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"Fuck the Marketing!"
About this book
"Gli utenti contemporanei, colti e smaliziati, cedono e lottano, con
perpetuo impiego di forze, ora consistenti ed ora labili, forti pure di
questioni energetiche, come quelle legate all'entropia, ed alla
propagandata attività di erosione delle fisionomie e dell'equilibrio di
ogni elemento che possa trovarsi a poter collidere con il nostro modus
vivendi, di ogni oggetto anche debolmente interiorizzato capace di
immetterci nella traiettoria di un consumo irreversibile e breve, dalla
vita corta, nel timore di poter subire chissà quali conseguenze
dall'azione di svuotamento contagioso, proveniente da un oggetto
scaduto, divenuto improvvisamente a così basso contenuto calorico."
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Information

Ogni cosa del mondo.
Si, volevo parlare di ogni cosa del mondo.
E sapevo già che parecchi individui, in specie, coloro che da qualche tempo amavo chiamare i “microbi del design”, ovvero quella ridotta schiera di storici e critici del design che si arrogavano la licenza di poter selezionare, loro e soltanto loro, le traiettorie di indagine, di analisi, di discussione che afferivano alla caleidoscopica materia del design, che non lo avrebbero potuto tollerare, né gli attori, né gli spettatori.
Era un problema di vocabolario.
Pochi vocaboli, questi microbi, mettevano in circolo, mettevano in gioco, dunque ridotte divenivano le possibilità di esercizio, ad ogni latitudine dell’ormai multiforme e multiproteico aspetto che aveva assunto la disciplina del design e, a cascata, i suoi numerosi, vasti, inesauribili, ambiti applicativi. Ma chiariamo subito una cosa: esistono due traiettorie identitarie che individuano il profilo psicologico, e culturale di chi scrive sul design.
Una prima traiettoria, è quella costituita da tutta una costellazione di giornalisti che, per lo più frequentano e percorrono la cifra gossippara che avviluppa come una essenza carnivora tutto il circo mediatico e che, con becere dinamiche fortemente parassitarie, fagocita continuamente il mondo del design. Ed è tutta una fauna che mi diverte moltissimo.
Vi è poi la seconda traiettoria, per così dire ‘aurea’, di chi scrive sul design, costituita da Megagalattici Super Siderali Entità Astratte ed Ultraterrene, che sono gli Storici ed i Critici del design.
Questi inutili ciarlatani, rappresentano per lo più tutta una categoria asfittica e morente, che si auto-resuscita continuamente, assolvendosi con pratiche e strumenti propri dell’esercizio di casta, per poter riprodurre una autoaffermazione che, con meccanismi simili all’accanimento terapeutico, ha l’effetto di sfigurare l’autenticità ed il valore di determinate, genuine conquiste, prodotte dai designer che vivono ogni giorno il Laboratorio, quale santuario meraviglioso e necessario per l’ottenimento di alti profili delle loro proposte creative, esercitati nella piena libertà di poter intraprendere ogni possibile traiettoria di sperimentazione, di benefica innovazione culturale, morfologica, antropologica.
L’esercizio della vita di questi microbi, produce un fastidioso, quanto inutile, rumore di fondo, un suono che viene generato dallo sfregamento continuo tra elementi non afferenti al mondo del design vero e proprio, quello del mestiere di chi progetta e che, a ragione di ciò, dovrebbe avere voce in capitolo per poterne parlare!
Certamente più di altri che fanno soltanto esercizio becero di una autorità baronale che puzza di fetore massonico e di gonnelline fuori moda, che ha mostrato ormai il suo tempo e che, specialmente nel mondo del design, in cui non si può essere bari, non se ne è sentita mai la necessità.
Poi, vi è una terza categoria, eretica, che viene confinata, da questi ultimi, nella regione del delirio gesuita, ed è la categoria di tutti quelli che come me, oltre a fare il mestiere del designer, ne hanno voglia e modo di poterne parlare, di poterne scrivere, da sempre.
Beh, ormai sono decenni che registro una folkloristica ostilità da parte di alcuni non-addetti ai lavori, nell’accogliere e nell'affermare una modalità di lavoro plurale, multidisciplinare - approcci di metodo propri della natura del design, peraltro! -, che scandaglia e realizza la storia dalla notte dei tempi, sino agli ultimi rigurgiti dei fenomeni propri d’espressione della moderna arena mediatica planetaria, ormai portatrice di pratiche e di processi di produzione che vengono quasi esclusivamente dal basso. Esercizio d’esposizione critica che a me invece, risulta estremamente naturale.
Ma capisco l’imbarazzo ed il disagio che genera, qualche volta e, sempre in questi soggetti spudoratamente non-addetti ai lavori.
