fare business col DIGITAL MARKETING
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fare business col DIGITAL MARKETING

Guida di base agli strumenti del marketing digitale e al loro utilizzo per ottimizzare il traffico verso i propri presidi web e social

Andrea Testa

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Guida di base agli strumenti del marketing digitale e al loro utilizzo per ottimizzare il traffico verso i propri presidi web e social

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Fare business in un mare di device diversi, con l'impennata di accessi da dispositivi mobili, non è cosa semplice. Sicuramente è monitorabile in modo scrupoloso rispetto ai mezzi pubblicitari tradizionali. Ma oggi fare pubblicità e marketing tradizionale è ancora dividere cosa accade fuori rete da cosa succede invece nei presidi informatici? Cosa fare per promuovere il proprio sito web e come gestire al meglio le attività sui social network? In questo volume proviamo a dare alcuni semplici consigli, sia teorici che pratici, su come eseguire operazioni di implementazione, analisi e monitoraggio delle attività di digital marketing, al fine di comprendere non solo come raggiungere gli obiettivi prefissati, ma come seguirne l'evoluzione definendo step intermedi.

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Information

Publisher
EPC EDITORE
Year
2015
ISBN
9788863106107

capitolo 1
CONTRA NEGANTEM PRINCIPIA NON EST DISPUTANDUM

Una delle cose che solitamente dico, introducendo le mie lezioni - siano esse destinate ai Master, ai corsi di Laurea o alla formazione in azienda - è che il marketing moderno è un’evoluzione, spesso sbagliata, della vecchia comunicazione pubblicitaria. Il marketing si è mascherato da comunicazione e ha cercato di subentrarvi senza prendere in considerazione i limiti che questo avrebbe comportato. Mi spiego, immaginiamo che la comunicazione sia come studiare in un liceo classico e il marketing sia invece studiare in uno scientifico. Riduttivo, ma di base, questo è il percorso intellettuale, che deve spingere alla considerazione di cosa sia comunicazione e di cosa sia invece il marketing.
La comunicazione nasceva dal messaggio; e uso il passato anche se molte agenzie, quelle buone, lo ricordano ancora. Il messaggio è il tentativo di convincere attraverso le parole o le immagini o comunque attraverso la mono o multi medialità. Il marketing invece è l’arte o meno poeticamente, la capacità di saper vendere qualcosa. La differenza sembra sottile, soprattutto perché il comune denominatore sembra essere la necessità di ottenere un obiettivo. Convincere (suggerire) a fare qualcosa o vendere. In entrambi i casi, dobbiamo portare un’altra persona a sceglierci; qualunque cosa vogliamo proporgli. Dove sta quindi la differenza? Immaginiamo un processo di acquisto basato sul baratto e uno basato sul denaro. Prestiamo attenzione perché il processo è tendenzialmente diverso. Nel baratto mettiamo sul piatto un nostro oggetto, con la volontà di scambiarlo con uno che in quel momento risulta più utile. Immaginiamo di avere qualcosa che non serve più o che semplicemente, subdolamente, non ci piace più o troviamo inutile. È probabile che esista qualcuno che invece ne ha bisogno e lo trova quindi insindacabilmente importante per qualche “strano” motivo. Questo individuo potrebbe avere per noi un qualcosa di utile, che invece per lui è l’esatto contrario. E qui barattiamo. Nell’esempio sto forzatamente modernizzando il processo, un po’ come accade quando a Natale ci regalano l’ennesimo portafoglio o qualche zia fuoriuscita dalle nebbie del tempo, ci regala un centrotavola di vetro per i nostri magnifici e gustosi cioccolatini. Non sto parlando del baratto “storico” quello dove per pesce scambio frutta. Insomma ho qualcosa e lo voglio cedere, hai qualcosa e lo voglio prendere.
Facciamo un attimo una pausa e pensiamo all’acquisto in denaro. Lo stesso oggetto che saremmo disposti a ricevere barattandolo col nostro centro tavola, diventa improvvisamente più lontano se deve essere acquistato, perché dalle nostre mani deve uscire non un oggetto inutile, ma una profumata banconota.
In questo preciso momento subentra e si insinua il dubbio. Questo acquisto è veramente necessario per me? Vedremo più avanti in modo particolarmente esaustivo tutto quanto comporta lo stress da acquisto (1). Per ora limitiamoci a capire cosa è successo tra baratto e acquisto e in che modo si collocano il marketing e la comunicazione.
Nel baratto sappiamo di avere qualcosa che non ci serve, ma che ad altri può servire. Quindi dal nostro punto di vista, ma anche da quello di chi riceve, si può parlare di uno scambio alla pari. L’unica difficoltà è trovare la persona alla quale cedere il nostro oggetto. In pratica dobbiamo sondare il mercato, capire chi può essere interessato e poi presentarci con l’offerta, ricevendo un positivo. L’abilità e tutte le difficoltà che ne conseguono, sono solo legate alla nostra capacità di analisi. Il mio centrotavola, porta cioccolatini, di bellissimo vetro, difficilmente potremo darlo a chiunque si presenterà alla nostra porta. Pensate un attimo… a chi lo dareste (riciclando quel magnifico regalo) tra le persone che conoscete? Risposta esatta!
