Antichità - La civiltà romana - Letteratura
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Antichità - La civiltà romana - Letteratura

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 16

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Antichità - La civiltà romana - Letteratura

Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 16

About this book

La letteratura romana gode di un singolare privilegio: quello di nascere adulta. Come un innesto fatto sul ceppo di una pianta già cresciuta, le sue radici sono quelle di un albero annoso, che le dà linfa, così da renderla più rigogliosa e più forte. Così è per la letteratura latina, che si è trovata a crescere sul ceppo di quella greca, assumendo pian piano sempre più coscienza di sé, della propria identità e delle potenzialità espressive della propria lingua.In questo ebook la letteratura latina in tutte le sue declinazioni, dalla martellante trama fonica delle origini all'arioso periodo ciceroniano, dalla tonante voce dell'epica, alle note soffuse e intimistiche di Catullo, fino alle sferzanti satire di Giovenale; una letteratura che, affinando di volta in volta il proprio armamentario retorico, ha saputo raccogliere la lezione greca al punto da superarla e farsi essa stessa modello per le culture a venire.Un ebook per conoscere quella letteratura che ha inciso profondamente sul modo di vivere e di pensare che ci è proprio, ed è rimasta tuttora a paradigma non solo di una visione del mondo, dell'uomo e della vita ma di un modo mirabile di scrivere e organizzare il pensiero.

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Information

La prima età imperiale: da Tiberio a Traiano (14 - 27 d.C.)

Raccontare l’altro: dal poema astrologico al mito di Alessandro
Donatella Puliga

Dopo la morte di Augusto viene meno il mecenatismo che aveva caratterizzato gran parte della produzione letteraria latina e durante i regni degli imperatori successivi si sviluppano nuovi generi letterari che non seguono più una sola direzione, ma si muovono in diversi campi affrontando generi e tematiche differenti.

Caratteri eterogenei della nuova letteratura

Se la letteratura dell’età augustea appare solidamente ancorata ad un centro, rappresentato dalla figura del principe e dall’articolata politica culturale che questi seppe mettere in campo, non altrettanto si può dire per i decenni successivi, sotto gli imperatori Tiberio, Caligola e Claudio: gli autori attivi in questo arco cronologico sembrano muoversi in direzioni diverse e non coordinate, anche per via del brusco venir meno del mecenatismo insieme con la scomparsa di Augusto. In campo scientifico, gli Astronomica di Manilio costituiscono una risposta (polemica) a Lucrezio e all’idea epicurea di un universo senza provvidenza e di una divinità senza relazione con gli uomini, sulla base di una impostazione stoica assai più coerente con gli orientamenti culturali dell’ultima età augustea. Sotto Tiberio appaiono la raccolta di aneddoti di Valerio Massimo e la screditata storia romana di Velleio Patercolo, isolato panegirista del nuovo principe; al polo opposto si colloca la coeva fioritura di un genere nuovo, la fiaba, voce di chi non ha voce contro i soprusi dei potenti. In direzione ancora diversa va la ricostruzione della vicenda di Alessandro da parte dell’oscuro Curzio Rufo (ma Alessandro, non va dimenticato, resta un modello per tutti i principi successivi); infine, il libro di ricette che ci giunge sotto il nome del raffinato gaudente Apicio) offre il quadro di una realtà che, dietro la maschera della moralizzazione e del ritorno al costume degli avi, rivela senza infingimenti la sua propensione al piacere raffinato e dispendioso.

