquisiscono un’etica professionale, anche perché il corso di studi non fornisce una formazione sull’etica professionale intesa non secondo il significato ristretto di morale, ma intesa con un significato oggettivo, cioè orientata e delimitata da un complesso di regole circostanziate, condivise e riconosciute nel Codice di Deontologia Medica. Etica intesa come prassi della volontà nella e oltre la legge, se necessario.
Tutto, dunque, sembra ruotare da secoli intorno alla legge. Si è formati e abilitati in base alle leggi dello Stato; si pratica la professione secondo norme e regolamenti legislativi; si impara a operare nella società secondo una prassi riconosciuta dalle leggi ma anche sostenuta e confortata dal Codice di Deontologia Medica. Ma, quale valore ha questo Codice? È un semplice regolamento interno? È una raccolta di buone intenzioni? È un galateo professionale2?
In base al significato etimologico, la deontologia ci indica che cosa è conveniente, quale comportamento è giusto o sbagliato3. Ci consente di valutare preliminarmente una possibile scelta; ha un effetto immediato e pratico. L’importanza del Codice deontologico risiede in due fatti che ne sostanziano la natura: il primo è che si tratta di una scelta condivisa all’interno della professione, il secondo è che attraverso la legge, è una delle fonti del diritto. Ha valore giuridico dal quale deriva una responsabilità diretta. Ha la stessa importanza e dignità delle leggi dello Stato e come le altre leggi dello Stato è sottoposta al primato della Costituzione della Repubblica. Il Codice deontologico assume valore di norma cogente tanto è vero che i magistrati lo citano nelle loro sentenze e la stessa numerazione del nuovo Codice non è stato possibile cambiarla proprio per non creare confusione nelle sentenze.
Il Codice deontologico è in armonia col dettato costituzionale così come illustrato nell’art. 32 della prima parte. Il diritto, la regola, precede e inquadra l’attività medica. È giusto che sia così perché la salute è un diritto personale e collettivo di rilevanza costituzionale.
Il tentativo della completa attuazione dell’art. 32 avvenne, dal punto di vista legislativo, con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (Ssn), legge 833/1978, che creava una rete policentrica, le Unità Sanitarie Locali (Usl), per superare le disparità di trattamento del previgente sistema mutualistico provvedendo in modo unitario alla tutela della salute. Il progetto era vasto e ambizioso, ma la mancanza di risorse e l’erogazione illimitata delle prestazioni si dimostrò economicamente insostenibile, anche perché non venne alla luce il previsto Piano Sanitario Nazionale.
Le inevitabili azioni correttive furono la compartecipazione alla spesa, il ticket, la limitazione dei servizi erogabili, il blocco delle assunzioni, la diminuzione dei posti letto, i tetti di spesa, eccetera. Il rimedio è il D. Lgs 502/1992 (integrato dal D. Lgs 517/1993) e il D. Lgs 266/1993 (riordino del Ministero della Sanità). Nasce l’aziendalizzazione della sanità, le Usl si trasformano in Asl (Aziende Sanitarie Locali) e si stabilisce la responsabilità finanziaria delle Regioni con esonero dello Stato per eventuali disavanzi; è questo il periodo in cui si apre alla sanità privata.
Il problema più grande è la possibile discordanza d’intenzioni ed effetti tra l’art. 32 e l’art. 81 della Costituzione come recentemente modificato4, vale a dire tra il riconoscimento della salute come diritto fondamentale dell’individuo5 e la necessità dell’equilibrio del bilancio; la modifica, inoltre, anche dell’art. 97, ha introdotto l’obbligo, esteso a tutte le pubbliche amministrazioni, di assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione Europea. Nei fatti ne discende una gestione contraddittoria alla quale il nuovo Codice di Deontologia Medica non sembra fornire una guida di comportamento. Come ottemperare la prescrizione di tutelare la “salute individuale e collettiva vigilando sulla dignità, sul decoro, sull’indipendenza e sulla qualità della professione”6 e il bilancio economico?
