Storia della filosofia moderna - Volume secondo - L'età del razionalismo
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Ernst Cassirer

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Ernst Cassirer

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Nato a Breslavia nel 1874, Ernst Cassirer ha rappresentato in modo esemplare un'inversione di tendenza nei confronti della filosofia positivista: la sua opera ha dato vita a una rifondazione dei princìpi della storiografia filosofica e dell'epistemologia, che si colloca nell'area della «rinascita kantiana» propria di tanta parte del pensiero contemporaneo. Il suo punto di osservazione si sposta, quanto al problema dell'oggetto della ricerca, nel senso della possibilità storica della sua concettualizzazione: l'oggetto in Cassirer non è più dunque, quale era stato nel positivismo, un «dato» fisso, attorno al quale si muove, nelle sue complesse dinamiche, la storia delle idee, ma si modifica fenomenicamente, con il divenire della scienza stessa che ad esso fa riferimento. La storia della filosofia di Cassirer è in definitiva un tentativo — kantiano, appunto — di definire la possibilità stessa della riflessione scientifica, e i concetti fondamentali che a quest'ultima si sono offerti nel tempo per circoscrivere e definire il proprio oggetto. ll volume si apre con l'analisi del pensiero di Cartesio, cui fa seguito il dibattito degli epigoni e della scuola di Port Royal; mentre in aree culturali diverse comincia a delinearsi da un lato il filone empirista della filosofia inglese, e dall'altro prendono forma i grandi sistemi di Spinoza e Leibniz.

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Information

Publisher
Youcanprint
Year
2017
ISBN
9788892654310
LIBRO TERZO - LA FONDAZIONE DELL'IDEALISMO - 1. CARTESIO
Se nelle molteplici correnti e tendenze di pensiero che confluiscono nella formazione della filosofia moderna si cerca di enucleare un tratto fondamentale comune, si offre subito come caratteristica distintiva, il rapporto in cui quelle stanno, nel loro complesso, con il concetto medievale di logica. Nel rifiuto della dialettica, nel rigetto del sillogismo come mezzo fondamentale di conoscenza, s'incontrano scetticismo e scienza sperimentale, si ritrovano tanto l'umanesimo quanto la nuova filosofia della natura. Per un certo periodo può sembrare quasi che l'ultima parola sia proferita in questa negazione; quasi che l'osservazione immediata delle cose debba scacciare e sostituire la riflessione sull'essenza e sulle leggi della concatenazione dei concetti. La mente non ha più bisogno dell'ammaestramento e della guida dialettiche; si pone immediatamente di fronte all'esperienza esterna e interna, in cui le si dischiude una più copiosa e sicura fonte di sapere. Purtuttavia nella genesi e nello sviluppo della scienza moderna abbiamo riconosciuto come proprietà caratteristica che, appunto nell'assoluta dedizione a quanto costituisce materia di sapere, contemporaneamente e non volutamente si acquisisce una nuova metodica di ricerca. E a poco a poco questa consapevolezza, si esprime sempre più chiaramente: in posizione centrale viene a trovarsi sempre di più l'idea di un "nuovo organo". Non è il solo Bacone a sostenere questa esigenza: anche nella filosofia speculativa della natura, che, secondo il suo pensiero fondamentale, è in grado d'intendere la mente come mero oggetto fra gli altri, si palesa gradualmente una svolta nell'osservazione e nella riflessione. Tuttavia in Campanella, la cui filosofia non è altro che la prosecuzione e lo sviluppo, della dottrina di Telesio, emerge già il progetto d'una scienza peculiare, che abbia per oggetto non più la natura delle cose, bensì l'indole della nostra conoscenza: “rerum natura cognoscere difficile quidem est, at modum cognoscendi longe difficilius” “è certo difficile conoscere la natura delle cose, ma di gran lunga più difficile è conoscere il modo di conoscerei”. E già nel Bruno, a voler abbracciare in uno sguardo d'insieme tutta la sua attività letteraria, gli scritti " metodologici " hanno un'ampiezza maggiore delle opere sulla riforma della cosmologia e sulla visione della natura. Proprio questo esempio c'insegna con chiarezza inequivocabile che il senso del problema non è colto né fissato univocamente in tutti questi disparati tentativi. In Bacone il metodo, per quanto gli si ponga