L'umanità di Gesù
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José María Castillo

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L'umanità di Gesù

José María Castillo

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È possibile raggiungere la pienezza del "divino" solo nella misura in cui ci impegniamo a conseguire la pienezza dell'"umano"; possiamo arrivare a essere "più divini" solo diventando "più umani". Questa proposta deve invadere ed impregnare tutta la vita e l'attività della Chiesa: la sua teologia, il suo sistema organizzativo, la sua morale, le sue leggi, la sua presenza nella società e soprattutto nella vita e nella spiritualità dei cristiani.È una proposta che deriva dal centro stesso della fede cristiana: il Dio del cristianesimo è il "Dio incarnato". Cioè il "Dio umanizzato" che si è fatto conoscere in un essere umano, Gesù di Nazareth. Ma nella storia del cristianesimo di fatto l'umanità di Gesù e le sue conseguenze sono state più difficili da accettare della divinità di Cristo. Questa difficoltà porta direttamente a dover affrontare questa domanda: chi occupa realmente il centro della vita della Chiesa, Gesù ed il suo Vangelo o san Paolo e la sua teologia? Non si tratta della vecchia questione su chi abbia fondato la Chiesa. La Chiesa ha la sua origine in Gesù. La Chiesa ha quindi il suo centro in Gesù, il Messia, il Signore, il Figlio di Dio. Ma, detto ciò, non si può schivare quest'urgente domanda.A partire da questa si materializzano altri interrogativi: da dove e da chi si sono presi i grandi temi che si propongono e si spiegano nella teologia cattolica? Su cosa o come si giustificano il culto, i riti e in generale la liturgia che si celebra nei nostri templi? A partire da chi e da quali argomenti si legittima il modo di governare che si esercita nella Chiesa? Quale modalità di presenza deve avere la Chiesa? Perché il cristianesimo appare più come una religione e molto meno come la presenza del Vangelo di Gesù nel nostro mondo? Finché la Chiesa non affronta queste questioni e dà loro la dovuta risposta, non potrà recuperare la sua identità e compiere la sua missione nel mondo.

