Avanti il prossimo... Storie sospese tra burocrazia e immigrazione
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Avanti il prossimo... Storie sospese tra burocrazia e immigrazione

Maria Rosaria Baldin

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Avanti il prossimo... Storie sospese tra burocrazia e immigrazione

Maria Rosaria Baldin

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Eccomi qui, con un fascio di carte in mano ed una miriade di storie e di volti che si affastellano dentro e a cui dovrò dare un ordine e un nome. Fredde carte che parlano il noioso linguaggio della burocrazia, quello che non interessa a nessuno. Ma io, dietro ognuno di questi fogli, vedo un volto e una storia.

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Information

Year
2015
ISBN
9788861535138

STORIE DI ORDINARIA BUROCRAZIA

Cristoforo Colombo non potè scoprire l’America perché non
aveva il visto
e non aveva neppure il passaporto.
Hernàn Cortès e Francisco Pizarro rimasero con la voglia di
conquistare il Messico e il Perù, perché non avevano il permesso
di soggiorno.
I pellegrini del Mayflower furono restituiti al mare, perché
sulle coste del Massachusetts non c’erano quote aperte d’immigrazione.
Eduardo Galeano

GLI INIZI: IL POLO UNICO

(1990-2000)

L’alta incidenza di stranieri rispetto agli italiani residenti ha creato alla questura grossi problemi nella gestione di tutte le pratiche ed enormi ritardi nel loro disbrigo; il calcolo dei dipendenti, infatti, viene determinato in modo proporzionale agli abitanti della città.
Nel 1990 il sindacato confederale vicentino dette vita ad un’associazione unitaria per fornire consulenza agli immigrati nei loro rapporti con la pubblica amministrazione. Con il tempo tali servizi vennero ampliati. Nel 1994 iniziò la prenotazione degli appuntamenti per il rinnovo dei permessi di soggiorno. I dati erano inseriti in una scheda informatica e allo straniero veniva fissato l’appuntamento affinché potesse recarsi in questura con la documentazione necessaria a ritirare il permesso rinnovato. Il sistema informatico era gestito direttamente, per cui gli stranieri potevano chiedere l’appuntamento per rinnovare il permesso di soggiorno con più di 6 mesi di anticipo rispetto alla scadenza. La gestione è stata a carico di un unico ufficio a livello provinciale fino al 2000.

IL CENTROAFRICANO (MAGGIO 2000)

Viene a chiedere informazioni generali su come far venire in Italia un parente per turismo. È un cittadino centroafricano che ha studiato diversi anni in Italia, conosce bene la nostra lingua e la nostra cultura, ma il suo cuore è in Africa. Pensa a sua nonna che non sapeva né leggere né scrivere, ma aveva dentro la saggezza di tutto il suo popolo.
“Voi siete un ufficio che accoglie gli immigrati – mi dice – ma mia nonna mi ha insegnato che tutti siamo immigrati a questo mondo, siamo qui precari, nasciamo, stiamo sulla terra per un certo numero di anni, e poi torniamo da dove siamo venuti. È la vita, in realtà, la nostra vera migrazione e questo essere perennemente migranti, è ciò che accomuna tutti gli uomini. È bello guardare il sole sorgere – prosegue – sapendo che c’è un solo cielo per tutto il mondo e tutti gli uomini. E sapere che ci sono persone che lavorano per un mondo migliore, rende più luminoso il mattino.” Prima di andarsene mi ringrazia: dopo una simile lezione di saggezza, lui ringrazia me…

DOPPIA IDENTITÀ (SETTEMBRE 2000)

La bella ragazza dell’Est dal volto angelico è accompagnata da un italiano molto gentile che vuole aiutarla. Ha i capelli neri e corti, un viso pulito e semplice, senza trucco, minuta, esile. Mi racconta una storia tormentata. Una controversa compravendita di prodotti che lei aveva venduto ad un italiano. Solo che dopo un po’ i prodotti sono spariti, lei ha scoperto che nella trattativa c’era un’organizzazione mafiosa e ha denunciato tutti testimoniando al processo. A questo punto, il suo governo l’ha fornita di un’altra identità, per permetterle di sfuggire alla mafia. Ora che è in Italia (con visto turistico), ha bisogno di un permesso di soggiorno. Valutiamo insieme la situazione, dobbiamo verificare se rientra in qualche categoria protetta e può ottenere un permesso di soggiorno particolare; intanto le consigliamo di procurarsi tutti i certificati tradotti e legalizzati dall’ambasciata italiana. Per diverse settimane torna con nuovi certificati che le vengono via via inviati. Concordiamo con la questura di fissare un appuntamento con la ragazza, in modo da risolvere il caso. Intanto il disponibilissimo amico italiano ripassa più volte per l’ufficio con altre ragazze che hanno bisogno di aiuto (alcuni maschi italiani sono disponibili e servizievoli in modo incredibile con le ragazze straniere).
La ragazza non si fa più viva; da più parti tutti coloro che avevano avuto contatti con lei ci chiedono se siamo riusciti a risolvere il caso, ma lei sembra essersi volatilizzata. Dopo un paio di mesi si rifà vivo l’amico, viene a metterci in guardia: dice che lei lo ha raggirato, si è fatta prestare un bel po’ di soldi ed è sparita. Sembra, inoltre, che la storia della compravendita e della doppia identità sia stata usata anche da altre parti. Non sempre i volti puliti e semplici appartengono ad angeli.

