Conoscere il gruppo
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Conoscere il gruppo

Spunti e appunti circolari

Paola Scalari

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Conoscere il gruppo

Spunti e appunti circolari

Paola Scalari

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L'appartenenza ad un gruppo accompagna ogni essere umano dal momento della sua venuta al mondo fino alla conclusione della sua vita.Nasciamo in una famiglia, studiamo in una classe, giochiamo in una squadra, frequentiamo delle associazioni, ideiamo gruppi di lavoro, fondiamo équipe nei servizi sociali e sanitari, promuoviamo collettivi, viviamo in comunità, ci organiz­ziamo dentro a delle istituzioni, siamo cittadini della Polis.Molto spesso però non comprendiamo come funzioni la dinamica del gruppo nel quale siamo inseriti o con il quale ci troviamo a collaborare o, ancora, che abbia­mo il compito di coordinare. Le domande che spesso sorgono sul motivo che por­ta un gruppo, sia esso familiare, sociale, scolastico, associativo o lavorativo, a non raggiungere la sua finalità trovano allora nel testo una narrazione chiarificatrice.Il libro infatti risponde al bisogno di comprendere la struttura e la dinamica dei gruppi per poterli vivere e coordinare, costruire e far evolvere, fondare e inter­pretare.Il testo narra quindi, in una forma allo stesso tempo leggera e profonda, scientifica e poetica, evocativa e rigorosa come prendersi cura delle relazioni tra le persone che si riuniscono insieme. Ne rivela gli affetti, i sentimenti, i pensieri, i travagli, i sogni e le passioni.La narrazione psicoanalitica applicata a diversi ambiti gruppali porta dunque den­tro a una pluralità di storie che suggeriscono come occuparci della sofferenza psichica collettiva prendendocene cura nei diversi campi dove la vita di ognuno si dispiega.Il modello psicosocioanalitico, attraverso la concezione operativa, è il filo rosso che introduce con tatto e pazienza ma anche con risolutezza e tenacia, alla cono­scenza di una precisa teoria e tecnica di lavoro con i gruppi.Il gruppo operativo si dimostra una disciplina complessa e innovativa che sviluppa però un metodo dotato di un'intrinseca bellezza che vivifica il sapere, che appas­siona all'apprendimento, che incrementa la creatività. Una dimensione dove bene, bello e vero si identificano.E di estetica ed etica i gruppi umani hanno oggi un grande bisogno.

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Information

Year
2020
ISBN
9788861537675

PARTE II

Insiemi intersecati Familiare, scolastico, sociale

La parola è un potente sovrano, poiché con un corpo piccolissimo e del tutto invisibile conduce a compimento opere profondamente divine.
Infatti essa ha la virtù di troncare la paura, di rimuovere il dolore, d’infondere gioia, d’intensificare la compassione.
Platone

1.

Contesti gruppali

Ognuno viene a un incontro di gruppo con la sua idea di gruppo. Ciascuno si sente “provocato” dal gruppo attuale che gli evoca i suoi “vecchi gruppi”.
Armando J. Bauleo, Note di psicologia e psichiatria sociale