Manilio e il poema astrologico

L’interesse per l’astrologia, che la cultura della Grecia classica – almeno parzialmente segnata da un orientamento razionalista – aveva messo in secondo piano, conosce, già a partire dall’ellenismo, una nuova fioritura: non solo grazie alla fusione di elementi babilonesi ed egiziani con gli strumenti matematici e astronomici elaborati dagli scienziati greci almeno a partire dal III secolo a.C., ma anche grazie al quadro teorico di giustificazione della disciplina che aveva offerto la filosofia stoica aveva offerto con la sua concezione del mondo visto come un unico organismo vivente regolato dal Logos.
A Roma, in particolare, l’astrologia diviene molto popolare sotto il principato di Augusto, che grande importanza dà al proprio oroscopo: cioè a quella configurazione degli astri che “guardavano” l’ora della sua nascita (il significato del termine oroscopo è proprio “che guarda l’ora”). Da aggiungere, inoltre, che la linea di demarcazione che separa oggi astronomia e astrologia non era così netta in antico, per cui non ci stupisce di incontrare, nella storia della letteratura latina, un’opera intitolata Astronomica nella quale elementi di natura scientifica coesistono con parti più strettamente astrologiche, che si fondano sul riconoscimento della presenza, nella volta celeste, di una articolata organizzazione simbolica. Ne è autore un certo Manilio, di cui non si ha alcuna notizia se non quella, ipotetica, di un’origine orientale.
Gli Astronomica sono un poema didascalico fortemente ispirato al modello lucreziano: in cinque libri (ma è molto probabile che proprio in omaggio al De Rerum Natura, ce ne fosse anche un sesto), il testo analizza dapprima le teorie filosofiche sull’origine dell’universo e descrive la sfera celeste, con le costellazioni, i pianeti, le comete e perfino le meteore. Nel secondo libro vengono invece presentati i 12 segni zodiacali, mentre nel terzo vengono impartite istruzioni per la compilazione dell’oroscopo e il calcolo dell’ascendente; il quarto e il quinto libro, infine, descrivono l’influsso dei pianeti e delle costellazioni sul carattere di individui e di popoli. Tali teorie si fondano sul presupposto – ancora di matrice stoica – che esista una corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo, cioè che tra il movimento degli astri e l’esistenza umana (realtà in apparenza lontanissime tra loro) esista un rapporto di stretta causalità, la cui trama può essere indagata e svelata anche attraverso la poesia.

Fedro e le favole degli animali

Il titolo, riportato dal codice che lo contiene, di Libro delle Favole di Fedro, liberto di Augusto ci dà un’indicazione molto importante sulla cronologia e la condizione sociale dell’autore di cinque libri di favole che, giunti a noi con molte lacune, costituiscono comunque l’esempio di un genere letterario nuovo a Roma, ma che può contare sul significativo precedente della tradizione esopica. Figura leggendaria della letteratura greca arcaica, Esopo avrebbe raccolto in forma scritta una serie di favole attinte da un’ampia tradizione orale. Ma di fatto la prima notizia certa di una raccolta di favole esopiche risale al IV secolo a.C.: l’autore sarebbe stato Demetrio di Falero, filosofo peripatetico che avrebbe sviluppato l’interesse aristotelico per la psicologia animale.
Fedro (vissuto presumibilmente tra il 20 a.C. e il 50 d.C.) raccoglie questa tradizione e ci tramanda un corpus di favole in versi (l’opera di Esopo era invece in prosa), costituito – come si è detto – da cinque libri, alcuni dei quali molto lacunosi. Le prime favole vengono pubblicate sotto il principato di Tiberio, ma come lo stesso autore ricorda (nel proemio al libro III, vv. 40 ss.) la scelta di alcuni argomenti si dimostra particolarmente infelice, se il potente ministro dell’imperatore, Seiano, gli intenta un processo in cui sostiene contemporaneamente il ruolo dell’accusatore, del testimone e del giudice. Solo quando Seiano cade in disgrazia (viene condannato a morte nel 31), Fedro riesce ad ottenere una certa protezione da parte del potere, ma ciò non gli impedisce di maturare un rassegnato pessimismo e un senso malinconico della immutabilità del reale, che costituiscono il “filo rosso” della sua produzione. Questi toni, uniti al proposito moraleggiante, sono infatti i tratti caratteristici del genere della favola che Fedro introduce a Roma.
Il racconto che vede protagonisti gli animali ruota intorno a un tema folklorico molto diffuso non solo nella tradizione greco-romana: soprattutto in società contadine e pastorali gli animali finiscono per costituire lo specchio attraverso cui l’uomo vede se stesso. Infatti, a motivo di un comportamento istintivo legato alla specie, l’animale ben si presta a fissare la tipologia psicologica dei caratteri umani: la volpe incarna la furbizia, il leone la prepotenza. Accade così che le diverse specie animali vengano usate come un sistema di classificazione, una sorta di tipologia naturale della cultura. Creando una rete di analogie tra sfera animale e sfera umana, la favola parla dunque di persone descrivendo qualcosa di profondamente altro e insieme di profondamente accostabile ad esse. In questo modo l’opera di Fedro, che ha come intento quello di ipsam vitam et mores hominum ostendere (“mostrare la vita stessa e il carattere degli uomini”), non rinuncia mai al piacere del racconto, che è tratto tipico di ogni mythos degno di questo nome.

