La sicurezza è un viaggio speciale
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La sicurezza è un viaggio speciale

Racconti, pensieri ed emozioni che aiutano il mutamento

Francesco La Rosa

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La sicurezza è un viaggio speciale

Racconti, pensieri ed emozioni che aiutano il mutamento

Francesco La Rosa

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Racconti, sogni, riflessioni, inquietudini scaturite da innumerevoli viaggi tra Europa, Nord Africa e Medio Oriente, scene di vita nel mondo poco conosciuto dei grandi cantieri, tra routine esotiche e drammi improvvisi. La vita quotidiana in zone tormentate che nulla hanno di "quotidiano", i segni della guerra sugli uomini e sull'ambiente, le tracce visibili di un favoloso passato, l'alba nel deserto o a bordo di un aereo, le storie di operai ignari del fatto che la loro giornata oggi non sarà come le altre. Materiale accumulato negli anni, suggestioni che producono, sottotraccia, un mutamento permanente di prospettiva. Cambia la visione del mondo e delle cose, si comprende come l'umanità sia declinata al plurale, tanti sono i modi diversi di fare le cose, tante le abitudini, tante le culture. Si comprende come la cultura non sia destino ineluttabile, come le cose possano cambiare, e come cambino, sotto l'influsso delle emozioni vissute e raccontate. Un mutamento culturale che certamente può e deve riguardare anche la salute e la sicurezza, troppo spesso compromesse dall'abitudine, dalla pigrizia, da un "modo di fare le cose qui" dato a torto per scontato. Questo libro vuole contribuire ad un mutamento di prospettiva, attraverso la narrazione, le suggestioni e le riflessioni. Quel mutamento di prospettiva che è da sempre nel cuore degli Ambassador del movimento ITALIA LOVES SICUREZZA, di cui viene qui raccontata la storia sin dalle origini.