Parlando di acquisto il gioco cambia. Si tratta sempre di una vendita, ma la nostra mano è più restia a staccarsi dal corpo. Quel pezzo di carta non è tanto convinto di lasciare il nostro portafoglio. Allora demandiamo all’abilità di chi ci sta di fronte, la capacità di convincerci. Le sue parole devono farci comprendere che quello è il miglior acquisto possibile. Non esiste niente di meglio che spendere quei soldi per impossessarsi di quell’oggetto.
Ho volutamente forzato l’esempio, ma queste sono le differenze tra comunicazione e marketing, nel loro status primordiale. Comunicare è convincere, rassicurare. Marketing è sapere a chi vendere. Unire comunicazione e marketing, vuol dire saper comunicare correttamente a chi vogliamo vendere.
Nel mio modo di pensare, la comunicazione è quindi l’anima di qualsiasi campagna di marketing. Essere capaci di parlare e relazionarci, non ci rende subdole macchine convincitrici, ma ci rende semplicemente comprensibili dall’esterno. Non ci chiude in un mondo di misteriosi numeri, ma ci rende distinti e distinguibili, a prescindere da cosa dobbiamo proporre. Parlare bene, ma non nel senso di bluffare, ma col semplice significato di esprimere correttamente chi siamo, porta le persone che abbiamo scelto come potenziali “compratori”, a considerare la possibilità di acquistare da noi. E torneremo bene sul tema della “considerazione”.
Ma in che modo si colloca il nuovo marketing, il digital marketing? Qual è il suo plus rispetto alla vecchia scuola, dalla quale deve comunque tanto imparare? Sostanzialmente il suo vantaggio è nella scientificità con la quale possono essere letti i dati. Tutto ciò che avviene on-line, può essere monitorato e questo comporta una serie vantaggi al marketing stesso. Dove noi siamo convinti di aver trovato il nostro perfetto interlocutore (che inizieremo tra breve a chiamare target o profilo), ci renderemo conto di quanto questo sia in realtà parte di una estesissima serie di altri micro cosmi nei quali convive.
Torno a un esempio per esprimere il concetto.
Immaginiamo - qualche anno fa - di non avere il web dalla nostra parte e di poter contare esclusivamente su TV, riviste, manifesti… insomma, siamo in piena campagna “off-line”. Dobbiamo lanciare una nuova merendina e la nostra agenzia ci mette sul piatto un piano pubblicitario dai costi importanti. Accettato il preventivo, dopo qualche tempo, misuriamo le vendite e felici constatiamo di aver aumentato il nostro fatturato e di aver svuotato il magazzino di tutte le confezioni di merendine.
Alla riunione, o in termini moderni al briefing o meeting, leggiamo i dati e un signore venuto dal futuro ci pone questa domanda: “Quale dei mezzi usati per lanciare il prodotto ha funzionato meglio?”
Silenzio…
Ora, non è proprio così, ma ci avviciniamo molto. In pratica possiamo supporre cosa ha funzionato meglio, ma il dato che non può essere opinabile è il gioco di squadra col quale è stata costruita la campagna. Quello che abbiamo fatto è stato generare conoscenza sul prodotto. Ma la provocazione è questa: se non avessimo fatto alcun investimento pubblicitario e avessimo semplicemente messo queste nuove merendine sullo scaffale del supermarket, magari con un bel cartello novità… il risultato quanto sarebbe stato lontano? Forse qualche vendita in meno. Ma con quale risparmio? E siccome la pubblicità si deve misurare col suo ROAS (return on advertising spending), possiamo dire con sufficiente sicurezza che il “ritorno sulla spesa pubblicitaria”, sarebbe stato più alto senza spendere e vendendo meno.
Il marketing digitale invece ci pone di fronte a uno schema preciso. Ogni mezzo di accesso (non a caso uso questo termine, lo vedremo più avanti) ci fornisce il suo esatto rendimento, mettendoci in condizione di considerare quali sono i lati oscuri delle nostre campagne e chi sono i migliori compratori, nonché quali sono le azioni che possiamo fare per fidelizzarli o per portare altri utenti a comprare da noi.
Questi sono i cardini di questo libro. Scoprire cosa può fare il marketing digitale per la nostra azienda e in che modo deve imparare a usare la vecchia scuola per ottenere profitto; ma dobbiamo sempre tenere in mente che senza comunicazione, non può esistere marketing. E senza analisi dati, l’investimento sarà sempre pericoloso e il suo rendimento solo fortunato.
Negare questi principi, nega l’esistenza stessa di questo libro e il senso di continuare nella sua lettura. Come Schopenhauer diceva: “Contra negantem principia, non est disputandum(2).
1. Vedere capitolo 2. Lo stress di acquisto.
2. Schopenhauer 1991, L’arte di ottenere ragione, pag. 29; Piccola Biblioteca Adelphi.