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Information

Year
2019
ISBN
9788861537019

Chiese con più religione che umanità

Confesso che molte volte ho avuto (non so se) l’audacia o la morbosa curiosità di farmi la stessa domanda che solo quattro o cinque anni fa si faceva il professor Richard I. Pervo dell’Università del Minnesota (Stati Uniti):
Perché la Chiesa cristiana venera i vangeli e confessa Gesù Cristo come Signore e Salvatore, ma ai solidi insegnamenti di Gesù preferisce l’etica più convenzionale della tradizione paolina?151.
Per iniziare a farsi un’idea di ciò che questo rappresenta, torna utile ricordare che, come ho già detto, il Vaticano II ha affermato che Gesù ha posto il punto di partenza della Chiesa quando ha iniziato ad annunciare il Regno di Dio (LG 5,1), cosa di cui si è detto giustamente che è il centro e il compendio del Vangelo152. Ebbene, un dato è eloquente: mentre i vangeli sinottici parlano più di centoventi volte del Regno di Dio, nelle lettere di Paolo e nelle cosiddette deuteropaoline (Efesini e Colossesi) si fa riferimento al Regno di Dio solamente undici volte153. Sembra evidente, quindi, che Gesù ha messo al centro del suo messaggio il tema del Regno o “signoria” di Dio. Cosa che, a quanto pare, a Paolo interessa poco o in maniera molto marginale.
Ma la cosa più eloquente non è il maggiore o minore interesse di Paolo per il tema del Regno. L’aspetto decisivo sta nel fatto che per Gesù il Regno di Dio si fa presente, si manifesta e consiste prima di tutto nell’alleviare la sofferenza umana. Annunciare il Regno si associa a vivere “curando ogni malanno e malattia del popolo” (Mt 4,23b par). Così come la missione di annunziare il Regno si unisce direttamente al compito di “curare malati, risuscitare morti, sanare i lebbrosi e scacciare i demòni” (Mt 7,10 par). Per questo, come spiegano bene i migliori esegeti, la signoria di Dio è
l’amore senza limiti di Dio per i disprezzati e gli emarginati, per i poveri, le donne, i peccatori, i samaritani154.
Questo è un tema molto studiato e citato più volte, sul quale non è necessario insistere oltre. L’unica cosa che sembra conveniente è riassumere il contenuto essenziale del Regno di Dio nell’affermazione eloquente che condensa il Vangelo, dicendo che secondo i sinottici ciò che nella vita, nell’attività e negli insegnamenti di Gesù è centrale e determinante sta nella sua profonda umanità e vicinanza a coloro che soffrono nella vita.
Nel caso di Paolo, invece, il tema del Regno di Dio si sposta. In maniera tale che per Paolo l’aspetto centrale e determinante del Regno di Dio consiste non in ciò che ci umanizza, ma in ciò che moralizza. Il che equivale a dire che nella mentalità e nel messaggio di Paolo l’importante nella vita non è rimediare alla sofferenza della gente, ma imporre obblighi e doveri a coloro con i quali ci mettiamo in relazione. Da questo derivano gli elenchi dei vizi che, quando non sono superati, rendono impossibile “ereditare il Regno di Dio” (1Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Ef 5,3-5). Tenendo conto del fatto che le lettere di Paolo e le deuteropaoline presentano più elenchi di vizi (1Cor 5,10-11; 2Cor 12,20-21; Rm 1,29-31; 2,21-24;13,13; cf. 3,5-8; Ef 4,31)155.
Si è discussa l’origine di queste liste o cataloghi di vizi, cioè da dove Paolo abbia preso questi cataloghi156. La conclusione più affidabile che si può trarre è che non sia esistita una vera influenza diretta del pensiero stoico in Paolo157. A ragione Tertulliano ha detto:
Che hanno in comune, dunque, Atene e Gerusalemme? Che hanno in comune l’Accademia e la Chiesa?
Cioè cosa ha a che vedere la proclamazione del Messia giudaico, Gesù, con la tradizione intellettuale greca, che ad Atene ha messo radici tanto profonde?158
Ci sono coincidenze di luoghi comuni, riflessioni simili che vengono suggerite dall’appartenere alla stessa epoca e dal dare risposta a inquietudini di uomini contemporanei159.
In realtà è stato così nel caso di Paolo. Nella lista dei vizi che (a giudizio di Paolo) impediscono l’ingresso nel Regno di Dio, una delle cose che richiamano di più l’attenzione e risultano più significative è la straordinaria rilevanza che in questi elenchi hanno i peccati in materia di sesso. Il che fa pensare che il “puritanesimo”, che i greci si trascinavano a partire da Pitagora e dal siciliano Empedocle160, abbia veramente avuto ripercussioni che di sicuro sono arrivate a Paolo. Certo, Paolo non è arrivato alle aberrazioni degli stoici radicali, che sono arrivati a denunciare come inammissibili tutte le relazioni sessuali, persino il matrimonio, cosa che Empedocle arrivò a difendere161. In ogni modo, l’aspetto più preoccupante di questa mentalità, che ha segnato così profondamente la cultura dell’Occidente, sta nel fatto che la
purezza, piuttosto che la giustizia, è diventata strumento capitale di salvezza162.
Paolo condannò i peccati contro la castità, ma non condannò le ingiustizie che si commettevano contro gli schiavi, le donne, i bambini, gli ultimi.
