PARTE QUARTA
Contrastare il cyberbullismo
La violenza non è forza ma debolezza,
nÊ mai può essere creatrice di cosa alcuna ma
soltanto distruggitrice
Benedetto Croce
Ogni insegnante è ormai perfettamente consapevole di quanto le tecnologie siano entrate nella vita quotidiana degli studenti. Sempre di piĂš a scuola i ragazzi non possono fare a meno di scambiarsi messaggi, navigare con gli smartphone, aggiornare il profilo sui social. Quante volte vi è capitato di chiedere a uno studente di spegnere il cellulare in classe? Oppure avete dovuto riprenderlo perchĂŠ scattava una foto in classe? I nuovi media, però, non rappresentano solo un problema, sono anche, e soprattutto, unâopportunitĂ da sfruttare. Oggi, infatti, è importante che gli insegnanti sappiano cogliere la sfida educativa offerta dagli strumenti digitali.
à altrettanto importante, però, che ricoprano il proprio ruolo di educatori impegnati anche sul fronte della prevenzione dei fenomeni negativi associati alle nuove tecnologie, come il cyberbullismo o il sexting.
Bullismo: cenni storici
Il termine âbullismoâ venne introdotto nellâambito della psicologia scolastica nel 1972 dallo psicologo svedese Peter Paul Heinemann, il quale a sua volta lo adottò prendendo spunto da Konrad Lorenz. Lâetologo considera lâaggressivitĂ come un istinto innato che ha la specifica funzione di favorire la sopravvivenza dellâindividuo e della specie. Secondo la teoria di Lorenz, definita dellâappetenza1, negli animali si accumula una certa aggressivitĂ che a un certo punto diventa una risorsa utile alla caccia, per la difesa del territorio, a fini riproduttivi o anche semplicemente per stabilire una gerarchia allâinterno del branco. Esistono quindi forme molto differenti di aggressivitĂ , da quella maligna e intenzionale tipica del bullo â e a parere di Fromm prerogativa dellâessere umano â alla sana capacitĂ di saper lottare per difendere i propri diritti o per conquistarsi un posto tra i titolari nella squadra di calcio della scuola.
Lorenz â in accordo con quanto sostenuto anche da Freud â considera lâistinto aggressivo una sorta di strumento connaturato allâessere vivente, che si rivela indispensabile in determinate circostanze, quando dissotterrare lâascia di guerra diventa lâultima risorsa per non cedere alle prevaricazioni di chi ci circonda o per impegnarsi allo spasimo nel conseguimento di un importante obiettivo.
Per quanto lâeducazione possa attenuare tutto questo anche nel bambino e nellâadolescente esiste la tendenza innata a esprimere pulsioni aggressive, per fortuna in porzioni infinitesimali rispetto alla gioia e allâamore che vediamo sgorgare quotidianamente nei loro giovani cuori. Non a caso, sempre a parere di Lorenz ânon câè amore senza aggressivitĂ â, nel senso che sono proprio gli animali piĂš letali a dovere inibire i loro istinti aggressivi con legami particolarmente intensi, per non mettere a repentaglio la sopravvivenza della stessa specie.
Un vincolo personale, unâamicizia individuale si trovano soltanto negli animali con unâaggressivitĂ intra-specifica altamente sviluppata, anzi questo vincolo è tanto piĂš saldo quanto piĂš aggressiva è la rispettiva specie animale2.
Dan Olweus, psicologo norvegese, fu invece il primo a iniziare a osservare scientificamente il fenomeno del bullismo. Nel 1983 condusse il primo studio su larga scala su 130.000 studenti norvegesi e svedesi di etĂ compresa tra gli 8 e i 16 anni, intrapreso in seguito alla notizia del suicidio di tre ragazzi adolescenti vittime di frequenti atti di bullismo che allora fece molto scalpore nella penisola scandinava. La ricerca fornĂŹ risultati inattesi, rivelando che il 15% dei ragazzi era stato coinvolto nel fenomeno, come attore o vittima.
Del resto, molto prima che la psicologia e i mass media si accorgessero di lui, la figura del bullo è sempre stata presente nella ...