Conclusioni
L’OSSERVAZIONE E I SUOI DESTINI
Tra quelle che abbiamo chiamato le nuove sfide introdotte dalla rivoluzione digitale, spicca l’aumento esponenziale dei dati disponibili complessivamente e sperimentabili, in rapporto alla frequenza in una data frazione di tempo con cui si presentano alla nostra esperienza (Big Data nel caso del mondo della ricerca). Tutto questo accade con conseguenze di carattere generale, ma, come abbiamo visto nel capitolo precedente, non senza risvolti molto evidenti anche nella pratica quotidiana dello psicoterapeuta.
È un tema che è all’attenzione di molti e in molte discipline.
L’idea che all’aumento dei dati disponibili, al “diluvio di dati”, potrà corrispondere in futuro “la fine della teoria” a favore di nuovi paradigmi scientifici129 è stata (ed è) fonte di dibattito, e si contrappone alla consapevolezza che, invece,
l’osservazione non solo ha bisogno di una teoria, ma [come abbiamo visto] l’osservazione stessa è carica di teoria. Dove non c’è teoria non è possibile che ci sia osservazione, e quindi non è possibile fare scienza130.
Come sostiene Vulpiani:
la prima cosa (forse la più difficile e importante) da fare è identificare la parte significativa del fenomeno, solo così si ha qualche speranza di capire131.
Nell’interessante testo Nello sciame: visioni del digitale, il filosofo tedesco di origini coreane, Byung-Chul Han, traccia un quadro delle implicazioni che la diffusione del digitale sta avendo sul mondo attuale132. Si tratta di una rivoluzione che ha ripercussioni su tutti gli ambiti di vita dei singoli, dei gruppi e delle società, fino a mettere in discussione l’esercizio della libertà.
Tra le diverse riflessioni che ci sembrano rilevanti su come la nuova situazione incida sul processo osservativo, troviamo la “perdita del rispetto”, inteso come un riguardo che ci trattiene dal puntare lo sguardo in modo indiscreto e che “presuppone uno sguardo distaccato, un pathos della distanza”.
Infatti l’osservazione in un mondo di dati enorme, senza più schermi né selezione, di totale – benché solo apparente – “trasparenza”, incorre in una deriva pornografica, perché mettendo a nudo tutto, va perdendo il significato comunicativo che il “vestito” fornisce al soggetto, che viene così spogliato di senso e che nell’anonimato perde con il nome anche identità e valore.
Il paradosso di questo aumento di “trasparenza” è che vi corrisponde un aumento di ciò che resta oscuro su più piani, alcuni di particolare interesse per il nostro discorso. Uno è relativo alle informazioni che in rete non vengono fornite a tutti:
[il] Tor (The onion router), cioè la rete sotterranea: […] è l’abisso digitale della rete, che si sottrae a ogni visibilità: con la crescente trasparenza aumenta anche il buio133.
Un altro piano riguarda la spoliazione di significato in cui incorre un’osservazione, dove tutto si presenta egualmente illuminato, indistinto, senza quelle ombre che fanno emergere e permettono di indentificare elementi informativi, nel caso delle persone i comportamenti e il loro significato comunicativo ed emotivo, la loro esperienza soggettiva.
È un quadro che sul piano psicopatologico richiama fortemente le modalità del pensiero psicotico, e dà da pensare che somigli in modo impressionante alla descrizione di Renée dell’esordio della sua malattia nel famoso Diario di una schizofrenica134.
Perdita di senso del mondo e spersonalizzazione dell’altro: senza nome non c’è rispetto (ci si deve mettere la faccia) e “anonimato e rispetto si escludono a vicenda”.
La caratteristica dello sciame è appunto, l’anonimato: “La nuova folla è senza animo né spirito”, è fatta di individui solo apparentemente connessi, in realtà immersi nelle proprie solitudini, ben rappresentati nel fenomeno dell’Hikikomori (a cui accenneremo più avanti).
La conseguenza più rilevante sul nostro tema è che l’accelerazione, l’intensità e l’immediatezza degli eventi informativi, annullando la distanza, non solo esautorano ogni forma di rispetto, ma comprimono, fino ad annullarlo, lo spazio/tempo del pensiero, che nasce invece dalla capacità di trasformare l’eccitazione in emozione e l’emozione in capacità di distinguere, di scegliere e organizzare le informazioni, cioè di pensare, come Freud riconobbe molto chiaramente con la sua teoria delle pulsioni.
La necessità di rimanere in costante collegamento, subendo di pari passo un’incontrollata invasione di informazioni che non possono essere elaborate, induce anche, oltre l’isolamento, un “affaticamento informativo”, IFS (Information Fatigue Syndrome), patologia psichica causata da questo eccesso, che ha come conseguenza immediata la paralisi del pensiero, già incontrata in altri modi in questo testo.
Sempre Han ci dice come “all’affaticamento informativo sono da ricondurre anche sintomi tipici della depressione” cui porta “l’eccessiva autoreferenzialità”, favorita anche dal medium; e verso una società sempre più narcisistica contribuiscono a portarci proprio i social media. Come esempio estremo delle conseguenze patologiche di quanto detto, abbiamo il già citato fenomeno dell’Hikikomori, termine giapponese con cui si indicano i soggetti, soprattutto adolescenti, che si isolano completamente dalla società chiudendosi in casa in un uso continuo di Internet e videogiochi.
Il quadro pessimistico, quasi catastrofico di Han, che prosegue le sue riflessioni con le conseguenze in tutti gli ambiti di vita dei singoli, dei gruppi e delle società sul piano del controllo e della “psicopolitica”, deve essere considerato anche un invito alla reazion...