L'unica strada è l'amore
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L'unica strada è l'amore

Papa Francesco in Terra Santa. Gesti e parole di pace e speranza

Giuseppe Caffulli, Carlo Giorgi, Giampiero Sandionigi

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Papa Francesco in Terra Santa. Gesti e parole di pace e speranza

Giuseppe Caffulli, Carlo Giorgi, Giampiero Sandionigi

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Il libro raccoglie per la prima volta le cronache legate all'intenso viaggio in Terra Santa di papa Francesco, svoltosi dal 24 al 26 maggio 2014, destinato a lasciare un profondo segno in quella regione. Un percorso in luoghi resi santi duemila anni fa da Cristo e dall'annuncio del Vangelo, ma santificati anche oggi dalla fede e dalla sofferenza di tante persone vittime di guerre ed ingiustizie.Un pellegrinaggio che ha toccato Giordania, Palestina e Israele. E che si è concluso idealmente in Vaticano, l'8 giugno 2014, quando papa Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, ancora una volta insieme dopo l'incontro a Gerusalemme, hanno accolto a Roma i presidenti di Israele e Palestina per invocare uniti il dono della pace.

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IL PAPA A GERUSALEMME

Alla tomba vuota del Risorto, per ridarsi coraggio nel cammino ecumenico
25 maggio 2014
Gli apostoli Pietro e Andrea si incontrano di nuovo. E lo fanno con lo stupore e con la gioia che solo le grandi anime sanno avere. Si incontrano di nuovo, come già 50 anni fa – quando Paolo VI e Atenagora si abbracciarono sul Monte degli Ulivi – nel luogo più significativo per ogni cristiano: il Santo Sepolcro. O, come amano dire i cristiani orientali: la basilica della Risurrezione (Anastasis). Perché qui l’evento della morte è stato sconfitto e la luce di Cristo ha vinto sulle tenebre del male.
Pietro e Andrea – nelle persone dei loro successori: Francesco e Bartolomeo – sono arrivati da due strade diverse ma convergenti, le due porte che permettono l’accesso al sagrato della basilica del Sepolcro. Un simbolo nel simbolo: divisi per secoli, nemici, spesso astiosamente l’uno contro l’altro, il vescovo di Roma e il patriarca di Costantinopoli sembrano nuovamente indicare, come i predecessori, la via obbligata verso la comunione tra le Chiese. Si sono fraternamente abbracciati e hanno disceso sottobraccio i gradini scivolosi che conducono al portale d’ingresso dell’Anastasis.
Sono entrati insieme nella basilica – con un’ora di ritardo sul programma, dopo essersi attardati presso la delegazione apostolica di Gerusalemme dove hanno firmato una Dichiarazione congiunta –, si sono inginocchiati e raccolti in preghiera alla Pietra dell’unzione che ricorda la deposizione del Cristo dal Calvario. Poi Papa Francesco – apparso a tratti in non piena forma fisica – e il patriarca Bartolomeo, accolti dai rappresentanti delle tre comunità che condividono la basilica (ortodossi, cattolici latini e armeni) si sono avviati all’edicola che custodisce la tomba vuota di Cristo, mettendo i loro passi su quelli di Paolo VI e di Atenagora, due uomini che seppero cogliere il soffio dello Spirito e aprire una pagina nuova nella storia delle relazioni ecumeniche.
Dopo il saluto del patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme Teofilo III e la proclamazione del Vangelo della Risurrezione in greco e in latino, è toccato a Bartolomeo pronunciare il suo discorso in un’ora che non è esagerato definire – nuovamente – storica.
«È con timore, emozione e rispetto – ha affermato con voce ferma, in lingua inglese, il patriarca di Costantinopoli – che noi ci troviamo davanti al “luogo dove il Signore giacque”, la vivificante tomba dalla quale è emersa la vita. E noi rendiamo gloria a Dio misericordioso, che ha reso degni noi, Suoi indegni servi, della suprema benedizione di farci pellegrini nel luogo in cui si è rivelato il mistero della salvezza del mondo. “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo” (Genesi 28,17)».
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Papa Francesco e il patriarca ecumenico Bartolomeo I in preghiera insieme nella basilica del Santo Sepolcro (foto: Amos Ben Gershom/GPO/Flash90).
Tre i punti toccati dal discorso di Bartolomeo. Il primo: il Sepolcro vuoto ci comunica che la vita vince sulla morte e che essa non detiene la parola finale sulla nostra esistenza. Poi, soprattutto in relazione all’evento di stasera, la certezza che «la storia non può essere programmata, che l’ultima parola nella storia non appartiene all’uomo, ma a Dio. Le guardie del potere secolare hanno sorvegliato invano questa tomba. Invano hanno posto una gran pietra a chiusura dell’ingresso cosicché nessuno potesse farla rotolare via. Sono vane le strategie di lungo termine dei poteri mondani e, a ben vedere, tutto è contingente di fronte al giudizio e alla volontà di Dio. Qualsiasi sforzo dell’umanità contemporanea di modellare il suo futuro autonomamente e senza Dio è una vana presunzione».
E infine: «Questa tomba sacra ci invita a respingere un altro timore che forse è il più diffuso nella nostra era moderna, vale a dire la paura dell’altro, del diverso, la paura di chi aderisce ad un’altra fede, un’altra religione o un’altra confessione. (…) Il fanatismo religioso minaccia ormai la pace in molte regioni del globo, dove lo stesso dono della vita viene sacrificato sull’altare dell’odio religioso. Davanti a tale situazione, il messaggio che promana dalla tomba che dà la vita è urgente e chiaro: amare l’altro, l’altro con le sue differenze, chi segue altre fedi e confessioni».
Papa Francesco – che non ha lesinato, ricambiato, nel corso della celebrazione, i gesti d’affetto verso Bartolomeo – ha iniziato a parlare con la voce velata dall’emozione. Un tono che però si è fatto via via più sicuro mano a mano che toccava i punti più significativi del discorso.
«In questa basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profonda venerazione – ha detto Bergoglio – raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto compiendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua Santità Bartolomeo. (…) È una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tomba vuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giuseppe d’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogo da cui parte l’annuncio della Risurrezione: “Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: ‘È risorto dai morti’” (Mt 28,5-7). Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro ai quali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano, trasmesso fedelmente di generazione in generazione. (…) È il fondamento della fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo che Gesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore, “patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; discese agli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte” (Simbolo degli Apostoli)».
Nella basilica gremita, lo sguardo di Papa Francesco incontra spesso quello di Bartolomeo. Non si nasconde le difficoltà, Bergoglio, ma sa che le sorprese sono possibili. Che la speranza e la fede sanno smuovere anche le montagne. «Certo – dice con convinzione – non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra di noi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con maggiore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbraccio di quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnovato stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo, compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoli che resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pienezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisione della stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino».
E ancora, sottolineando con forza le parole: «Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro, così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli...

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