1.1 CHIAMALE EMOZIONI

Incontrarsi tra adulti che sostengono un’impresa in comune è avvertito come necessario da chiunque si appresti a offrire dei servizi, dei progetti e delle opportunità destinati ad altri.
Genitori, insegnanti, educatori del tempo libero, operatori dei servizi sociali e professionisti socio-sanitari si ritrovano quindi spesso in un gruppo e, quasi sempre, promuovono incontri sia tra di loro sia con i loro utenti.
Nel momento in cui questi operatori si siedono in cerchio si trovano però a fare i conti con le loro fragilità soggettive, dovute alle parti di sé rimaste immature, e con le loro vulnerabilità personali, dovute alla particolare epoca storica in cui sono immersi. L’accelerazione continua dei tempi della vita e la globalità mondiale che rompe i confini geografici rende molti adulti incompleti, piccoli, infantili. La crisi che attraversa questo periodo storico alimenta affetti intrisi di ansia, paura, insicurezza. Il puer non sa dove sta andando e non capisce dove lo trascineranno gli eventi che lo circondano. Tanta piccolezza è però connotata, oggi, da altrettanta supponenza. I grandi fingono quindi di essere spacconi sentendosi in realtà dei piccini sperduti nel bosco relazionale. Dentro ad ogni corpo cresciuto, allora, alberga un infante smarrito che ha bisogno di essere visto, ascoltato e capito per crescere. Ha bisogno di essere preso per mano. Ha dunque urgente necessità dell’altro. Ma non sa attaccarsi a nessuno. Teme che chi sta con lui lo limiti, lo denigri, lo maltratti, non lo accontenti e lo abbandoni. Vive dunque il dramma dell’aver bisogno di stare insieme ai suoi compagni di viaggio, ma nello stesso tempo prova paura per il rapporto che lo unisce a coloro con cui deve condividere qualsivoglia situazione. Oggi viviamo in un mondo dentro al quale si è rotto il pensiero fiducioso, è svanito il senso del rispetto, è evaporata la capacità di rinuncia che permette di stare insieme agli altri.
Uomini e donne sentono la necessità di legami umani e, nel medesimo istante, temono i vincoli che li fanno stare dentro ad un gruppo che li mette in rapporto con più persone.
Si guardi bene non è colpa di nessuno.
È la complessità della nostra epoca che non permette naturalmente una lenta e completa maturazione. Ma a questo male odierno c’è rimedio. Se si dà voce a quelle parti piccine rimaste nel cuore di ogni adulto, sia esso genitore, educatore, allenatore, operatore, professionista o cittadino qualsiasi, ognuno può crescere. La possibilità di esplorare i vissuti infantili rimasti sepolti dentro al corpo adulto, coperti dall’età anagrafica, celati dai ruoli di responsabilità assunti, inoltre, offre un impareggiabile apprendimento per far crescere i piccoli di cui ogni adulto dovrà poi occuparsi. Solo conoscendo il bambino che alberga dentro di sé si può dunque crescere e far crescere.
Nel gruppo operativo questo “bambino interno” trova lo spazio più idoneo per emergere poiché il collettivo porta nel campo relazionale delle strutture familiari che vivono sepolte nella mente di ciascuno fin dall’infanzia. Il gruppo perciò impone alle parti piccole di salire in superficie. Questo venire a galla dei sentimenti più immaturi li rende educabili, maturabili ed evolvibili. In questo venire alla luce del puer sepolto dentro ad ognuno sta perciò la difficoltà emotiva e il valore formativo del gruppo.
Contenuto da un gruppo operativo chiunque maturerà perciò più facilmente.
Si forma allora un cerchio che condivide un grande sogno. Presto però ci si trova seduti in una circonferenza che provoca dolorose delusioni.
I diversi adulti formano un gruppo e si siedono gli uni accanto agli altri in una formazione democratica. Nel cerchio tutti hanno un ugual valore, ognuno ha identici doveri, tutti hanno il medesimo diritto di prendere la parola. Il cerchio affascina poiché rende tutti compartecipi nello stesso modo. Gestire la democrazia della circonferenza nella quale ognuno è posto al medesimo livello dell’altro richiede però molta maturità. La democrazia oggi è in crisi e, smarrito il suo contrapporsi alle dittature, non riesce a trovare un nuovo modo per autoalimentarsi. Essere democratici, così come un gruppo richiede, è dunque uno sforzo che non trova ispirazione nel mondo sociale, politico, istituzionale. E solo in alcuni piccoli gruppi si sta bene insieme per affetto, per amore, per affinità. E non sempre in modo duraturo. Quindi per condividere un obiettivo ci vuole qualcosa di più del familiaristico “volersi bene”.