il solo compito di raccogliere ed esaminare il materiale empirico, deve servire in definitiva alla scoperta delle " forme " delle cose in senso scolastico: in Bruno esso diventa lo strumento dell'arte lulliana, grazie alla quale l'infinità di contenuti del sapere va catturata nella rete di determinate formule simboliche e ritenuta a memoria. Per lui, dunque, il metodo non è mai altro che un semplice luogo comune, che copre contenuti assai disparati e che in sé e per sé non significa né garantisce ancora un rinnovamento radicale dell'ideale conoscitivo. Anche là dove lo si concepisce e adopera nel modo più autentico, non costituisce il principio fondamentale, bensì un'istanza collaterale, che sostiene e controlla l'acquisizione del sapere. Esso conduce alle fonti da cui scorre fino a noi la conoscenza; ma non ne è la scaturigine e il fondamento esso medesimo. Cartesio, quindi, è il fondatore della filosofia moderna non per aver dato un posto capitale all'idea di metodo, bensì per aver colto in essa un nuovo compito. Dal principio metodico originario vanno ricavati e derivati in una successione senza lacune non la sola articolazione formale, bensì tutti i contenuti della conoscenza " pura ". Lo stesso Cartesio concepisce e designa tutte le sue molteplici realizzazioni scientifiche solo come altrettante ramificazioni che si sviluppano da un siffatto tronco. La geometria analitica, che sta all'origine di tutte le sue scoperte e ne costituisce lo stabile presupposto, per lui non è niente altro che il « frutto spontaneo dei principi innati del metodo ». Comprendere questo rapporto e seguirne gli sviluppi concreti nell'enucleazione dei fondamenti della matematica e della fisica speciale costituisce la prima esigenza indispensabile per comprendere il sistema cartesiano della filosofia.
Questa metodica, infatti, è intimamente legata, sul piano storico, al nuovo concetto di natura e di conoscenza della natura, che era sorto nel frattempo. A prima vista, certo, sembra quasi che l'elemento caratteristico e decisivo di essa sia l'interesse per l'esperienza interiore, l'analisi dei meri processi di coscienza. Una considerazione più attenta, però, ci fa vedere come quell'elemento sia solo un momento singolo che è messo a servizio di un compito più generale. Ed ora, una volta che abbiamo ripercorso le tappe del passaggio dall'animazione panteistica della natura alla teoria matematica della natura, questo compito lo si può già descrivere e fissare nei suoi tratti fondamentali. Quella che il Galilei contrappone alla visione che della natura si aveva al suo tempo, è l'idea di necessità. Per lui, cosi come era stata per Leonardo da Vinci, la necessità è I' " inventrice della natura ". La sua maestra e tutrice. In essa, che è fondata nelle regole fondamentali della geometria e della matematica, egli si ferma e permane. Che cosa essa significhi, non occorre starlo a spiegare: Io capisce chiunque abbia veramente compreso, sia pure una volta sola, un principio matematico e in questo abbia assaporato " la natura della scienza ". Caratteristico della mentalità di Cartesio e dell'indirizzo che prende la sua indagine, è che egli non si accontenta di questo tipo di giustificazione. Occorre non solo sperimentare internamente che cosa sia la necessità, bensì anche comprendere donde essa derivi.
Nella trasposizione di questo concetto sulla " natura ", sull'essere delle cose reali, infatti, sono già insiti un duplice senso e una difficoltà intrinseca. Nel suo senso proprio e originario la necessità è inerente non a determinate cose o eventi, ma solo a determinate cognizioni. È una caratteristica ordinata ai giudizi e alla disparata validità di varie classi di giudizi; mentre nella concezione matematica fondamentale della natura, che Cartesio scopre autonomamente anche lui (oltre Galilei) questo termine, proprio del pensiero, viene applicato immediatamente all'e s s e r e . Come spiegare questo passaggio e come giustificarlo? Con tale interrogativo il risultato della fatica intellettuale dell'indagine moderna torna a farsi problematico. Il filosofo analitico comincia esattamente là dove la scienza esatta ha potuto arrestarsi. L'a r m o n i a tra conoscenza e realtà, che qui viene assunta implicitamente come presupposto basilare, ora viene dissolta dal dubbio critico, e si pone il compito di restaurarla battendo una nuova via.