Beh, è lo stesso disagio ed imbarazzo, che mi fa intrawedere il limite di chi non conosce direttamente e, fisicamente, i processi vitali che sostengono il modus operandi proprio della disciplina del design, e cerca di parlarne come meglio può.
Insomma, di chi fa lo storico e basta!
Così come di chi fa in Università il docente e basta!
Che nell’esercizio distante, ed occasionale, della professione del designer, si presenta in perenne condizione di ritardo cognitivo.
Da sbellicarsi, vi assicuro, tale condizione, propria di chi vuole mantenersi a distanza dalla plebaglia, come si diceva secoli fa, esattamente all’opposto di quello che è il design, con i suoi alti profili etici e con la sua mission, ed io, in tutta sincerità devo dirvi che, non posso che paragonarla alla portineria sotto casa, con i suoi alti profili di produzione, propri dell’era NeoZotica.
Essi hanno generato e messo in circolo una loro linguistica, adatta a tutti coloro che possiedono sufficiente pedanteria, ma scarsa intelligenza, scarsa visione plurale, lontani dalla comprensione dei sistemi di accoglimento di pratiche e fenomeni meridiani, trasversali, particolari, o innovativi, parecchio deficitari insomma.
Una linguistica che però si dimostra parecchio efficace nel sostenere logiche semplici, quasi banali, alla bisogna.
Una linguistica, che ormai non è in grado di poter sostenere e rappresentare nemmeno le questioni proprie dell’era analogica, figuriamoci la realtà complessa propria dell’era digitale.
“Il barone insisteva a parlare di piante e ogni volta Mutis gli ribatteva che quelli non erano argomenti per una conversazione mondana”
" La misura del mondo Daniel Kehlmann, Feltrinelli, 2006.
Un po’ come accadeva nell’era preindustriale, quando si proponeva ad un imprenditore di poter intraprendere la modernizzazione dei suoi sistemi di produzione, e questi ti rispondeva con fervore, che non bisognava badare agli incidenti che vi si verificavano ciclicamente, che in fondo vi era la disponibilità di operai a sufficienza, e che dunque chi trovava la morte in azienda, poteva facilmente essere sostituito.
Inconcepibile. Inaccettabile, come la linguistica di questi pomposi individui, con il loro vocabolario minimo, le loro asfittiche e polverose pratiche formali, inadatte in ogni epoca all’universo culturale che avviluppa tutta la disciplina del design.
L’ordine del mondo che questi microbi hanno creato, non avrebbe potuto sopportare mai una cosa simile, non avrebbero potuto mai sopportare la mia focale fish eye, sarebbe stato straniante e poco considerevole per loro, sarebbe stato come la fine del mondo. Del loro mondo.
L’aver lavorato dentro un numero spropositato, quasi imbarazzante, di aziende, sporcandomi le mani con piacevolezza, in un centinaio di Design Lab che sono riuscito a mettere in piedi, sin dai primi istanti a stretto contatto con gli operai, veri attori dei processi di creazione ed innovazione ad ogni latitudine della disciplina del design, mi convinse che al mondo, non gliene frega un cazzo!
E furono proprio questi meravigliosi ed inestimabili attori, con la loro immensa scorta di umiltà e discrezione, a sollecitarmi, in maniera sottile, quasi intima e segreta, di poter accogliere tale entusiasmante percorso di vita.
Avrei potuto dir loro che il sonno non è un destino ineluttabile, che una persona che dorme, può essere svegliata, ma averlo fatto per così tanti anni, e scoprire d’essersi allontanato anni luce da tali adempienze, scoprire di possedere un consistente e superlativo vocabolario, quale strumento personale di attivazione, propulsione e messa in esercizio di pratiche comuni, come un Libro delle Preghiere Comuni, mi fece desistere.
“Quell’uomo triste non ha esplorato un bel niente, disse Humboldt. Così come un uccello non esplora l’aria o un pesce l’acqua.

O un tedesco il senso dell’umorismo, disse Bompland."
(“La misura dei mondò', Daniel Kehlmann, Feltrinelli, 2006. NdA)
Il mio segreto?
Pensare in modo più rapido, profondo, plurale, degli altri. Tutto qui.
E, la capacità, credo, di poter sentire il tenace anelito comune a tutti gli individui del pianeta. Dunque l’idea di mettere in campo la collana “designPARADE’, atta a poter accogliere produzioni e scritti scevri da alcun pregiudizio, in relazione alle traiettorie d’indagine, di mise en visione, convinto come sono sempre stato che non bisogna essere schiavi dell’abitudine e di quella capacità di controllo nell’esercizio del solvimento di una problematica che, specie nell’arte, conduce all’esercizio di maniera.
Bisognava dare a tutta l’opera un timbro sonoro identificativo, trovare un giusto sound, e...
Table of contents
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- Indice
- Frontespizio
- Copyright
- Fuck the Marketing