L’oscillazione tra il piacere di sentirsi alla pari e il dispiacere di non poter comandare sugli altri diviene logorante conflittualità.
All’interno della rete composta dagli adulti che si ritrovano per condividere un’impresa comune, perciò, iniziano a svilupparsi degli stati emotivi difficili da gestire.
Ad un iniziale stato di grazia, quasi di euforia, per il confronto fattivo che si articola nel cerchio magico, segue una fase di fatica emotiva. Nel lavoro comune iniziano a vibrare affetti negativi, ad essere sollecitati sentimenti poco onorevoli, a venir pronunciate parole che feriscono, a costituirsi fazioni che si oppongono.
Il cerchio si sfibra, si sfilaccia e si rompe. La delusione allora irrompe e minaccia la finalità stessa dell’incontro.
I partecipanti si chiedono: “Ha senso stare qui se sto male? Sarà per me possibile frequentare questo ambiente se è così malato? Perché mai mi devo occupare dei rampolli di queste famiglie pretenziose? Va bene l’amore per l’associazione, ma di questi tempi esserne soci significa solo stare in competizione, covare invidia, sentirsi addosso negatività...”.
Alcuni adulti che compongono la rete che sostiene qualsiasi impresa cercano di bonificare i sentimenti propri o altrui, ma a nulla valgono negoziati, contatti personalizzati, tentativi di recupero. Il malessere permane. È una sofferenza che nasce dal bisogno di legami e dall’incapacità di gestirli. Il bisogno dell’altro cozza contro il limite che chiunque impone. Il desiderio di condivisione s’infrange sulla differenza di vedute. Si cerca di legare, ma ci si trova sempre più slegati.
Il conflitto tra affermazione di sé e bisogno dell’altro diviene fonte di stress senza che si riesca a trovare una via d’uscita poiché la rinuncia per il bene comune, l’attenzione ai bisogni altrui, la ricerca del benessere di chi ci sta accanto sembrano rappresentare delle debolezze intollerabili. La paura di essere sopraffatti si trasforma in arroganza. Il timore di valere poco diviene imposizione. L’ansia per la svalutazione delle proprie capacità diventa prosopopea.
Lo sfondo culturale odierno pertanto incrementa il disagio che le persone vivono nel costruire relazioni positive tra di loro. Si sono persi i cardini sociali dello stare insieme.
La fede come speranza che dà senso al sacrificio e fa sopportare la finitezza sembra sempre più scomparire. Si sono infatti smarriti i principi che fanno affrontare la perdita.
La legge, come regolatore sociale della convivenza umana, sembra aver lasciato posto ad un “arraffare” per sé il più possibile senza tenere conto di nessuna etica. Si è perciò smarrito il senso della regola che rende possibile coesistere al mondo.
La scienza, come necessità di superare l’ignoranza e mantenere aperta la ricerca, è stata soppiantata dalla presunzione di sapere già tutto. Nessuno sembra dover mai imparare nulla ed ognuno si arroga il diritto di avere la verità in tasca.
La cultura, come ricerca di senso condiviso, sembra aver rotto ogni codice umano ed essersi infranta contro lo scoglio delle barriere ideologiche. Si difende il proprio sapere e non si cerca di ibridarsi con il discorso che si vive come straniero, estraneo, diverso. Ognuno difende il suo sistema simbolico e rischia di non saperne creare uno nuovo.
La perdita di questi garanti della vita in comune sta attraversando il mondo sociale odierno. Essa si riverbera anche nelle istituzioni sanitarie, scolastiche e sociali che stanno perdendo il loro significato e si ripercuote anche nei piccoli gruppi di lavoro per andare infine a colpire il nucleo centrale costituito dal sistema familiare. Stare insieme oggi è dunque una controtendenza che implica una scelta che non si presenta né come semplice né tanto meno come indolore.