GLI IVORIANI (OTTOBRE 2000)

È una bellissima famiglia. Lui, un ragazzo alto e magro, e poi la moglie e le due figlie che sono una meraviglia per gli occhi, con tutte quelle treccine, quei volti sorridenti, quegli occhi luminosi. Sprizzano simpatia. Devono rinnovare i permessi. Mi dicono che stanno bene in Italia, nel loro paese è impossibile vivere.
Il giorno dopo lei torna. È disperata. Ha appena parlato al telefono con il fratello. La sua è una famiglia importante, molto conosciuta: il padre era un oppositore politico che è stato ucciso da chi lo considerava un nemico. Allora, il fratello, anche lui all’opposizione, è fuggito, sotto falso nome e vestito da donna, in un paese confinante. Ora vorrebbe venire in Italia, chiedere asilo politico, ma ha paura, e se non lo accettano, come potrà tornare in Africa? Se dovessero trovarlo per lui sarebbe la morte (asilo politico… come se fosse facile ottenerlo in Italia. Ma c’è ancora la guerra in Costa d’Avorio? Nessuno ne parla…). È meglio chiedere un visto per turismo? Ma come potrà dimostrare di essere perseguitato, dopo aver passato la frontiera in modo regolare? Oppure, potrebbe arrivare clandestinamente, sperando di non venire espulso prima di riuscire a chiedere l’asilo politico.
“Cosa devo fare, signora? Dammi un consiglio, per favore.” Queste sono le occasioni in cui sento la mia disperata impotenza, l’impossibilità di dare una risposta certa ad un dramma gravissimo, è gente che viene da me con fiducia, che mi rende partecipe della sua vita, della sua intimità. Loro aspettano il mio parere per decidere cosa fare. Sono solo una piccola burocrate, una dispensatrice di informazioni tecniche, di fogli da compilare e timbrare. E mi ritrovo tra le mani l’oro della loro vita.
Asilo politico e protezione umanitaria
È la possibilità, per chi nel proprio paese rischia la persecuzione per motivi politici, la tortura o la morte, di ottenere la protezione da parte del paese in cui si è rifugiato. È prevista dall’art. 10 della Costituzione e da vari trattati internazionali (fra cui la convenzione di Ginevra) e regolamentata dalle leggi n. 251/2007 e n. 25/2008 modificate dalla n. 159/2008.

IL RECLUTATORE DI BALLERINE (DICEMBRE 2000)

È un bel giovanotto, capelli neri, occhi azzurri, gel, sicuro, deciso. Mi dice subito qual è il suo progetto: vuole trovare le ballerine per il night club che sta aprendo, però vuole fare le cose in regola, non vuole clandestine, vuole gente con regolare permesso di soggiorno. Si è già informato, le ragazze restano in un locale per 2-3 settimane al massimo, poi vengono chiamate da un’altra parte. Come farle venire in Italia? Che visto serve? I colleghi sono di parere contrastante: i maschi dicono che non c’è nulla di male a prendere informazioni, danza classica o altro cosa cambia? Le femmine si chiedono: “Ma dobbiamo proprio aiutarlo a far venire qui le ballerine?”. Comincio a prendere informazioni pensando che il mio lavoro è informare, non dare giudizi morali.
E mi capita, il giorno dopo, di leggere un articolo sui locali che ospitano queste ballerine; il titolo è significativo: “1000 lire per una toccatina” e il proprietario del locale spiega che loro non vogliono assolutamente sfruttare le ragazze, non c’è prostituzione nel suo locale: solo qualche innocua “toccatina” per la quale verrà infilata una banconota nel reggiseno o negli slip della ragazza prescelta.
Non sono più tanto convinta che questa sia come la danza classica, mi faccio prendere da mille dubbi. Delego tutto al mio collega maschio, dicendogli che è meglio che il proprietario si informi presso l’ambasciata italiana all’estero attraverso il suo commercialista. Addio, bel giovanotto, non sei il mio tipo.
Straniero o extracomunitario
Secondo il Testo Unico sull’immigrazione è cittadino straniero chi non appartiene all’Unione Europea e gli apolidi. Gli statunitensi che lavorano nelle basi (come nel caso di Vicenza, Aviano e Napoli), pur essendo stranieri, in base ad accordi fra i due paesi non vengono iscritti in anagrafe.