- 1. L'unità della conoscenza.
L'opera prima cartesiana di carattere metodologico comincia con un'immagine caratteristica, in cui si rispecchia la peculiarità storica del nuovo pensiero. Tutte le scienze nel loro insieme non sono altro che l'unica sapienza umana, che resta sempre la stessa, quali che siano i disparati oggetti a cui la si voglia applicare, giacché essa non subisce da parte loro alcun mutamento intrinseco, così come la luce del sole non ne subisce dalle disparate cose che illumina. Questa similitudine, che Cartesio mutua da Plotino, ha una storia autonoma nella filosofia moderna. Nella filosofia della natura, e in particolare in Giordano Bruno, essa serve regolarmente a designare la partecipazione del singolo all'assoluto; a chiarire come il Tutto-Uno, ad onta delle molteplici forme e figure in cui si specchia, persiste in una stabile quanto immutabile identità (cfr. vol. I p. 274). Al contrario dell'isolamento e della dispersione in cui l'universo si presenta ai sensi, qui si ritiene saldamente l'idea d'una forza fondamentale comune a tutte le estrinsecazioni, una forza che si dà a conoscere direttamente alla pura contemplazione razionale. Una simile locuzione, però, resta completamente al di fuori dell'orizzonte che Cartesio, dai suoi primi scritti in poi, determina per il problema in questione. Per lui non si tratta più, in primo luogo, del mondo degli oggetti, bensì delle cognizioni, non delle forze che dominano gli eventi naturali, bensì delle regole che presiedono alla costruzione della scienza. La questione del rapporto fra unità e molteplicità ha ricevuto un senso diverso ed è stata trapiantata in un nuovo terreno. Si ha quasi un'allusione a questa determinata situazione storica in cui egli si trova nei confronti della filosofia naturale, allorché lo stesso Cartesio afferma che sarebbe folle almanaccare sui misteri della natura e sull'influsso delle sfere celesti sul mondo terrestre, sulle virtù delle piante, sul movimento degli astri e la trasformazione dei metalli, senza aver mai riflettuto fino in fondo sul retto uso della mente e sul concetto universale del sapere stesso: giacché tutto il resto è da valutare non per sé medesimo, ma in ordine a tale finalità. La molteplicità delle cose è infinita e inconcepibile; è un'impresa vana pretendere di sintetizzarla e coglierla nel concetto. Può non essere, invece, un'impresa smisurata determinare i limiti della mente, poiché abbiamo diretta contezza dí questa in noi medesimi, né delimitarne nettamente tutti i contenuti, in quanto essi sono compresi nello stesso universo mentale.4 Non siamo in grado di conoscere nulla delle cose senza aver contezza al tempo stesso dell'essenza del nostro proprio pensiero: l'intelletto puro costituisce il primo oggetto in cui ci imbattiamo affrontando la serie delle verità.