Creare rapporti tra adulti è dunque impresa nell’impresa. È il plus valore di ogni cerchio umano. È luogo esemplare per rimettere in moto nella Polis il valore dei legami. È fare formazione nell’educare. È allenamento alla relazione in un contesto sociale che non sa coltivare la solidarietà tra i cittadini, tra i lavoratori, tra i familiari. Il continuo incremento dei divorzi tra coniugi non è che l’esempio più eclatante dei dissapori che covano tra colleghi, che avvelenano nei condomini, che uccidono nelle strade e che rompono il patto politico. I legami personali, produttivi, di convivenza, di rispetto reciproco, di governo dei beni comuni sono in crisi. Questa frattura si rispecchia in ogni gruppo che si va costituendo poiché, senza la maturità data dal saper rinunciare, non vi è possibilità di mantenere saldi rapporti.
Nel gruppo di lavoro ad una fase di “innamoramento”, in cui ci si attende comprensione e soddisfazione, seguono delusioni, rotture, faide e dissapori difficili da elaborare.
La dimensione affettiva è la forza propulsiva sprigionata dall’incontro tra più persone, ma è altresì la difficoltà che ogni collettivo, classe, squadra, team, équipe, gruppo di lavoro si trova a vivere.
Alle volte le relazioni a cui espone lo stare in gruppo affaticano così tanto che i partecipanti desiderano non incontrarsi più. Allora chi appartiene al collettivo fugge, si dimette, lascia gli incarichi, si giustifica per le assenze. Il cerchio viene attaccato, delegittimato, disertato. La salute della persona, il benessere di una famiglia, la ricchezza emotiva, infatti, derivano direttamente dalla quantità e qualità dei legami sociali. Compartecipare con altri adulti ad un’impresa è dunque sinonimo di arricchimento dei legami con se stessi, con i propri cari e con le nuove generazioni. L’agire sociale non è pertanto solo un atto di volontaria donazione altruistica, ma è soprattutto un dedicarsi del tempo per mantenere la propria salute psichica. Adulti che si dedicano ad altri in realtà offrono a se stessi l’opportunità di sentirsi importanti, amati, considerati, stimati. E questi vissuti se non allungano la vita, perlomeno ampliano il senso dell’esistenza.
In ogni impresa quindi fare squadra è la carta vincente poiché genera salute psichica. È questo un benessere che viene trasmesso a chi divide, compartecipa e realizza il compito che ci si è dati. Divenire un gruppo è un’esperienza che però richiede di maturare le proprie competenze emotive.
Non si può stare con gli altri alimentando sentimenti infantili. Per condividere un compito è necessario abbandonare piccinerie e, pur sotto la pressione dello scambio umano, comportarsi in modo maturo. Lavorare tra adulti è dunque una grande opportunità per crescere, ma è anche una situazione nella quale è necessario maturare delle competenze sociali. Per fare gruppo bisogna saper vivere in un gruppo. Per partecipare ad un collettivo è necessario saper sopportare il limite imposto dalla presenza dell’altro.
Non si è adulti se non si è imparato che al piacere della compagnia corrisponde anche la mediazione dei conflitti dovuta alla diversità. Non si è maturi se si crede onnipotentemente di poter sottomettere chi ci è accanto dominando la scena come bimbetti bizzosi. Non si è professionali se non si è responsabili delle parole che si pronunciano sapendo argomentare le proprie ragioni in modo rispettoso. Non si è educatori se non si sa perdere, sbagliare e fallire facendo in modo che la sconfitta generi la determinazione a fare meglio.
Il gruppo alimenta queste competenze emotive, ma le mette anche fortemente alla prova. Imparare a tollerare il limite imposto dall’altro rendendo sopportabile il dolore, il rammarico, il dispiacere che inevitabilmente le differenze comportano allena alla vita lavorativa, familiare e sociale. E quel travaglio affettivo addomesticato rende possibile non solo rimanere seduti nel cerchio al quale si è aderito, ma anche andare al lavoro con minor stress da contatto con superiori e colleghi ed infine, ma non da ultimo, saper vivere in famiglia senza sentirsi troppo scontenti, insoddisfatti ed infelici.
