A scuola il mondo conta
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A scuola il mondo conta

Percorsi e attività di mediazione e comunicazione interculturale

Silvia Rizzello

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A scuola il mondo conta

Percorsi e attività di mediazione e comunicazione interculturale

Silvia Rizzello

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Nella stesura di questo lavoro c'è un solo punto di partenza: lo sguardo, sempre diverso ma vivo, di tanti bambini, giovani e adulti eredi di una o più culture in movimento nel Belpaese. Un transito di culture, questo, che produce inizialmente un senso di "stranierità", il primo step di un processo in cui l'entrare in contatto con una persona di cultura straniera, sconosciuta, diversa, obbliga al "confronto/scontro" tra menti diverse.I disagi che ciò comporta coinvolgono tutti (autoctoni, vecchi e nuovi arrivati), senza alcuna distinzione di sorta (studenti, dirigente, insegnanti, personale ausiliario, amministrativo, esperti esterni, incluso lo stesso mediatore interculturale).Quanto accade nella Scuola, dunque, non è altro che lo specchio fedele di ciò che avviene fuori, nella vita di tutti i giorni.Le nostre radici culturali, che devono pur restare quale tratto distintivo dell'identità di ciascun individuo, dovrebbero essere considerate una delle tante sfumature di una tavolozza di colori da cui tutta la collettività possa attingere e trarne giovamento, con l'obiettivo di cogliere il meglio di ogni cultura per una società interconnessa in cui ognuno possa occupare un posto, rivestire una funzione, quella più consona alle proprie caratteristiche, attitudini ed esperienze, per la realizzazione del bene comune. Meglio, quindi, educare alle sfumature, alla pluralità, insegnare che nelle diversità c'è più gusto.Il metodo proposto in queste pagine, adottato e sperimentato dall'autrice, è da intendersi come un preparare il terreno a diventare fertile in una realtà sempre più plurale, a misura di differenze e in un mondo così "networkizzato" come quello di oggi, dove i confini spazio-temporali stanno scomparendo.Perché nella mediazione interculturale ciò che conta non è il risultato, come dall'alto di una cattedra ci hanno insegnato, ma quello che accade proprio dal basso, in maniera orizzontale; appunto, tra i banchi di scuola.

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Information

Year
2019
ISBN
9788861536876
PARTE TERZA La palestra delle differenze Idee e proposte didattiche
Oserais-je exposer ici la plus grande, la plus importante, la plus utile règle de toute l’éducation? Ce n’est pas de gagner du temps, c’est d’en perdre.
Jean Jacques Rousseau

