Il lato oscuro della mente. l'io di fronte ai cambiamenti
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Il lato oscuro della mente. l'io di fronte ai cambiamenti

Fulvio Frati

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Il lato oscuro della mente. l'io di fronte ai cambiamenti

Fulvio Frati

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Questo libro, essenziale come un vero manuale e accessibile come una preziosa guida, si offre a quanti, operatori sociali o anche solo persone in ricerca, vogliono continuare a indagare il senso delle domande profonde della vita e della sua felicità nell'inestricabile trama della relazione con l'altro.

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Information

1.

Psicologia, Persona
e Personalità

1.1 GENOTIPO, FENOTIPO E LORO ATTUALI
INTERPRETAZIONI

Prendendo per un istante a prestito alcuni termini dalle scienze naturalistiche e soprattutto biologiche – che cronologicamente hanno rappresentato le preesistenti discipline intorno alle quali si è poi sviluppata la Psicologia come moderna scienza autonoma –, definiamo “genotipo” l’insieme delle informazioni genetiche trasmesse dai genitori ai figli e “fenotipo” l’insieme delle caratteristiche visibili o comunque evidenziabili di un individuo in uno specifico momento della sua esistenza. Con queste premesse, non possiamo non assumere anche alla base di qualunque nostro ragionamento successivo la legge generale pubblicata nel 1958 da Sinnott, Dunn e Dobzhansky – e che a propria volta rappresenta un’evoluzione di una precedente e più sintetica “equazione” formulata nel 1911 dal genetista danese W.L. Johannsen – secondo la quale il “fenotipo” di un organismo è sempre il risultato dell’interazione tra un “genotipo” e un “ambiente”.
E questo, è il caso di sottolinearlo, pur partendo da un ambito sostanzialmente biologico e riguardando all’inizio soprattutto le caratteristiche fisiche di ogni organismo vivente, e non solo quelle degli esseri umani, è un “punto fermo” che non è per la Psicologia umana meno vero di quanto non lo sia per la zoologia o la botanica. Esso va anzi ribadito proprio perché, come hanno sempre evidenziato in questi ultimi duecento anni tutti i più autorevoli studiosi di questi temi, ogni essere umano nella sua straordinaria unicità è rappresentato da una ancor misteriosa ma assolutamente imprescindibile “unità mente-corpo”.
D’altra parte, se si vuole applicare il sopra citato contributo di Sinnott, Dunn e Dobzhansky al più circoscritto ambito della Psicologia umana, si può rendere più specifica la forma della legge generale da essi enunciata, modificandola gradualmente in primo luogo – sull’onda del contributo di Barash e dell’impostazione sociobiologia che tanta innovazione e anche parecchio scompiglio ha portato nel mondo scientifico intorno alla metà degli scorsi anni Settanta – con la frase “Qualunque fenotipo deriva dall’interazione del potenziale genetico di un organismo con il suo ambiente, e il comportamento è un fenotipo come un altro”1. Oppure forse ancor meglio, (per dirla con parole più attuali e più attente a molti tra i più recenti contributi provenienti dal mondo della Psicologia), “il fenotipo psicologico e psicofisico di un essere umano è sempre il risultato dell’interazione del suo genotipo con l’esperienza che il medesimo individuo ha sperimentato all’interno degli ambienti fisici e umani in cui è vissuto sin dal momento del proprio concepimento come soggetto specifico”.
Quanto enunciato nel 1958 da Sinnott, Dunn e Dobzhansky, al pari di molte altre enunciazioni scientifiche, è stato qui definito con il termine di “legge”. Questo è perfettamente consentito da uno dei vari significati che tale termine assume nella corrente lingua italiana, ma esso va ripreso e approfondito per chiarire ancor meglio, se possibile, cosa si intende quando lo utilizziamo in ambito strettamente psicologico.
Secondo il vocabolario della lingua italiana, infatti, sotto il termine di “legge” si comprende, per definizione generale, sia ogni tipo di “norme ferme e costanti che si avverano nei fatti” sia “le norme che sono imposte dall’Autorità per determinare i diritti e i doveri dei singoli appartenenti ad uno specifico gruppo sociale”. In senso più strettamente giuridico, invece, le “leggi” intese come “norme giuridiche” sono, più in particolare oggi, leggi scritte o comunque “pubbliche” che sono stabilite dall’Autorità per determinare i diritti e doveri dei singoli appartenenti ai diversi gruppi sociali.