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PRIMA PARTE
Racconti, pensieri ed emozioni che aiutano il mutamento
Questa parte del libro raccoglie, principalmente ma non esclusivamente, storie vere, a cui ho accostato pensieri, sensazioni e riflessioni. Trae origine dalle esperienze vissute nel corso di una lunga carriera trascorsa interamente nel campo dell’impiantistica Oil&Gas, una vita passata prima partecipando, poi dirigendo progetti in giro per il mondo, soprattutto nel Medio Oriente, che per parecchi decenni è stato una sorta di Eldorado petrolifero.
Sono storie di viaggi, di voli notturni e di attraversamenti di regioni per lo più difficili e tormentate. Sono storie di cantieri internazionali, e della gente che ci vive, un mondo estremo ma autentico, tanto affascinante quanto poco conosciuto e raccontato. Un mondo a cui ho cercato, in tutta umiltà, di rendere un po’ di giustizia.
Frequentando per decenni i grandi cantieri, capita purtroppo di doversi talvolta confrontare con degli incidenti. E dunque questo libro contiene anche storie di incidenti sul lavoro, alcuni veri, altri solo immaginati, ma possibili. Ciò che è successo o ciò che avrebbe potuto. Gli incidenti con cui ho dovuto confrontarmi negli anni mi hanno toccato nel profondo, come sempre accade quando si prende atto che dietro alle statistiche ci sono sempre esseri umani, famiglie, storie personali interrotte.
Da qualche tempo avevo preso l’abitudine di appuntare storie, pensieri, riflessioni, stati d’animo, ed è stato quasi naturale pensare che raccontando quelle storie potevo provare a toccare qualcun altro, innescare un cambiamento. Avvicinarmi al movimento di ITALIA LOVES SICUREZZA è stato del tutto naturale.
In fondo, raccontare è un’attività primaria, quasi una pulsione primordiale dell’essere umano, raccontare storie è il nostro modo di stare al mondo, sostiene Ascanio Celestini. Storie raccontate la sera attorno al fuoco, oppure per far dormire i bimbi, per insegnare ma soprattutto, forse, per dare una spiegazione all’assurdo. In principio fu il racconto.
Questa affermazione non deve sorprendere, le storie da sempre sono considerate un mezzo potentissimo per trasferire conoscenza, per mettere idee in comune, letteralmente per costruire una cultura. Non dimentichiamo ad esempio che un antico poema, fondamento della civiltà occidentale, l’Iliade, fu usato per secoli, nella Grecia classica, come libro di testo nelle scuole, per gli insegnamenti pratici che conteneva. I nostri antenati sapevano bene che, attraverso la narrazione è possibile far passare un insegnamento. Spiegare “come si fanno le cose qui”. Ma è altrettanto possibile usarle per cambiare il modo di fare le cose, per innescare un mutamento di prospettiva.
Di fronte ad affermazioni teoriche correlate da dati, si reagisce istintivamente attivando lo spirito critico, andando a caccia di errori, omissioni o contraddizioni, cercando fallacie logiche, insomma attivando tutta la potenza analitica e demolitrice del ragionamento. Lo storytelling funziona in un modo completamente diverso, effettua un passaggio dallo spiegare al mostrare, dalla dimensione oggettiva, razionale delle regole e procedure a quella soggettiva ed emotiva dell’esperienza, dal freddo sapere al caldo immaginare e comprendere. Fa passare dall’intelligenza all’empatia, dalla “dimostrazione” alla partecipazione. Lo storytelling fa dunque da tramite, permette di veicolare i contenuti facendogli superare la barriera istintiva che i discorsi prescrittivi tendono a costruire dentro di noi.
Sono le storie ad innescare il cambiamento.
C’è tuttavia un aspetto da non trascurare. Lo storytelling è un’arma a doppio taglio.
Perché sia efficace, una narrazione deve essere credibile. La storia deve apparire realistica, l’ambientazione verosimile, i dettagli aderenti alla realtà. Il tutto deve risultare a prova di operaio cantierista scettico, per intenderci… Se questo accade, allora la narrazione è efficace, potente, “smuove” e motiva, fa cambiare; in caso contrario si rivela addirittura controproducente, la falsità affiorante nella storia trascina con sé e rende inverosimili anche i contenuti che si intendeva veicolare. Affondano insieme. Ad evitare questo rischio confido che mi sia servita a sufficienza l’esperienza vissuta in tanti anni di lavoro.
Le storie che seguono sono state raccolte in un periodo piuttosto lungo, un decennio circa. Ho fatto precedere ad ogni capitolo qualche parola di commento che aiutasse a contestualizzarle.
Detto questo, vi auguro buona lettura.
Riflessione
Bianco primitivo
(Aprile 2008)
I miei viaggi di lavoro spesso prevedevano lunghi voli intercontinentali, ma il più delle volte cominciavano con un breve volo di avvicinamento all’hub. E così mi piace cominciare questa piccola raccolta col ricordo di una mattina, molto presto, sorvolando le Alpi verso Francoforte.
Giornata di sole oggi, mentre per l’ennesima volta sorvolo le Alpi innevate, sorpreso dall’intensità dell’emozione che ancora provo, nuovamente, come ogni volta.
La civiltà è lì ad un passo, lontana non più di venti minuti, tanto e non di più è il tempo trascorso dal decollo, e non manca che una mezz’ora a sorvolare qualche grande città dall’altra parte della catena.
Ma per adesso ci stiamo giusto in mezzo, e sotto ci sono le montagne, quelle vere.
Una distesa crudele di bianco, prova che a questo mondo il bianco può esistere a dispetto di tutto, della cattiveria e del male e degli abissi oscuri, ma può appunto esistere in questa forma di bianca spietatezza simile all’innocente cattiveria dei bambini.