Il senso della media education per stare nel mondo

Nello spazio vero-virtuale, infinito-bulimico delle notizie in rete la veridicità dell’informazione è spesso compromessa. I canali tradizionali (giornali, tv, radio) non costituiscono più entità a sé stanti, ma si arricchiscono e influenzano a vicenda grazie al comune denominatore per eccellenza: il digitale, meglio ancora i social network. I protagonisti di questo moderno fluire e fruire delle notizie e, in generale, della comunicazione a 360 gradi sono i nativi digitali e gli immigrati digitali, come li ha definiti lo scrittore americano Marc Prensky. I primi sono nati nell’era del web, i secondi sono tutti coloro che, pur non essendo nati con la tecnologia, hanno dovuto utilizzarla in un momento successivo; e che possiamo identificare nella maggior parte degli insegnanti, educatori, familiari e adulti con i quali i giovani, nativi digitali, si confrontano ogni giorno. La televisione, in particolare il telegiornale, non è più il referente assoluto dell’informazione, la verità, piuttosto, rappresenta una delle tanti voci di un coro che non ha confini né di luoghi né di tempo. Per le nuove generazioni la tv e tutte le notizie viaggiano solo sul web, ma soprattutto da e con uno smartphone. Se in passato alla base della formazione dei giovani, sia nel contesto scolastico sia in quello familiare, c’era l’osservazione passiva, oggi la realtà è ben diversa. La miriade di messaggi che riceviamo da altrettante fonti del mondo virtuale li rende utenti iperattivi nel processo di creazione di un contenuto mediatico o pubblicitario. Dall’altra parte, però, il fatto che la diffusione e la fruizione delle notizie siano sempre di più lasciate al caso della Rete richiede ulteriori approfondimenti sull’affidabilità delle fonti e dell’accaduto specialmente per chi di professione, come il giornalista, ha il compito di informare e ricercare la verità. In Rete è lecito a tutti scrivere e fare di un post una notizia, ma la credibilità non è di tutti né è facilmente riconoscibile. È buona norma – e prassi – del giornalismo anglosassone dire che “prima di diffondere una notizia sarebbe opportuno verificarla almeno tre volte, dunque da tre fonti diverse”. In una società-network come la nostra informare non basta più; anzi potrebbe far smarrire ulteriormente se pensiamo alla facilità con la quale tutti, cronisti e non, comunicano attraverso la Rete con modalità più o meno consone, più o meno in linea con i principi tecnici e deontologici della professione giornalistica. Soltanto da qualche anno ci stiamo interessando davvero al proliferare delle fake news, le cosiddette “bufale”, notizie infondate o falsate. Oggi più che produrre informazione abbiamo la necessità di selezionarla; di fare un’oculata scremature delle news. Un compito che potrebbe essere affidato ad una nuova figura del mondo mediatico, il selezionatore di notizie. Un professionista che sappia distinguere prima di tutto il vero dal falso privilegiando la diffusione di contenuti che rispettino non solo una certa etica della parola, ma anche i suoi significati affinché non istighino alla discriminazione, al razzismo o ad azioni violente che possano essere nocive sia per il singolo cittadino sia per la collettività. Un’informazione che racconti la realtà senza amplificare i toni di ciò che è deleterio e di cui l’opinione pubblica è già a conoscenza. I giovani non sempre riescono a vedere al di là delle notizie tragiche. Finché continueremo a puntare l’obiettivo soltanto sul macabro, su un’intera sequenza di inguardabili fotogrammi, specie tra i giovani, non avremo che un’interminabile riproduzione di indicibili fatti di cronaca. Se gli addetti dell’informazione scegliessero di far parlare le storie – anche quelle difficili e tristi – inquadrandole in un’ottica propositiva e dall’approccio ottimista, queste risveglierebbero le esperienze positive che i nostri ragazzi hanno vissuto o vivono quotidianamente e che, come fanno gli adulti, dimenticano nel pessimismo generale di cui siamo intrisi. Tra l’altro, non sempre giornalisti e operatori dei media adempiono al compito primario di essere creatori dell’informazione in una visione che sia il più possibile oggettiva, o per lo meno scevra da pregiudizi e stereotipi. Diversi professionisti del settore ne fanno spesso una cronaca episodica e superficiale, poco approfondita e motivata dei fatti; tanto da non riuscire a ricreare la complessità della nostra società e della stessa immigrazione, figlia dei vari fenomeni a cui la globalizzazione ha portato. Una prassi, questa, che induce l’opinione pubblica a confondere notizie e valori oltre che permettere a chiunque di arrogarsi il diritto di sentirsi “competente” rispetto a un contenuto, a una materia, controbattendo a chi veramente ne sa con una personale Wikipedia di immagini, lettere, post, cinguettii qualunquisti urlati in Rete. Per ovviare al pericolo di un appiattimento culturale, i media dovrebbero essere non solo costruttori, ma anche fruitori della comunicazione in quanto pubblico che osserva e analizza di cosa sono fatti i messaggi, come veicolarli, per garantire un’informazione che consenta, soprattutto alle nuove generazioni, di ragionare sulle cause di ciò che accade e capire dove situarsi nella realtà plurale del nostro mondo globalizzato. Un tempo si studiavano i mass-media come antivirus contro le cattive influenze della sua stessa industria culturale dalle quali ci si doveva difendere perché l’unica cultura accreditata, quella con la C maiuscola, era l’educazione scolastica. Oggi ai giovani si dovrebbe insegnare a “leggere” i media per accrescere in loro spirito critico, sensibilità interculturale e conoscenze di saperi e culture altre. I ragazzi socializzano più nei e con i social-media invece che nel contesto familiare, scolastico e delle amicizie. Permettergli di comprendere come funziona il mondo social-mediatico significa fare attività di codifica e decodifica dei messaggi che si celano dentro e dietro le notizie; consentire agli studenti di decostruire (e ri-costruire) le rappresentazioni sociali veicolate.
Deve essere ben chiaro che i media non sono una finestra trasparente sul mondo, ma una versione mediatizzata di esso. Non rappresentano la realtà semplicemente per quella che è, piuttosto la rappresentano,
ribadisce l’Unesco nella pubblicazione Media Education8, kit realizzato per insegnanti, genitori, alunni e professionisti.
Tutti coloro che lavorano con e per i giovani, e le loro famiglie, dovrebbero essere sensibilizzati all’importanza che la cultura mediatica ha nella quotidianità degli adolescenti e farsi da tramite per indirizzarli nella moltitudine di informazioni che, ogni giorno, entrano a far parte della nostra vita, occupandola anche troppo. Capita spesso, infatti, che una notizia suscettibile di strumentalizzazione, quale può essere l’arrivo via mare di persone in fuga dal proprio Paese, vada al di là del fatto stesso rimbalzando per lungo tempo non solo nei tg, ma in molti palinsesti televisivi e nell’indomato panorama dei social network dove è molto probabile che venga del tutto deformata. Se è vero che gli studenti hanno già un’esperienza pratica e un’idea chiara di come funzioni il mondo dell’informazione sulle app9, non è altrettanto scontato che arrivino a comprenderne il fine e il motivo che hanno portato alla creazione di una notizia, specialmente se la credono vera. Senza una linea guida finalizzata ad una conoscenza approfondita degli ingranaggi dell’informazione, cosiddetta competenza mediatica, i giovani saranno facili fruitori di fake news e continueranno ad usare il digitale in maniera superficiale così come, talvolta, fanno nell’approccio alla vita. Un programma didattico di media e peer-education insieme potrebbe aiutarli a scandagliare la conoscenza della lingua o lingue d’origine e capire come stare al mondo, arricchendo il proprio cammino formativo e personale di significati preziosi.

Educare all’informazione come nuova frontiera interculturale

Sul binomio media education-intercultura si potrebbero investire risorse finanziare, strumentali ed umane. Non solo in ambito scolastico, i benefici che un approccio da media education potrebbe apportare all’apprendimento interculturale sono tanti anche per l’affinità di contenuti. Nella media education, improvvisandosi giornalisti si è tutti colleghi di un’unica redazione. Ci si mette al pari degli altri proprio come accade nelle situazioni interculturali dove tutte le culture sono allo stesso livello, non ce n’è una che si erge, prevarica e comanda. Vige lo stesso principio collaborativo e, se vogliamo, anche di solidarietà, tipico di una redazione giornalistica dove si lavora insieme rendendosi complementari nelle differenze – quali possono essere per esempio lo stile, “la penna” del singolo cronista, o lo scrivere per un genere, gli e...

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