In conformità a queste considerazioni ritengo di poter enunciare sin dall’inizio di questo lavoro, con un linguaggio ancor più “corrente” e comprensibile anche ai non “addetti ai lavori”, quella che ho ormai da anni assunto come “punto di partenza” della mia visione di ogni essere umano e che, pertanto, denominerò Legge dell’interazione costitutiva. Essa può essere, in via generale, formulata con le seguenti parole:
La struttura e l’organizzazione psicologica e psicofisica di ogni essere umano sono sempre il risultato dell’interazione del suo corredo genetico con l’esperienza che la medesima persona ha sperimentato all’interno degli ambienti fisici ed umani in cui è vissuta sin dal momento del proprio concepimento come soggetto specifico.
Tale formulazione, da considerarsi corretta in via generale, va tuttavia ulteriormente raffinata per potersi considerare esatta alla luce delle attuali tendenze della Psicologia scientifica, che evolvono da una visione semplicemente “interazionista” ad una concezione di tipo più “costruttivista”. L’interazione “individuoambiente” non è mai, infatti, un processo interpretabile soltanto attraverso l’assunzione di un principio di anche radicale interdipendenza tra organismi e ambienti, nei quali ciascuno di essi si co-determina e co-definisce vicendevolmente: infatti, oltre a questi aspetti sia “interazionisti” sia “co-costruttivisti” contribuiscono a tale processo, in misura mai trascurabile, anche quelle “variazioni casuali” tipiche della materia biologica che continuamente intervengono a livello cellulare e subcellulare (ad esempio molecolare) proprio perché, per definizione, tutto ciò che è “vivente” non è mai “statico” ed è anzi, necessariamente, in continua e incessante modificazione secondo direzioni mai pre-definibili ma sempre, necessariamente, contingenti.
Per tali ragioni, l’espressione completa della Legge dell’interazione costitutiva (definibile anche, a questo punto, come Legge dell’interazione contingente), può essere indicata come segue:
La struttura e l’organizzazione psicologica e psicofisica di ogni essere umano sono sempre il risultato dell’interazione del suo corredo genetico con l’esperienza che la medesima persona ha sperimentato all’interno degli ambienti fisici ed umani in cui è vissuta sin dal momento del proprio concepimento come soggetto specifico, nonché delle variazioni casuali introdotte in tale interazione sia dalla continua modificabilità della materia biologica sia dalle specifiche ed irripetibili caratteristiche che ogni singola interazione tra tutti e tre questi fattori continuamente produce e presenta.
Rispetto a tutte queste varie formulazioni della Legge dell’interazione costitutiva o Legge dell’interazione contingente, inoltre, vorrei porre l’accento sul fatto per cui l’elemento maggiormente innovativo rispetto alle precedenti asserzioni a matrice meno psicologica e più biologico-naturalistica è dato dalla presenza del termine “ambiente umano”, il che ci porta inevitabilmente ad affrontare il tema di ciò che contribuisce a caratterizzare, nel suo intimo più profondo e radicato in se stesso, l’essere umano in quanto tale. Prima, però, di affrontare e approfondire questo specifico argomento sono necessarie alcune considerazioni anche sull’altro elemento, oltre a quello determinato dall’ambiente umano e dall’esperienza che esso comporta, che concorre a far sì che il fenotipo psicologico e psicofisico di un individuo assuma nel corso del tempo una propria specifica caratterizzazione: vale a dire il “genotipo”.
Ognuno di noi, infatti, nasce con un proprio carico genetico, ereditato per metà circa dal proprio padre e per metà dalla propria madre biologici. Ma come tutti noi sappiamo le combinazioni possibili tra i geni provenienti dal padre e quelli provenienti dalla madre sono di un numero elevatissimo; questo dal momento che né il padre né la madre trasmettono a ciascuno dei propri figli il medesimo carico genetico – tranne nel noto caso dei gemelli monozigoti – e che il DNA di ogni essere umano è costituito, nei 46 cromosomi che lo compongono di norma, da circa 6 miliardi di paia di basi. Queste ultime, a loro volta, variamente concorrono nel determinare la presenza e le caratteristiche di migliaia e migliaia di geni differenti, i quali nel corso della vita dell’individuo cui apparterranno eserciteranno i loro effetti sia a livello fisico sia a livello psicologico.
La conclusione di questo sintetico e indispensabile ragionamento iniziale, è che ogni essere umano nasce con una “predisposizione”, geneticamente determinata, che sin dal momento del concepimento lo rende più o meno idoneo a vivere e ad affrontare la vita; tale predisposizione è sostanzialmente – lo sottolineava già ad esempio il premio Nobel Jacques Monod nel suo celeberrimo lavoro Il caso e la necessità – frutto di combinazioni casuali.