capitolo 2
LO STRESS DI ACQUISTO

Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un articolo dell’Harvard Business Review, scritto dal Professor Steve W. Martin (1), che parlava dello stress di acquisto. Il dato che mi colpì era legato al fatto che probabilmente per la prima volta da quando mi occupavo di e-commerce (o comunque in generale di vendere in internet), l’attenzione non si poneva su difetti tecnici nel percorso di acquisito, ma nell’utente stesso. Quello che siamo portati a pensare, è che di solito se non si vende, la colpa è a qualche livello del percorso di acquisto, proprio nel software che si usa.
Facciamo un esempio tipico di cosa può succedere in un e-commerce che usi un software di carrello elettronico.
Quello che possiamo definire avviene nei seguenti passaggi:
a) l’utente accede al prodotto che gli interessa;
b) lo inserisce in carrello;
c) accede al carrello dopo che ha terminato gli ordini;
d) inserisce i propri dati anagrafici, oppure si logga o si registra;
e) inserisce la fatturazione - se diversa - e l’indirizzo di spedizione;
f) sceglie il pagamento e paga.
Generalmente, a seconda del sistema, questo percorso è più o meno lungo e più o meno composto nel modo che ho rappresentato. Per qualche minuto, proviamo a pensare che il percorso sia esattamente quello di cui sopra e determiniamo le eventuali criticità. Attenzione, non è un esercizio accademico. La definizione e l’esame di questi problemi, è un fattore critico reale, che si verifica decisamente in molti store on-line. Lo presento come alfa di questo capitolo, per dimostrare quanto sia diametralmente opposto l’impatto tecnico e le relative criticità, con l’impatto che definirei psicologico che dà il nome al capitolo stesso: lo stress.