Il problema è molto serio e articolato perché non si risolve con la semplice riallocazione delle risorse nel momento in cui il servizio sanitario è stato progressivamente definanziato. Nella relazione presentata dalla Corte dei Conti all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017 questo aspetto è riconosciuto ed emerge in modo chiaro:
I dati del 2015, pur segnalando tensioni sul fronte della spesa sanitaria, non mutano il rilievo del contributo del settore al risanamento: una flessione che tra il 2009 e il 2013 è stata di 1,6 punti all’anno in termini reali. Si è ampliato così il divario con gli altri Paesi in termini di risorse destinate alla spesa sanitaria: gli importi sono oggi inferiori della metà a quelli tedeschi e del 20% a quelli francesi. Non dissimile la numerosità del personale medico, mentre si amplia il distacco in termini di posti letto, sensibilmente inferiori in Italia. Positivo è il confronto in termini di utilizzo delle strutture e contenimento degli interventi inappropriati (ma con evidenti margini per un recupero ulteriore) e sono elevate le dotazioni tecnologiche.
La flessione della spesa pubblica nel settore ha comportato, tuttavia, un peggioramento in termini sia di aumento del contributo richiesto direttamente ai cittadini, sia di crescita dei casi di rinuncia alle cure per motivo di costo e di liste d’attesa.
Nei prossimi anni il settore dovrebbe riassorbire le rilevanti differenze a livello territoriale e assicurare il contributo al risanamento. Ciò richiede una valutazione dei margini di manovra che possono derivare dal superamento di inefficienze gestionali e organizzative, e un’attenta verifica della funzionalità degli strumenti finora utilizzati.
Il successo dei piani di rientro è evidente. Consistenti output gap7 sanitari dimostrano, tuttavia, quanto sia urgente destinare ad un adeguamento dell’offerta le risorse ottenibili dal riassorbimento di inefficienza ed eccesso di costi ancora presenti.
Il recupero di efficienza nella spesa non riguarda solo le regioni in piano di rientro; di qui, l’importanza di efficaci meccanismi di controllo della spesa e di un più appropriato utilizzo delle strutture e delle risorse pubbliche per consentire una risposta adeguata alle esigenze di un sistema che si deve confrontare con nuove opportunità di cura ed esigenze crescenti di una popolazione tra le più longeve8.
Siamo partiti dall’esame del rapporto tra la professione medica e le leggi dello Stato, abbiamo valutato l’importanza del Codice deontologico e abbiamo concluso che può esistere una possibile contraddizione tra un comportamento medico deontologicamente corretto di
tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera
(art. 3) e i tetti di spesa. Nel Codice deontologico non si parla espressamente di economia, si parla in senso generale di risorse. Si parla di risorse pubbliche nell’art. 6:
Il medico, in ogni ambito operativo, persegue l’uso ottimale delle risorse pubbliche e private salvaguardando l’efficacia, la sicurezza e l’umanizzazione dei servizi sanitari, contrastando ogni forma di discriminazione nell’accesso alle cure;
nell’art. 13:
La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza;
e nell’art. 77:
Il medico militare, al fine di garantire la salvaguardia psico-fisica del paziente in rapporto alle risorse materiali e umane a disposizione, assicura il livello più elevato di umanizzazione delle cure praticando un triage rispettoso delle conoscenze scientifiche più aggiornate, agendo secondo il principio di massima efficacia per il maggior numero di individui.
In questi tre articoli si parla di risorse in senso generico interpretabili come finanziare o di mezzi e competenze senza tenere conto che da molto tempo esiste un tetto di spesa che finisce col limitare il diritto alla salute delle fasce più deboli della popolazione, come riconosciuto anche a livello istituzionale. Si sta arrivando al paradosso che il modello industriale, basato sulla domanda e l’offerta, è accettato come il modello ideale e unico possibile per ogni aspetto dell’esistenza e dell’attività umana; anche la promozione e la tutela dei principi fondamentali della nostra Costituzione sono nei fatti subordinati a criteri economico finanziari in un mondo globalizzato a tal punto che in Italia si è costretti a scegliere tra tutela della salute e del territorio e diritto al lavoro.