1.2 “TEMPERAMENTO”, “CARATTERE” E
“PERSONALITÀ”

Dal punto di vista psicologico, oggi si tende ad indicare – menzionando al riguardo, tra gli altri non meno importanti, gli studi di un grande autore statunitense, Cloninger – tale predisposizione innata con il termine di “temperamento”, per distinguerla da ciò che invece si viene appunto a determinare negli anni immediatamente successivi attraverso l’interazione dell’individuo con gli altri esseri e gli ambienti umani con cui si trova a relazionarsi e che viene invece definito con il termine di “carattere”; sarà quest’ultimo che poi porterà, attraverso l’adolescenza e il raggiungimento dell’età adulta, allo strutturarsi di quella più o meno adeguata serie di caratteristiche psicologiche sostanzialmente – anche se mai del tutto – stabili per indicare le quali si utilizza invece, in genere, il termine di “personalità”.
Possiamo quindi affermare, prima di tutto, che ogni essere umano inizia a formarsi e nasce con un proprio temperamento individuale, determinato sia dal proprio carico genetico sia dalla propria esperienza pre e peri-natale, e quindi anche con una differente competenza ad affrontare le successive fasi della propria vita. Ciò ancora non è, in genere, completamente stabilizzato (salvo che non si siano verificati rilevanti e per fortuna rari inconvenienti biologici che, di fatto, impediscano, attraverso lesioni fisiche o alterazioni biochimiche di particolare entità, qualunque indicativa evoluzione psicofisica e quindi anche psicologica dell’individuo stesso), ma già rende il neonato sufficientemente idoneo ad interagire positivamente o meno con gli ambienti e le persone che lo circondano.
In altri termini, ogni essere umano è già, alla nascita, un soggetto attivo, che in qualche modo influenza l’ambiente e le persone con cui si trova ad interagire e che, indipendentemente dalle singole caratteristiche personali sia del proprio padre sia della propria madre biologici, ha già in sé le premesse per affrontare, più o meno efficacemente, le situazioni sia di benessere che di difficoltà che la vita gli presenterà nel corso successivo della sua esistenza. Di norma, tuttavia, quasi nulla a questa età è definitivamente determinato; ma la “competenza a vivere” di ciascun essere umano è già a grandi linee tracciata.
E, purtroppo, vi è anche chi nasce, pur in presenza di un padre e di una madre apparentemente adeguati e proprio a seguito di quell’estrema e del tutto casuale variabilità nella distribuzione del carico genetico proveniente dai due genitori, con significative predisposizioni ad una fragilità personale. All’opposto, per nulla sorprendentemente (proprio per quanto abbiamo sin qui cercato di evidenziare) e, forse con frequenza addirittura maggiore, tali fragilità spesso non si rilevano affatto in bambini nati da genitori che rispetto alla propria vita hanno invece manifestato, magari da sempre o comunque da molto tempo, rilevantissime difficoltà. Ogni essere umano nasce, quindi, con un differente “temperamento” e quindi anche con una differente competenza a vivere: è su questa necessaria premessa che s’innesta il contributo della Psicologia, e in particolare della Psicologia dell’Età evolutiva e della Psicologia dell’Educazione, cioè di quelle aree della Psicologia che, tra le altre cose, cercano anche di comprendere e di attivare modalità più idonee per aiutare ogni essere umano a sviluppare al meglio tale specifica competenza innata ad affrontare nel modo più proficuo possibile le opportunità, le problematiche, le occasioni e le sofferenze che nel corso del tempo la vita stessa gli presenterà.