2.1. L’UTENTE ACCEDE AL PRODOTTO CHE GLI INTERESSA

Bene, già qui ci sarebbe da srotolare una pletora di problemi potenziali, ma per semplicità cerchiamo di evidenziarne solo alcuni. Partiamo dal presupposto che la pagina del prodotto dovrebbe essere facilmente raggiungibile. Con raggiungibile intendo dire che chiari cartelli devono condurre al suo interno, ma questi cartelli devono essere messi a una distanza variabile. Da molto lontani, a molto vicini. Lontano è idealmente il momento in cui si pone il “problema” di acquistare tale prodotto. Quindi idealmente nel momento in cui l’utente effettua una ricerca, con la relativa query (2), sul motore. In quel momento particolare, l’utente si trova davanti a un incrocio con tante strade e deve scegliere quella senza lupo.
La strada deve essere breve, veloce e ben illuminata. Qui è la componente SEO (3) che deve intervenire. La pagina deve essere costruita in modo idoneo a dialogare con i motori di ricerca. L’architettura stessa della pagina, deve quindi essere preparata a dialogare col motore. Pensiamo a tutte le componenti, da quelle nascoste nel codice, come i TAG, a quelle manifeste, come la descrizione dell’oggetto. Non è obiettivo di questo capitolo svelare le particolarità del SEO e quindi mi concentro piuttosto ai cartelli più vicini. Con un buon SEO l’utente sarà probabilmente entrato direttamente nella pagina del prodotto, ma cosa succede se per vari motivi è entrato nella Home Page? Il compito del sito sarà quello di portarlo al prodotto, il più velocemente possibile e senza intoppi di sorta.
Cosa deve quindi avere un sito web per aiutare nella navigazione del cliente? Sicuramente un sistema di ricerca efficace. Non è da sottovalutare. Analizzando i dati dei vari siti web che ho gestito o che tuttora gestisco, ho potuto vedere in concreto dati teorici che leggevo su varie guide. Si diceva infatti che il tasso di conversione di un utente che effettua una ricerca su sito, aumenta rispetto all’utente che invece non cerca dentro al sito. Sembra strano, ma una doppia ricerca porta l’utente a convertire - nel caso di un e-commerce, ad acquistare - con più facilità.
In pratica l’utente effettua una ricerca, accede al sito, effettua una ricerca interna al sito e questo lo porta a comprare con più facilità. Naturalmente questo sistema si applica a chi accede intanto al sito con una query generica. O se il sito ha difetti SEO che non conducono l’utente direttamente sulla pagina del prodotto.
Il tasso di conversione degli utenti che effettuano una ricerca on-line aumenta fino al 100%. Questo significa che se il tasso di conversione di un e-commerce dovrebbe essere idealmente intorno al 3% con traffico buono (4), gli utenti che cercano faranno salire questo tasso al 6%. Il motivo? Immaginate di essere in un supermercato nel quale vi recate abitualmente. Pensate a dove si trova il latte. O il pane. Sapete esattamente dove andare a cercare e in questo modo sarà più facile che inseriate il prodotto in carrello. Pensate adesso a entrare in un supermarket che non conoscete. Non trovate il prodotto che state cercando. In quel caso siete costretti a chiedere informazioni e se non trovate nessuno, difficilmente comprerete il prodotto. Ma semplicemente perché non lo avete trovato.
Un altro sistema è arrivare - sempre parlando di supermercato - all’inizio di una corsia e guardare in alto. Troverete il “tema” che tratta quella corsia in particolare e quindi senza il bisogno di percorrere tutti gli scaffali, riuscirete comunque a trovare la zona dove il prodotto probabilmente si trova. Questa è un po’ la funzione dei menù, sui quali però bisogna stare molto attenti a evitare soluzioni come succedeva a cavallo tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000, dove i menù del sito web contenevano delle tendine che si snodavano in percorsi articolati. Ricordate sempre che oggi, i menù dovrebbero essere sintetici anche per agevolare la navigazione su dispositivo mobile.
Sempre di ricerca o comunque di facilità di trovare il prodotto si tratta quindi. Bene, una volta che l’utente lo ha trovato, dovremo fare di tutto perché lo inserisca in carrello.

2.2. LO INSERISCE IN CARRELLO

Qui la componente tecnica è davvero importante, ma soprattutto a supporto della facilità con la quale si permette all’utente di accedere alle informazioni sul prodotto. Quando si pensa a questo, ognuno pensa al suo store. Quindi l’idea che si fa un titolare di un negozio di vini, sarà diversa da quella di un negozio di scarpe e ancora da quella di uno store di libri. Vendere questi tre prodotti nello stesso modo è fatalmente errato. Quindi anche visivamente la dislocazione degli elementi deve essere necessariamente diversa. E le informazioni che devono essere fornite, dovranno essere calibrate esattamente sul prodotto. Fate quindi attenzione quando usate piattaforme e-commerce di qualsiasi sorta e che usano moduli standard. L’agenzia che vi guida nello sviluppo, deve capire quali sono le esigenze dei vostri clienti. Un “campione” di store di gioielli, potrebbe fallire miseramente se chiamato a vendere del vino on-line.
A cosa dobbiamo quindi pensare? Prima di tutto all’immagine del prodotto stesso. L’immagine del prodotto vende a prescindere, ma qual è il livello di dettaglio che il cliente si aspetta? Una bella foto di una bottiglia di vino è importante, ma lo è probabilmente di più quella di una scarpa o di una camicia, con un livello di dettaglio al tipo di tessuto, alla finitura del materiale. Magari mettendo anche più di una fotografia. Foto piccole, sgranate, singole, non venderebbero comunque, a meno che il cliente non sia così a conoscenza del prodotto che l’unico elemento che lo spinge a comprarlo è il prezzo.
Ma al di là delle foto, il macrocosmo delle informazioni sul prodotto, deve fare attenzione anche alla descrizione - testuale ...

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