Tuttavia, nonostante questa concezione unitaria del problema, vi sono due indirizzi di riflessione che possiamo chiaramente distinguere nel processo di elaborazione e giustificazione della filosofia cartesiana. Mentre da una parte l' "unità dell'intelletto" viene sviluppata e presentata in principi sempre più determinati e concreti e i contenuti della matematica e della conoscenza della natura ne vengono derivati in uno svolgimento continuo, dall'altra c'è il tentativo di dar fondamento a tutta la somma di sapere, che viene a originarsi in tal modo, in un supremo essere metafisico, e di dargli in questo la sua base definitiva e il suo ancoramento. Nella ricostruzione che ci accingiamo a fare del sistema cominceremo col ripercorrerne unicamente i primi sviluppi, e a farlo ci induce un duplice interesse storico. Da un canto, infatti, l'autentica virtù storica e l'imperitura efficacia della filosofia cartesiana risiede in ciò che il " metodo " ha saputo dare alla scienza e ai principi fondamentali di essa, mentre, già nei seguaci e alunni immediati, la metafisica si decompone in una molteplicità di sistemi contraddicentisi. Dall'altro, però, anche nella personale evoluzione di pensiero subita da Cartesio, i due elementi restano chiaramente separati a vicenda. Dal momento in cui egli scopre l'idea metodica basilare (una nota di diario lo fissa al 10 novembre 1619) trascorrono nove anni, che, come testimonia il Discours de la méthocle, sono occupati interamente da studi di natura matematica e fisica. In questo volger di tempo, come è dato riscontrare e dimostrare fin nei particolari, si enucleano e consolidano i tratti fondamentali del sistema conoscitivo, ancor prima che un qualche problema metafisico compaia all'orizzonte della riflessione.' La metafisica serve non alla scoperta dei principi della scienza, bensì solo alla c o n - valida che se ne fa a scoperta già avvenuta. Se dunque la separazione tra il fattore metodico e quello metafisico corrisponde alla genesi intrinseca della filosofia cartesiana, grazie ad essa, e solo ad essa, si potrà far piena luce anche sulla metafisica cartesiana, anzi perfino sul carattere stesso del suo creatore: è qui, infatti, che si parrà se, come pretende perfino •Friedrich Albert Lange, il procedere di Cartesio verso la metafisica sia avvenuto solo per motivi esteriori e casuali, ovvero egli sia stato spinto a tale passaggio da problemi imprescindibili e intrinseci germinati dal metodo stesso.
Nella genesi dell'idea fondamentale, così come viene descritta nel Discours de la méthode, emergono in misura determinante tre gruppi di premesse oggettive. Una volta che ha fatto piazza pulita di tutti gli orpelli retorici e tutti i lenocini esteriori, la rassegna del materiale tradizionale relativo alla conoscenza mira a tre punti relativamente fissi, che possono servire come inizio e fondamento della costruzione ulteriore. Logica, geometria e algebra sono ciò in cui, ad onta di tutte le deficienze delle rispettive trattazioni tradizionali, non è stato possibile estinguere del tutto il carattere di sapere genuino. Indubbiamente con le sue definizioni e sillogismi la logica di scuola insegna piuttosto a spiegare il noto che a scoprire l'ignoto; indubbiamente l'analisi geometrica degli antichi e l'aritmetica moderna, con la loro continua dipendenza dalla visione sensibile immediata e con la macchinosità delle loro rappresentazioni simboliche offrono una tecnica complicata, che confonde la mente, piuttosto che una cognizione pienamente lucida che la illumini e formi. Conviene quindi ricercare un altro metodo che, riunendo in sé i vantaggi di queste tre scienze basilari, sia immune dai loro difetti. Logica e matematica devono congiungersi e compenetrarsi per generare il nuovo concetto di matematica universale. Dalla logica questa nuova scienza mutua l'ideale della costruzione rigorosamente deduttiva e l'esigenza dei primi fondamenti " evidenti " della dimostrazione: sul modello della geometria e dell'algebra essa determina i contenuti che essa medesima conferisce a tali fondamenti. Se indaghiamo per sapere di che indole siano questi fondamenti, se ci chiediamo perché non solo la dottrina dei numeri, bensì anche l'astronomia, la musica, l'ottica, la meccanica siano incluse nella " matematica ", troviamo che la loro comunanza d'oggetto e di procedimento ha radice nei concetti di ordine e di misura, che sta alla base di tutte. Questo ordine, lo si può ricercare e determinare nelle figure o nei numeri, negli astri o nei suoni; ma il punto d'avvio unitario resta sempre l'idea universale di rapporto e di relazione. Una pura scienza delle "proporzioni " e " relazioni ", a prescindere da tutte le particolarità degli oggetti in cui si presentano e incarnano, costituisce perciò la prima esigenza e il primo argomento su cui verte il metodo?