Senza approfondire ulteriormente questo problema, almeno per il momento, riprendiamo il tema della sessualità. Su questo punto concreto il contrasto con i vangeli è evidente. Se ci atteniamo a ciò che insegnano i quattro evangelisti, Gesù non ha mai parlato di vizi o peccati che possano avere qualche relazione con la sessualità. L’omosessualità non la cita neppure. E si sa che nella sua relazione con le donne Gesù si è lasciato toccare (Lc 7,39), baciare (Lc 7, 45) e profumare (Lc 7, 46) da una nota “peccatrice”. Tutto questo in pubblico, invitato a un banchetto. Un buon gruppo di donne lo ha accompagnato per le strade della Galilea (Lc 8,2-3). Ha depenalizzato l’adulterio quando alcuni ipocriti commedianti denunciarono in pubblico una donna adultera (Gv 8,1-11). Gesù non ha rifiutato le “cattive compagnie”163. Il contrasto – solamente indicato – con Paolo è evidente. Paolo infatti censura con rigore i seguenti vizi:
“impurità” (akatharsía) (2Cor 12,20 s; Gal 5, 19; Ef 5,3-5, 4,19; Col 3,5-8; cf 1Ts 4,7);
“fornicazione” (pornéia) (1Cor 5,10 s; 6,9; 2Cor 12,20 s; Ef 5,3-5; Col 3,3-8; cf 1Ts 4,3);
“adulterio” (moichéia) (1Cor 6,9; Rm 2,22);
“effeminatezza” (málaxis) (1Cor 6,9);
“sodomia” (arsenokóites, sodomita) (1Cor 6,9; Rm 1,26-27).
Su questi vizi Paolo insiste: coloro che commettono tali cose non sono adatti a “ereditare il Regno di Dio” (1Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Ef 5,3-5).
Perché questa preoccupazione così evidente di Paolo per i vizi e i peccati in relazione con il sesso? La spiegazione ha connessioni profonde con quanto è già stato spiegato sul puritanesimo dei greci, così segnati dallo stoicismo. Ma questo non è l’aspetto determinante. I vizi che toccano quest’ambito dell’esperienza umana, che hanno a che vedere con il sesso, sono (a giudizio di Paolo) “opere della carne” (érga tes sarkós) (Gal 5,19)164. Con questo tocchiamo uno dei temi più importanti della teologia di Paolo, che è necessario chiarire per capire anche le conseguenze sulla Chiesa fino al giorno d’oggi. Mi riferisco allo gnosticismo, presente nel pensiero e nella vita di Paolo e delle “chiese” che egli ha organizzato e diretto.
Per farsi un’idea dell’importanza che ha avuto quest’argomento alle origini del Cristianesimo, basti ricordare che la gnosi è stata una delle correnti di pensiero che ha avuto più influenza nei primi secoli della vita della Chiesa165, soprattutto negli strati più alti della società del tempo, ai quali appartenevano monaci e teologi.
Probabilmente la radice dalla quale ha iniziato a prendere vita lo gnosticismo, è stata la proposta del pensiero greco, di origine platonica, secondo il quale l’irrealtà che percepiamo nella vita o i luoghi comuni stoici sulla necessità di superare la sofferenza quotidiana si allearono con il dualismo dell’Oriente (Iran, India). In questo modo provocarono una risposta a quelle domande a cui non sappiamo rispondere e che portano non poche persone a una conclusione: ciò che percepiamo con i sensi è pura illusione. La realtà autentica, quella che ci può salvare è la realtà spirituale166. Così il “dualismo” iraniano, il “dualismo orfico” e il “dualismo di Platone” sfociarono nel “dualismo anticosmico”, che propone prima di tutto una distinzione radicale tra Dio e il mondo; e in secondo luogo un mondo chiuso e separato dall’ambito del divino. Conseguenza logica e inevitabile è l’opposizione radicale tra “l’umano” e “il divino”. Per questo motivo lo gnosticismo propone ed esige che accettiamo un Dio radicalmente trascendente e ultramondano, assolutamente sconosciuto, tale che davanti a un simile Dio tutta la realtà mondana, materiale, corporea è perversa, quindi, inutile per portarci alla salvezza di cui abbiamo bisogno. Solo la “conoscenza” (gnósis) ci può salvare.
L’uomo spirituale è redento per mezzo della conoscenza167.
Stando così le cose, è stato inevitabile che alcuni autori (o testi) del Nuovo Testamento siano stati influenzati e condizionati dalla gnosi. Questo è successo in particolare con Paolo, che distingueva nell’uomo tre parti: corpo, anima e spirito (1Ts 5,23) o che divideva gli uomini in “spirituali” e “carnali” (1Cor 2,14s.; 15,21.44-48).
Forse l’aspetto più profondamente gnostico in Paolo è questo dualismo rigido ed essenziale che stabilisce tra Dio e il mondo presente (1Cor 2,12), questo radicale disprezzo della materia e del corpo […], questo disinteresse assoluto per ciò che è terreno, perverso (Gal 1,4), che merita di essere crocifisso (Gal 6,14) per l’uomo, che caratterizza il pensiero paolino e che predetermina tutta la sua ideologia anche quando parla dell’istituzione matrimoniale (cf. 1Cor 7). Questo spiega il disinteresse paolino per qualsiasi azione costruttiva di questo mondo, per qualsiasi tipo di trasporto per le cose della politica o per la realizzazione dell’essere umano in quest’universo. Così si spiega la profonda contraddizione tra i sobri e gli svegli, gli spirituali e i loro contrari, i carnali, cioè tra la luce e le tenebre (cf. Rm 13,11-13; 1Ts 5,4-6); l’opposizione tra “spirito” e “carne” (Gal 3,3; 5,16), tra la coscienza retta e il “corpo di morte” (Rm 7,24 e sg.; 8,8 e sg.). Paolo non è interessato per nulla dal Ge...

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