PARTE QUARTA
Nella pancia della balena
Che tristezza sentire da parte di alcuni intellettuali dentro e fuori la Chiesa, soprattutto negli Stati Uniti, che il Papa è affetto da incompetenza argentina, da folklore sudamericano, dai limiti della sua provenienza geografica. Per i detrattori il suo essere latinoamericano diventa segno di chiusura localistica, addirittura di scarsa preparazione teologica. Proprio l’opposto di quello che si può vedere e pensare guardando ai suoi viaggi, ai suoi interventi, al suo desiderio di mantenere viva la profezia in ogni luogo, anche all’inferno.
Le radici e la fioritura
Per capire la qualità planetaria del pontificato di papa Francesco, occorre certamente coglierne le radici latinoamericane ma esse fioriscono in un terreno universale. Nel suo cammino, oltre a Gesù Cristo e a Francesco d’Assisi, è accompagnato da vari ispiratori iberoamericani come Bartolomeo Las Casas, Ignazio di Loyola, Giovanni della Croce, Pedro Arrupe, Rafael Tello, Juan Carlos Scannone, Lucio Gera, Helder Camara, Chico Mendes, Paulo Freire, Ismael Quiles, Oscar Romero, Vicente Zazpe, Amelia Podetti, Alberto Methol Ferrè, Enrique Angelelli, Luis Espinal, Leonìdas Proaño, Samuel Ruiz, Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff, Adolfo Pérez Esquivel, Abraham Skorka, Erwin Kräutler, Claudio Hummes; il lavoro nelle periferie; le comunità di base; la devozione popolare; le assemblee episcopali di Medellin (1968), Puebla (1979) e Aparecida (2007) o i Forum sociali mondiali partiti da Porto Alegre nel 2001. Accanto ad essi il Papa ha avuto fra i suoi punti di riferimento altre personalità di rilievo mondiale come Francesco Saverio, Matteo Ricci, Pietro Favre, Michel de Certeau, Charles de Foucauld, Romano Guardini, Martin Luther King, Dorothy Day, Dietrich Bonhoeffer, Teilhard De Chardin, Thomas Merton, Karl Rahner, Henri De Lubac, Hans Urs von Balthasar, Gaston Fessard, Erich Przywara, Walter Kasper, Giovanni XXIII (Pacem in Terris, 1963), Paolo VI (Evangelii Nuntiandi, 1975), Carlo Maria Martini59.
Una fioritura cattolica (cioè universale), umanistica.
Il bisogno di cambiare
Emblematiche di questa tensione tra locale e universale sono, ad esempio, le parole rivolte ai movimenti o alle comunità che hanno attraversato gli orrori di dittature spietate che, in nome del Cristianesimo, hanno ucciso moltissimi cristiani.
Prima di tutto, iniziamo riconoscendo che abbiamo bisogno di un cambiamento. Ci tengo a precisare, affinché non ci sia fraintendimento, che parlo dei problemi comuni a tutti i latino-americani e, in generale, a tutta l’umanità.
Così il Papa il 9 luglio 2015 in Bolivia:
Mi avete informato sulle molte esclusioni e sulle ingiustizie subite in ogni attività di lavoro, in ogni quartiere, in ogni territorio. Sono molti e diversi come molti e diversi sono i modi di affrontarli. Vi è, tuttavia, un filo invisibile che lega ciascuna delle esclusioni […]. Non si tratta di problemi isolati. Mi chiedo se siamo in grado di riconoscere che tali realtà distruttive rispondono ad un sistema che è diventato globale. Sappiamo riconoscere che tale sistema ha imposto la logica del profitto ad ogni costo, senza pensare all’esclusione sociale o alla distruzione della natura? Se è così, insisto, diciamolo senza timore: noi vogliamo un cambiamento, un vero cambiamento, un cambiamento delle strutture. Questo sistema non regge più […]. Il tempo sembra che stia per giungere al termine; non è bastato combattere tra di noi, ma siamo arrivati ad accanirci contro la nostra casa con danni forse irreversibili all’ecosistema60.
Il cambiamento è motivato dall’amore fraterno che non parte da concetti ma dall’incontro con
volti e nomi che riempiono il cuore. Da quei semi di speranza piantati pazientemente nelle periferie dimenticate del pianeta, da quei germogli di tenerezza che lottano per sopravvivere nel buio dell’esclusione, cresceranno alberi grandi, sorgeranno boschi fitti di speranza per ossigenare questo mondo.
Una profezia all’inferno
Durante il suo viaggio in Messico, nel febbraio 2016, Francesco cerca di unire il dolore alla fiducia, l’indignazione alla speranza61. Nel Nord del Paese, a Ciudad Juarez, la città più violenta del mondo, proclama la possibilità di profezia all’inferno. La città di frontiera diventa la biblica Ninive violenta e degradata. Per costruire la nuova possibile città occorre sperimentare, come Giona, la pancia della balena. Lo dice in tre occasioni. La prima ai carcerati:
Chi ha sofferto profondamente il dolore e, potremmo dire, “ha sperimentato l’inferno” può diventare un profeta nella società.
La seconda ai lavoratori:
Ogni volta che, per vari motivi, la vita è minacciata, o ridotta a un bene di consumo, la Dottrina sociale della Chiesa sarà una voce profetica che aiuterà tutti a non perdersi nel mare seducente dell’ambizione.
La terza volta la profezia sembra gridare sull’altare, innalzato per essere visibile oltre frontiera verso El Paso:
Ninive era una grande città che si stava autodistruggendo, frutto dell’oppressione e della degradazione, della violenza e dell’ingiustizia. La grande capitale aveva i giorni contati, poiché non era sostenibile la violenza generata in se stessa. E lì entra in scena il Signore muovendo il cuore di Giona […]. Va’, gli dice, perché “ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta” (Gn 3,4).
Per Francesco, nel testo biblico emerge il mistero della misericordia che
fa appello alla bontà di ogni persona, anche se è addormentata, anestetizzata. Lungi dall’annientare, come molte volte pretendiamo o vogliamo fare noi, la misericordia si avvicina ad ogni situazione per trasformarla dall’interno […]. Gli abitanti della città reagirono e si decretò il pentimento. La misericordia di Dio entrò nel cuore rivelando e manifestando ciò che è la nostra certezza e la nostra speranza: c’è sempre la possibilità di cambiare, siamo in tempo per reagire e trasformare, modificare e cambiare, convertire quello che ci sta distruggendo come popolo, che ci sta degradando come umanità.
A Santa Marta, l’8 ottobre 2019, Francesco tornerà sulla figura di Giona nel ventre della balena, interpretandola come immagine della resurrezione di Cristo.
Qualcuno mi sta decifrando
Prima di ripartire per Roma, nel suo saluto, il Papa cita una poesia dello scrittore messicano Octavio Paz, intitolata Fraternità:
Sono uomo: duro poco ed enorme è la notte.
Ma guardo in alto: le stelle scrivono.
Senza capire comprendo: anch’io sono scrittura
e in questo stesso istante qualcuno mi sta dec...