Per valutare la portata di questa idea apparentemente così semplice e piana, è necessario, seguendo le indicazioni dello stesso Cartesio, analizzare minutamente la situazione storica delle scienze fondamentali da cui egli muove. La logica aristotelica, con la sua dottrina delle categorie, presuppone necessariamente l'ontologia aristotelica, la dottrina dell' ente in quanto ente ". Essa muove dal concetto di sostanza, che, in base alla metafisica, è noto come la forma e la causa prima d'ogni essere. Che tutti gli asserti a noi possibili debbano rifarsi a realtà stabili e compiute, che la sostanza sia il primum quanto non solo all'esistenza, ma anche alla conoscenza, è un principio che per Aristotele ha il carattere d'un assioma. Tutte le altre proprietà emergono solo successivamente nell'essere così determinato. La sostanza generante è appunto il soggetto vero e proprio del giudizio; tutto il resto non è che accessorio; e come la cosa o la proprietà si originano nel reale, così vanno espresse nel predicato. Allorché parliamo delle relazioni di quantità e qualità, dobbiamo pur sempre pensarle " inerenti " a cose determinate; allorché moviamo dai concetti di proporzione, come quelli di " grande e piccolo ", non ci è lecito credere, insieme a Platone, di aver colto in essi degli elementi della realtà. L'ideale scientifico corrispondente a tale concezione è, in fondo, quello della classificazione sistematica degli oggetti: occorre delimitare vicendevolmente le diverse " forme " della natura e porne le proprietà in un ordine determinato. E’ noto il pericolo che tale concezione rappresenta per la fisica. E’ pur vero che anche a questa si può porre il compito d'indagare la sostanza; ma la sua vera finalità è determinare e accertare ciò che permane attraverso il mutamento dei fenomeni. L'errore comincia là dove questa realtà permanente la si cerchi nella forma della cosa stessa, non nella regola dell'accadere; là dove, in altre parole, alle leggi si sostituiscano le " qualità " e le " essenze " come cause reali. Come questa concezione si sia dovuta superarla ovunque prima che potessero prendere avvio la fisica e l'astronomia moderne, l'abbiamo indagato nei particolari: abbiamo visto come Keplero abbia chiarito e trasformato il concetto di forza in quello di funzione, come Galilei, prescindendo dalla natura del fenomeno, abbia fissato la legge come unico contenuto e punto nodale della scienza della natura. Cartesio, quindi, non fa altro che tirare le somme filosofiche dell'intero sviluppo scientifico, allorché postula una logica universale delle relazioni, che preceda ogni considerazione degli oggetti particolari. Egli stesso sottolinea come l'elemento caratteristico della sua dottrina delle categorie il fatto che questa compia la suddivisione dei contenuti del sapere dal punto di vista non dell'essere, bensì della conoscenza: in essa gli oggetti devono susseguirsi non quali sono " in sé ", sebbene così come dipendono l'uno dall'altro e l'uno dall'altro si producono nell'ordine del conoscere e del dimostrare. Non vi è, quindi, alcuna contraddizione nel ritenere che gli elementi " semplici ", che risultano a tale sorta di riflessione (come, poniamo, il concetto di " causa " o di " eguale ") in realtà rappresentino mere relazioni." Mentre la logica e la fisica scolastiche delle " essenze " muovevano dal concetto generico, astratto e vuoto di contenuti, per seguirlo attraverso la scala dei " gradi metafisici " sino alla specie infima, ora all'inizio di tutto sono rapporti elementari, semplici, pienamente determinati quanto ai contenuti, rapporti che rechiamo progressivamente oltre ed elaboriamo in sempre più complessi."