Bianco che può far male, bianco infantile e primordiale dove l’uomo non è del tutto assente, non si può non vedere di tanto in tanto una strada o sentiero o casupola, un segno umano insomma, ma sono segni che parlano di un uomo in punta di piedi, un uomo che per una volta sta al suo posto, rispetta, chiede il permesso, e si vorrebbe che fosse la volta buona.
L’alta montagna in inverno non è un posto buono, si capisce. È un posto ostile, cattivo, c’è un motivo se gli uomini non ci sono venuti ad abitare, se non si vedono quartieri e strade ed ipermercati.
Non è un posto buono ma è un posto bello e la bellezza vera è capace di far dimenticare tutto, l’ostilità, la durezza, la cattiveria persino. Abbiamo dentro da secoli questa strana idea del primitivismo, del ritorno alla natura come strada maestra per la redenzione, ritrovare l’innocenza, ripulire le anime, rivestirci di panni immacolati e tornare bambini. Non è così, non è mai stato così, lo stato di natura non è che lotta per la sopravvivenza e carneficina senza fine.
Ma non importa, si vive di emozioni e talvolta anche di illusioni, e stamattina mi basta guardare questa distesa immacolata, immaginare di attraversarla di buon passo, abbagliato dal riflesso della neve, ben scaldato dal sole e dalla fatica nonostante tutto.
Felice per una volta e per un momento, senza pensare a nulla, soprattutto senza pensare adesso alla notte che cadrà implacabile su tutto questo, senza distinzione di colpe e redenzioni.
Il bianco lontano delle nuvole è striato d’azzurro di grigio e di rosa, appena un po’.
Visto dall’alto è orizzonte incongruo, un mondo a testa in giù.
Riflessione
Riavvolgendo l’Occidente
(Giugno 2012)
Viaggiando per lavoro, e lavorando nel campo dell’Oil&Gas, capita spesso di recarsi in Medio Oriente. Ed il continuo avanti e indietro fra Occidente e (sia pure Medio) Oriente prima o poi trasmuta in un avanti e indietro temporale, con la geografia che si fa Storia, in un rapporto mai del tutto risolto.
Sorvolando l’Occidente mi dirigo ad Oriente ed è come se riavvolgessi all’indietro i secoli come la lana di un gomitolo, ripercorrendo civiltà, recuperando la storia di ciò che all’origine fu Mediterraneo, poi divenne Europa, quindi fu chiamato Occidente ed oggi è Mondo intero.
Sotto di me è scorsa la Dalmazia, terra di pirati, spina nel fianco e poi spina dorsale della potenza veneziana nell’Adriatico divenuto infine mare domestico.
Poco dopo appaiono i Balcani, terra invece mai troppo pacificata, che solo l’Impero di Roma seppe tenere a lungo, e nessun altro. Popoli e tradizioni, etnie e religioni, avari, slavi, bulgari, serbi, turchi, si sono contesi fazzoletti di terra sassosa eppure ambita, e da queste contese è iniziato il tramonto, se non dell’Occidente, quanto meno dell’Europa. Schiacciati dalla Storia, serbi, croati, bosniaci, montenegrini, sloveni, hanno retto come disperati Atlanti il peso immenso di interi Imperi in collisione, Ottomano, Austriaco, Russo. Da qui passava la linea di faglia fra Oriente ed Occidente, salita come marea fino alle porte di Vienna per poi retrocedere come risacca verso l’antica Bisanzio. Le schegge di quella frattura sono conflitti etnici e religiosi che si interrano e riemergono, non troppo violenti per il momento, ma nemmeno sopiti.
A 1.000 km/h non c’è tempo per soffermarsi, il viaggio prosegue, ed il paesaggio sottostante, non meno arido e pietroso, opera un nuovo spericolato salto all’indietro di secoli. Rewind.
È la Macedonia adesso che si mostra sotto, il primo vero Impero da queste parti, inviso ai Greci che sudditi non si erano mai sentiti, di nessuno, ma che dovettero subire, sfiancati com’erano dalle loro interminabili contese. Da qui dunque mosse Filippo, che Demostene non riuscì a fermare, e dopo di lui Alessandro, e fu la prima volta che l’India seppe dell’Occidente. La Persia suo malgrado già sapeva…
È di nuovo mare, adesso, 35.000 piedi più in basso, ed è subito un altro salto. Da queste parti, ancora una volta la Storia si trovò su un crinale, era il 1571 e rischiammo ancora una volta di diventare Oriente. Lepanto salvò l’Occidente, come Maratona e Poitiers. E Vienna.
Ancora terraferma, ed è la costa turca e la neve anatolica, ed è il luogo dello sberleffo supremo, questo, il paese della grande minaccia, del “mama li turchi”, dove la gente parla turco e non si capisce niente, e guai a smarrirsi e farsi prendere dai turchi. È lo spauracchio per definizione, insomma, il turco, il babau per tenere buoni i bambini, l’uomo nero che ci scruta dal fondo dell’oscurità. Il turco è l’Ombra dell’Occidente. Ma al tempo stesso, questo è il luogo della grande promessa, il posto dove tutto cominciò.
Qui sotto sorgeva Troia, e dopo la conquista qui nacquero le grandi e ricche colonie greche, persino più agiate e benestanti della madrepatria, al punto da potersi concedere per prime il lusso del pensiero. Questo è il posto dove tutto cominciò e dove, come i bambini, scoprimmo il gusto di chiedere sempre “perché?”. Al rombo dell’aereo, vedo Talete sollevare uno sguardo millenario ma già curioso, e lo vedo finire, col naso all’aria, dritto dentro il pozzo, mentre il rombo dell’aereo viene coperto dalla risata argentina della giovane servetta tracia.
Intanto si è fatto buio, e sorvoliamo le regioni montuose fra la Turchia e la Siria, adesso. Piccole chiazze luminose rivelano come occhi nel buio la presenza dei villaggi. Ni...

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