Educare le emozioni durante le attività collettive diviene dunque opportunità per allenare i vissuti negativi alimentati dalla presenza dell’altro. Saper far fronte allo stress posto dalla convivenza induce a non ritirarsi dalla scena sociale.
Un’insegnante dall’aria professorale entra a far parte del gruppo terapeutico dopo un tentato suicidio e un grave ritiro dalla vita. Assunta, dall’aspetto fragile ed etereo, è una donna di mezza età molto provata. Un padre morto d’infarto quando lei era giovanetta. Una madre vinta dal lutto e mai più vitale. Un fratello che ha lasciato precocemente la vita con una siringa conficcata nel braccio. Una sorella morta in giovane età per un brutto male a lungo negato e trascurato. Solitudine, sconforto e amarezza la portano a frequentare con serenità solo il piccolo cimitero nell’isola di San Michele. Lì, fuori dal frastuono del mondo esterno, contornata da una laguna rassicurante, seduta tra le tombe dei suoi familiari trova un po’ di pace. Nel camposanto i suoi fantasmi del passato si placano, il dolore assordante si allontana, i pensieri ossessivi le danno tregua. Questa piccola donna intrisa di morte si contorna di un silenzio distaccato mentre dedica ore ed ore alla cura minuziosa del grazioso giardino che ha costruito attorno alle lapidi dei suoi cari.
La sensazione che la sua esistenza sia troppo assurda la rende però inquieta e arrabbiata. Il suo corpo un giorno la tradisce. Un’importante malattia la porta in ospedale per lunghi mesi. Lì incontra le insegnanti volontarie che si occupano dei bambini del reparto oncologico. Lei, maestra di mestiere, si dedica a loro durante la sua degenza. Dimessa, torna tra i lettini dei suoi nuovi amici perché tra i bimbi malati si sente bene. Assunta è passata dal cimitero all’ospedale e, grazie all’incontro con il padre di un giovanissimo degente, passa dalle corsie ospedaliere alla palestra della periferia degradata della sua città. Inizia a frequentare, come volontaria, la struttura sportiva gestita da questo giovane signore. Segue i bambini con l’argento vivo addosso e li aiuta a giocare in gruppo. I piccoli monelli sentono il bisogno di amore che emanano i pori di Assunta. Speranze, necessità, aneliti che rappresentano il loro medesimo bisogno d’essere amati per ritrovare la speranza di vivere. Le emozioni reciproche comunicano in silenzio, passano affettuosamente il confine soggettivo, diventano, giorno dopo giorno, empatia profonda. I vissuti degli uni curano quelli degli altri. E Assunta, un giorno qualsiasi, va con la squadra fuori città per un importante torneo. Passa dalla palestra alla vita rumorosa di una finale di campionato. La sua tormentata esistenza ritrova il piacere di un sorriso, l’aspettativa di un buon futuro, il valore di un senso esistenziale condiviso. La professoressa, ora più vitale, all’inizio della terza estate nella quale frequenta il gruppo terapeutico decide di concludere la sua esperienza. Sa tuttavia che il dolore per la separazione richiederà un lungo lutto silenzioso. Stavolta accompagnato però dai pensieri e dalle storie dei suoi tanti compagni di viaggio e della coordinatrice del suo gruppo. Dentro di lei non più solo il vociferare malato dei suoi familiari. Le parole sofferenti di sua madre, di suo padre e dei suoi fratelli sono infatti sostituite dalle profonde e vivaci riflessioni condivise nel gruppo con uomini e donne capaci di capirla e sostenerla per accompagnarla lontana dal suo bisogno di corteggiare la morte.

1.2 IL GRUPPO FAMILIARE

La famiglia è il paziente gruppale per eccellenza di ogni psicosocioanalista. La famiglia è il luogo dove la malattia dei legami si annida, si sviluppa e fa ammalare i singoli. La famiglia però è il paziente che viene meno frequentemente preso in carico dai professionisti poiché è davvero complicato prendersi cura di un gruppo che porta sedimentata dentro di sé una patologia basata sulla complicità e il segreto.
Qualche volta un unico terapeuta non basta e allora è necessario che si mettano insieme due analisti per incontrare una famiglia....

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