In base a tutto questo si chiarisce e definisce, nel contempo, il rapporto con la sillogistica. Il sillogismo non va affatto escluso o svalutato; esso è pur sempre l'autentico strumento dimostrativo formale di cui si serve la matematica, e, in particolare, la geometria euclidea. Nondimeno, la forma sintetica di dimostrazione, che in esso s'incarna come in un esempio classico, non deve restare l'unica e originaria. Benché, infatti, il procedimento sillogistico sia universalmente applicabile ovunque si tratti di procedere da premesse accertate a conclusioni non ancora note, esso fallisce allorché il compito da adempiere consiste nella ricerca delle premesse medesime. Ovunque occorra scoprire e mettere in risalto i primi concetti fondamentali stessi, ovunque, cioè, come avviene nella filosofia, i" principi " costituiscano non l'inizio, bensì la meta dell'indagine, la dimostrazione sintetico-sillogistica ha posto solo come inversione di un'analisi precedente e originaria. Il sillogismo è cogente, ma non convincente; l'analisi, invece, rende perspicua l'intrinseca articolazione del problema e segna l'origine e il decorso della scoperta. 13
Ambedue i procedimenti, dunque, poggiano sull'assunzione di determinate premesse; ma se il " dialettico " esige che le singole premesse siano note come la " materia " della dimostrazione, il metodo analitico si accontenta della più modesta esigenza che la questione di cui si tratta sia nettamente delimitata e pienamente intesa. Già in questa determinatezza iniziale risiede un valore conoscitivo che rende possibile la soluzione futura. Se, poniamo, occorre costruire una figura che soddisfi a determinate esigenze, il geometra, com'è noto, procede dal considerare queste esigenze come adempiute, cioè a rappresentarsi mentalmente la figura compiuta, dotata delle proprietà richieste. E’ muovendo di qui, e indagando la connessione dei singoli tratti caratteristici della figura in questione, che egli scopre un legame fra i predicati che cerca e altri " più semplici " elementi determinativi, sinché alla fine non gli riesca di mettere in luce un rapporto grazie a cui il " quanto volevasi " appare come funzione inequivocabile di elementi noti e " dati "." Ancora più chiaramente la peculiarità di questo procedimento emerge nei problemi algebrici. Allorché in questi si ricerca un numero che adempia a determinate relazioni, è sufficiente esprimere il rapporto richiesto con un'equazione per fissare fin dall'inizio la via che occorre battere per raggiungere la soluzione. La x dell'equazione ci appare come " incognita " solo in quanto non è ancora sviluppata ed esplicitata; ma, al tempo stesso, essa è cognita, in quanto è determinata univocamente, sicché ad es., possiamo dire di qualsiasi numero che ci sia dato, se esso sia quello o non sia quello che cerchiamo. In altre parole, sul piano logico l'impostazione dell'equazione è già l'elemento decisivo nei cui confronti lo sviluppo e l'isolamento delle incognite appaiono come niente di più d'una difficoltà tecnico-matematica. Ecco, quindi, che sono già predelineati l'indole e l'indirizzo del progresso del pensiero; sappiamo che, per raggiungere la soluzione, non ci occorre evadere dai termini del problema stesso, né cercare ausili estranei e succedanei al di fuori di quelli che esso medesimo ci offre.
Ma con questo ci si dà a conoscere, al tempo stesso, il valore universale che l'analisi matematica può conseguire come modello esemplare della filosofia. L'idea su cui si basa il "metodo ", infatti, è proprio questa: la conoscenza è un'unità autosufficiente e in sé conchiusa; che quindi reca in sé i presupposti universali e sufficienti per i compiti che può porsi a ragione. È ancora una volta istruttivo, a questo punto, considerare le premesse storiche deI problema cartesiano. Nel Menane in cui Platone espone e giustifica filosoficamente il procedimento dell"'analisi " geometrica di cui egli è l'inventore, al centro dell'indagine è un problema più generale. Si muove dalla vexata quaestio per cui i sofisti si chiedevano se l'indagine scientifica si riferisca ad oggetti noti o ignoti: se a noti, essa è inutile e superflua; se ad ignoti, non abbiamo nessun appiglio che dia indirizzo alla nostra conoscenza e nessun segno distintivo grazie al quale poter distinguere da un altro