I POLI

(2000-2002)

Nel 2000 la provincia decise di non rinnovare la convenzione. Ci fu, quindi, un periodo transitorio (da gennaio a giugno 2001) gestito direttamente dalla questura.
Ma dal luglio 2001, a seguito di un’altra convenzione stipulata fra i principali comuni con questura e prefettura, furono aperti 7 uffici, collegati in rete alla questura stessa. Ciò permetteva di fissare gli appuntamenti direttamente on-line e la dislocazione decentrata doveva servire a semplificare le procedure burocratiche evitando perdite di tempo, code agli sportelli e continui viaggi in città da parte degli stranieri.
Questo cambiamento portò consistenti modifiche: innanzi tutto la gestione del sistema informatico passò alla questura che lo controllava direttamente e gli appuntamenti si potevano chiedere solo un mese prima della scadenza e non più sei, come in precedenza. La divisione in più poli ha portato ad una frammentazione molto forte e ha fatto mancare quell’organo di controllo che, in precedenza, verificava l’operato della questura e monitorava la situazione complessiva della provincia. Ora ogni polo era in grado di verificare soltanto il proprio lavoro e non sapeva nulla di quello degli altri. La velocizzazione nell’espletamento delle pratiche di fatto non ci fu. I tempi di attesa arrivarono addirittura a 120 giorni; gli stranieri iniziarono a fare la fila anche in comune oltre che in questura, mentre la richiesta della documentazione diventò assolutamente discrezionale tanto che, anche in mancanza di un solo certificato, si doveva ricominciare tutto daccapo.

ILJA (MAGGIO 2001)

Ogni volta che rivedo Iljia, ripenso al nostro primo incontro. Ho ancora davanti il suo viso spaurito, gli occhi grandi di un ragazzo cresciuto troppo in fretta, l’espressione smarrita di chi si trova fuori dal suo ambiente, il suo essere dimesso, senza pretese, ma così colmo di dignità. Aveva una voce di pianto che si spezzava a tratti in quello che sembrava un singhiozzo troppo a lungo trattenuto. Iljia sembrava un ragazzino, ma era già un uomo, sposato e con un figlio; la moglie e il bambino erano rimasti in Macedonia e chissà quando avrebbero potuto raggiungerlo! Tutto nella sua persona diceva quanto ne sentisse la mancanza, il viso affilato, lo sguardo, il sorriso forzato… La sua caratteristica principale è la determinazione. È quella che gli ha permesso di sopravvivere all’ottusità della nostra burocrazia.
Iljia è arrivato in Italia nel 1990 e ha iniziato a lavorare con il padre che era già qui da tempo. Fa il muratore. È un ragazzo caparbio, non ha paura; quando sa di essere nel giusto e non accettano le sue richieste, si arma di pazienza e, con gentile fermezza, esige spiegazioni e chiarimenti, sa aspettare, ritorna se necessario; si rivolge ad altri uffici, coinvolge i conoscenti e chiunque possa aiutarlo. In questo modo riesce a sapere ciò che gli serve e, quasi sempre, le sue richieste ottengono risposta. Iljia non è riuscito a trovare un appartamento in affitto. Per far venire la moglie doveva dimostrare di avere un appartamento a suo nome, non poteva più restare col padre. Abbiamo chiamato e richiamato: la voce dall’altro capo era solitamente gentile e diceva che sì l’appartamento era ancora libero e non c’erano problemi; a quel punto noi pronunciavamo la frase fatidica: “È per uno straniero”. Questo significava che, improvvisamente, colui che ci stava ascoltando, ricordasse che, in realtà, aveva già parlato con qualcuno per quella casa “me ne stavo proprio scordando, avrò la risposta in giornata”; oppure, no, i vicini non volevano noie e quindi niente stranieri (“sa è un condominio di prestigio…”), o se si trattava di un’agenzia, ci diceva semplicemente, che il proprietario non voleva affittare a stranieri.
Dopo tante, troppe telefonate che si concludevano così, Ilja decise che era ora di rimboccarsi le maniche e comprare una casa.
È stato un periodo costellato di corse da un ufficio all’altro, di carte fatte e rifatte, di documenti mancanti di cui nessuno l’aveva informato in precedenza. Ha dovuto far tradurre in tutta fretta documenti su richiesta del notaio. È arrivata in Italia anche la moglie per firmare. Il giorno prima della firma, una telefonata della segretaria del notaio gli comunica che al momento di firmare è necessaria la presenza di un interprete ufficiale, che traduca per la moglie tutto quello che il notaio leggerà (e anche queste spese sono a suo carico, ovviamente). Ci sono volute tutta la tenacia e la pazienza di Iljia, ma alla fine ha comprato la casa.
Ora sono passati diversi anni, Iljia è riuscito a far venire in Italia altri parenti ed ora collabora con un’associazione locale che aiuta gli immigrati a trovarsi una casa. E chi potrebbe farlo meglio di lui?

IL PADRE DI FAMIGLIA (LUGLIO 2001)

Arrivano in ufficio insieme, operaio e datore di lavoro. È un tipico imprenditore del Nord-Est, che si è fatto da solo, lavorando “come un negro” mi spiega, e senza l’aiuto di nessuno. Ha una piccola azienda che è una grande famiglia, non c’è bisogno di sindacati nella sua fabbrica, i lavoratori sono contenti di lui, “sono come un padre per loro! La se pensa ...

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