Velleio Patercolo: una concezione organicistica della storia

Il lettore moderno potrebbe incuriosirsi, apprendendo che a Marco Velleio Patercolo era stato intitolato dal Codacons qualche anno fa un “Premio di giornalismo a chi durante l’anno si è distinto in modo eccellente per servilismo al potere governativo o economico fornendo notizie false ai lettori”. Se è vero che gli autori antichi interagiscono ancora attivamente nel nostro modo di rapportarci con il mondo, funzionando come modelli paradigmatici, certo appare un po’ singolare l’“eccellenza” che si sarebbe guadagnata questo storico, vissuto tra il 19 a.C. e il 31 d.C. circa, assurgendo a simbolo dell’informazione asservita al potere.
All’origine della scelta provocatoria del Codacons sta il giudizio poco edificante che a lungo è pesato, anche in età moderna, su Velleio, unica voce tra quelle della storiografia latina a tessere le lodi dell’imperatore Tiberio, in controcanto, per esempio, con la voce di uno storico ben più autorevole come Cornelio Tacito. Nato probabilmente a Capua, da una famiglia di origine sannita che si era distinta per fedeltà a Roma, il giovane Velleio intraprende la carriera militare come ufficiale della cavalleria di Tiberio, tra il 4 e il 6, e al fianco di Tiberio rimane anche negli anni successivi, in varie campagne in Pannonia (Europa centrale) e in Dalmazia. Il 30 è un anno chiave: Velleio pubblica la sua Storia romana in due libri e dopo quell’anno, malgrado abbia raggiunto la notorietà di personaggio pubblico, di lui non si hanno più notizie. Nessun altro storico antico lo nomina. Dopo la fama, l’oblio.
Le ragioni vanno ricercate forse proprio nel taglio di quella che si propone come un sunto della storia romana, dalle origini mitiche (la caduta di Troia) al presente, ma in cui l’obiettivo scoperto è quello di mostrare come il dominio di Roma sul mondo e la soluzione istituzionale dell’impero siano voluti dal destino. Inoltre, la sincera ammirazione che l’autore nutre per Tiberio innerva la narrazione fino a modificarne talvolta il registro stilistico, virando da quello (auspicabilmente) pacato della storiografia ai toni encomiastici del panegirico. La sincerità dei sentimenti non basta a sostenere un modello di storiografia che sembra inclinare alla propaganda, e anche la lode – è noto – è più che mai soggetta ai tempi. Quando si affaccerà nel panorama storiografico la lettura tacitiana dell’impero, l’opera, letterariamente modesta, di Velleio non potrà che essere relegata sullo sfondo. Resta nella memoria soltanto la sua esposizione della “concezione organica” della storia (I,6,1 e II,11,3): una sorta di teoria evolutiva secondo cui città e forme di governo, imperi e perfino fenomeni letterari...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. La collana
  5. Introduzione
  6. L’età delle origini
  7. L’età di Cesare
  8. L’età di Augusto
  9. La prima età imperiale: da Tiberio a Traiano (14 - 27 d.C.)
  10. La seconda età imperiale e la fine della romanità: da Adriano alle grandi invasioni
  11. Piano dell'opera