l'oggetto della nostra ricerca, nel caso che ci si presenti casualmente, né di riconoscerlo come quello che cerchiamo. Questo problema " fatto per litigare " che pure nasconde un'intrinseca difficoltà per chi abbia una concezione ingenua della conoscenza, Platone lo affronta con il suo principio della " reminiscenza ", secondo cui ogni autentico sapere non penetra nell'anima dall'esterno, bensì scaturisce da essa medesima, occasionato dalle impressioni esterne. Comunque, nell'epoca moderna, ci si rifaccia al problema della geometria, ecco che torna a farsi viva questa concezione filosofica di fondo. Espressa in termini acuti e pregnanti, l'abbiamo già trovata in Nicola Curano. Dai presupposti concettuali della stessa impostazione del p r oblem a promana la luce che deve guidarci alla soluzione: « quod in omni inquisitione praesupponitur, est ipsum lumen, quod etiam ducit ad quaesitum » (cfr. vol. I, p. 87). A un'analoga formulazione del pensiero platonico ritorna ora anche Cartesio.'s Ed ecco che egli, il nemico della tradizione e della cultura puramente storica, si fa esaltatore di quell'antichità che, nella sua concezione ingenua e spregiudicata delle cose, avrebbe posseduto ancora schietti e non adulterati i " semi innati " della verità che sono latenti in ciascuno di noi. Se per i pensatori antichi la geometria era davvero l'unica porta d'accesso alla filosofia, il concetto che essi ne avevano dev'essere stato ben altro che quello di un cumulo di teoremi particolari e di problemi specifici: essi devono avervi presagito un'unità e un complesso di leggi che possano servire da modello a qualsivoglia procedimento scientifico.
Ed è esattamente questo il punto in cui s'inserisce e ha inizio il nuovo concetto cartesiano di geometria. L'isolare gli uni dagli altri i problemi, che è caratteristico dell'immagine tradizionale della matematica, ora va superato e abolito. Finché non si riconosce l'unitaria coerenza di tutti i problemi che il pensiero geometrico pub porsi, finché nella soluzione di ciascuno di essi predominano casualità e arbitrio, la riflessione sulle figure e sui loro rapporti resta un gioco dell'immaginazione, piuttosto che un esercizio e un irrobustimento dell'intelletto. I problemi non vanno affrontati e studiati indiscriminatamente, ma occorre stabilire una regola fondamentale unitaria, che abbracci tutti i casi e li faccia derivabili l'uno dall'altro in modo rigorosamente univoco. In questo senso Cartesio stesso afferma che l'aritmetica e geometria usuali non sono che " esempi " d'una scienza universale, che in quelle si nasconde piuttosto che rivelarsi." E se nel Discours de la méthode inserisce applicazioni concrete del suo nuovo metodo, nella Diottrica e nello scritto sulle Meteore non vede altro che la prova soggettiva della fecondità del metodo stesso, mentre la vera cogente dimostrazione della sua verità è per lui la Geometria.
Sappiamo già che, per raggiungere un risultato chiaro e sicuro, non ci occorre eccedere l'analisi rigorosa e precisa dell'argomento in questione. Ordine e misura sono ciò che costituisce i contenuti della matematica e ne esaurisce completamente l'oggetto. Vanno quindi esclusi fin dall'inizio tutti gli altri elementi che non s'inquadrino in queste determinazioni fondamentali e non si risolvano completamente in essi. Ma, ancora una volta, la misura va intesa non come un qualcosa di concreto, che ci sia imposto direttamente dalle cose stesse, bensì come il risultato di un procedimento mentale di definizione e scelta. " Misurare " non significa niente altro che una forma pura del " riferire ", qualcosa, quindi, che secondo l'idea fondamentale della logica cartesiana, può esser fatto oggetto dell'indagine indipendentemente da ogni " soggetto " particolare. La " dimensione " designa la regola mentale (modus et ratio) secondo cui un oggetto viene considerato misurabile; al concetto di essa attengono, quindi, non solo la lunghezza, la larghezza e la profondità, bensì anche la pesantezza, come criterio di misura secondo cui è valutato e determinato il peso dei corpi, e la velocità, secondo cui è valutata e determinata l'entità del movimento: anzi, tutti gli elementi determinanti in genere, che definiscono univocamente un'entità e quindi la rendono di...

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