1.3 I“BISOGNI FONDAMENTALI ” DEGLI ESSERI
UMANI: IL “MODELLO A PIRAMIDE” DI

ABRAHAM MASLOW

Le attuali conclusioni della Psicologia dell’Età evolutiva e della Psicologia dell’Educazione si basano su uno strano ma interessante paradosso, che in questa sede sembra indispensabile evidenziare: se, da un lato, ogni essere umano nasce con un genotipo abbastanza differente da quello di tutti gli altri per dargli una sua specifica e sempre diversa “competenza a vivere”, è anche vero che, d’altro lato, queste differenze genotipiche non sono sufficienti a differenziare gli esseri umani l’uno dall’altro per quanto riguarda i loro “bisogni fondamentali”, che almeno dal punto di vista qualitativo sembrano essere all’incirca i medesimi per ogni persona, anche se poi, da individuo a individuo, essi possono spesso presentare differenze anche estremamente significative dal punto di vista quantitativo.
Un famoso psicologo statunitense, Abraham Maslow, nel periodo compreso tra gli anni 1943 e 1954 è riuscito ad evidenziare e ad elencare in modo abbastanza condiviso dal mondo scientifico, quelli che a suo giudizio vanno considerati proprio come i fondamentali bisogni di ogni essere umano. Non solo: Maslow, nella propria teoria, li ha anche diversificati sulla base del loro differente “livello evolutivo”, e ha conseguentemente provveduto a disporli secondo una precisa “gerarchia”.
Questa specifica “Teoria dei bisogni” fu presentata da Maslow nel suo volume Motivation and Personality, pubblicato nel 1954. In tale lavoro, lo studioso espresse appunto il concetto di Hierarchy of Needs (formulazione traducibile in italiano sia come “Gerarchia dei bisogni” sia come “Gerarchia delle necessità”) e lo divulgò utilizzando per esso una raffigurazione a forma di piramide suddivisa in cinque differenti livelli, dai più elementari (posti alla base della piramide e individuati sostanzialmente in quelli necessari alla sopravvivenza fisica dell’individuo) a quelli più complessi, posti al vertice della medesima, di carattere maggiormente sociale ed esistenziale.
I livelli di bisogno elencati da Maslow in questo suo modello piramidale sono in particolare i seguenti, dai più elementari ai più complessi:
• bisogni fisiologici (fame, sete, ecc.);
• bisogni di sicurezza e di protezione;
• bisogni di “appartenenza” (affetto, accettazione, identificazione);
• bisogni di stima, di prestigio, di apprezzamento e riconoscimento sociale;
• bisogni di “realizzazione di Sé”.
Piramide dei Bisogni
di Abraham Maslow (1954)
image
Secondo questo modello “a piramide” proposto da Maslow, l’essere umano si gratifica e si realizza come persona passando in modo progressivo per i vari stadi del modello, dal più basso al più alto, cioè soddisfacendo progressivamente i propri bisogni psicofisici e psicologici dapprima ai livelli più bassi per poi passare, ad uno ad uno, a quelli più alti. La gratificazione dei bisogni di ciascuno stadio, una volta avvenuta, spronerebbe l’individuo ad accedere verso il livello immediatamente superiore, sino a quello più elevato della ricerca della gratificazione e della “realizzazione” del proprio più autentico Sé.
In seguito alla presentazione di questa teoria da parte di Maslow sono state formulate varie critiche a tale modello “gerarchico”, perché esso semplificherebbe in maniera drastica i reali bisogni dell’uomo e, soprattutto, il loro livello di “importanza”. La scala sarebbe perciò più corretta se interpretata in termini prettamente funzionali alla semplice sopravvivenza dell’individuo che in termini di effettiva realizzazione personale e sociale: quelli delineati da Maslow, almeno ai livelli più bassi, sarebbero cioè principalmente da considerarsi come bisogni di tipo psicofisiologico, più che psicologici in senso stretto. Altre critiche, altrettanto condivisibili, vertono sul fatto che la successione dei livelli potrebbe non corrispondere ad una progressione condivisibile da tutte le persone, che in effetti, possono attraversare i vari stadi anche secondo successioni diverse da quella delineata da Maslow, magari non utilizzandoli nemmeno tutti.
Anche accettando queste fondate critiche e ovviamente partendo dal presupposto secondo cui nello sviluppo delle conoscenze scientifiche mai nessuna teoria può considerarsi come del tutto definitiva, l’elenco dei bisogni individuali proposto da Maslow appare tuttora abbastanza attuale e, nella sostanza, assolutamente integrabile all’interno del discorso che si affronterà in quest’occasione. E ciò sia per le sue implicazioni in Psicologia economica – ciò che in genere andiamo a produrre o ad acquistare è, infatti, strettamente legato ai nostri bisogni materiali o sociali – sia soprattutto perché ci consente di introdurre il discorso sui bisogni fondamentali che, con differenze di carattere sostanzialmente quantitativo ma in modo generalmente uniforme per quanto riguarda i loro aspetti qualitativi, ogni bambino presenta alla nascita. E siccome è evidente a tutti che un bambino appena nato non può, da solo, provvedere sufficientemente a se stesso, immediatamente dopo la nascita deve avere a disposizione delle figure adulte che provvedano a soddisfarlo nelle sue necessità, che sono quelle che troviamo elencate ai tre livelli più bassi della Piramide di Maslow. Egli le definisce, rispettivamente, come “Bisogni fisiologici” (fame, sete, ecc.), “Bisogni di sicurezza e di protezione” e “Bisogni di appartenenza” (affetto, accettazione, identificazione). È doveroso tuttavia precisare, a questo punto, che la presenza di questo adeguato “ambiente facilitante” esterno (come lo definisce Winnicott) o di “rappresentazioni oggettuali interne buone” (come le chiamano gli psicoanalisti soprattutto di matrice kleiniana) è condizione sì necessaria, ma ancora insufficiente per il raggiungimento e il soddisfacimento successivo, da parte dell’essere umano ancora in via di formazione, di quei bisogni psicologici personali che Maslow pone ai livelli più alti del suo modello gerarchico: vale a dire, in primo luogo dei bisogni di stima, di prestigio e di riconoscimento sociale, e, quindi, delle ancor più elevate e comple...

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