Esiste una relazione tra definanziamento della sanità e contenzioso medico?
Non è l’unica causa, ma sicuramente ha contribuito a creare un atteggiamento di sospetto e sfiducia nel paziente.
Le carenze del sistema, le lunghe liste di attesa, le mancate risposte ai pur legittimi bisogni di salute hanno provocato una frattura sia nel rapporto di fiducia sia in quell’alleanza terapeutica che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra medico e paziente. In questo modo i cittadini non riconoscono più nel medico – e in generale negli operatori sanitari – la persona e il professionista capace di dare una risposta alla propria domanda di salute. Al contrario, si è creata una sorta di ribaltamento in cui il medico è colui che si oppone, negando il servizio per il quale è chiamato9.
Ne consegue un rapporto conflittuale tra medico e paziente con ampio ricorso alla medicina difensiva, così come osservato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli errori in sanità istituita con deliberazione della Camera dei deputati il 5 novembre 2008:
Tale fenomeno è dovuto in parte al rilievo dato agli eventi dalla letteratura scientifica e dai mass media, ma deriva soprattutto dal manifestarsi, anche in Italia, di un nuovo indirizzo culturale e giurisprudenziale diretto ad incrementare esponenzialmente il risarcimento del danno biologico ed esistenziale.
Parallelamente, la classe medica nel suo complesso e i professionisti uti singuli hanno assunto progressivamente posizioni sempre più difensive: si sono costituite le associazioni AMAMI (Associazione per i Medici Accusati di Malpractice Ingiustamente) e ARITMIA (Associazione Ricerca Italiana Tutela Medici Ingiustamente Accusati), la cui mission è quella di contrastare le frivolous lawsuit, ossia le denunce infondate operate verso i medici. Ciò ha sviluppato la tendenza alla medicina difensiva, ossia la tendenza dei medici a modificare il loro comportamento professionale a causa del timore di procedimenti giudiziari per malpractice.
In tal modo emergono atteggiamenti che contribuiscono a incrementare inutilmente la spesa sanitaria10 e ad influenzare in modo negativo il rapporto col paziente. Bisogna riconoscere, però, che a fronte dei numerosi processi cui sono sottoposti i medici, le condanne sono occasionali e riguardano soprattutto reati di tipo omissivo, non commissivo. Però le vicende giudiziarie segnano per sempre la vita umana e professionale di un medico anche perché esiste una differenza culturale tra medico e magistrato. Il magistrato opera nella “certezza del diritto”, il medico lavora sulle “probabilità”, vale a dire che pur operando secondo scienza e coscienza, pur applicando le buone pratiche mediche, pur seguendo tutte le possibili linee guida, non agisce nell’ambito di una scienza esatta. Quando un pubblico ministero giudica l’operato di un medico nomina un consulente tecnico e, in genere, formula un quesito nel quale, in sostanza, chiede al consulente se sarebbe stato possibile giungere alla diagnosi prescrivendo un ulteriore accertamento. La risposta nella maggioranza dei casi è positiva con conseguente rinvio a giudizio. La differenza di approccio sul concetto di causalità tra lo studioso di scienze naturali e il giurista è completamente differente; il primo è interessato a scoprire i rapporti di regolarità nello svolgimento di eventi, il secondo è interessato alla causalità come presupposto della possibilità di imputare eventi concreti alla condotta umana. Il magistrato lavora valutando l’operato del medico in termini di probabilità statistica e probabilità logica, però, qual è il punto di probabilità necessaria per giudicare una condotta omissiva?
Le sezioni unite della Cassazione, con la sentenza Franzese del 10 luglio 2002 esercitano un bilanciamento tra probabilità basata sulla frequenza statistica e probabilità logica; vale a dire che non è decisiva la percentuale probabilistica, ma che la legge statistica trov...

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