L'invenzione del diavolo
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L'invenzione del diavolo

Donne, stranieri, diversi: quando l'altro è demonizzato

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L'invenzione del diavolo

Donne, stranieri, diversi: quando l'altro è demonizzato

About this book

Una riflessione sul diavolo sotto vari punti di vista: dal problema antropologico del male, con le sue spiegazioni mitiche, all'analisi delle rappresentazioni del diavolo nella tradizione biblica e cristiana, fino al tema della demonizzazione dell'altro. Principale chiave di lettura è il concetto di rappresentazione sociale, strumento di codificazione simbolica dell'esperienza del male e del negativo, essenziale per la definizione dell'immaginario collettivo delle società e del loro linguaggio comune.L'opera di decostruzione di questo libro non entra nel merito delle credenze religiose sul diavolo in quanto essere personale e soprannaturale; essa si situa nel campo delle scienze antropologiche e sociologiche, e della lettura comparata delle religioni. Mostra in questo modo quanto i meccanismi di «demonizzazione» siano attivi anche ai giorni nostri. Lo provano xenofobia, omofobia, teorie del complotto... «Il vero problema che si pone con l'invenzione del diavolo ? conclude l'autore ? è il rapporto con l'altro, il diverso. Credere nel diavolo, inventare i barbari, ha molti vantaggi: delimita frontiere, rafforza l'identità».

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Information

1
L’ESPERIENZA DEL MALE
Il problema del diavolo è il problema del male, e parlare del male equivale ad addentrarsi in una foresta infinita, piena di luci e ombre, di misteri impenetrabili che possono provocare instabilità, paura e incertezza. È anche entrare nelle profondità della realtà umana, del limite e della fragilità, della miseria e della trasgressione, dove ciò che siamo, a volte, si scontra con ciò che vogliamo o immaginiamo di essere. Inoltre, è l’esperienza del male che rivela la grandezza della persona, la sua saggezza, la consapevolezza della sua realtà, la profondità della sua misericordia. Giustamente lo scopo di questo primo capitolo è cominciare a riflettere sul diavolo partendo dalla realtà concreta, così come è percepita da tutti: il riferimento alla realtà vissuta sarà infatti la nostra chiave ermeneutica nell’interpretazione della rappresentazione simbolica del diavolo.
La realtà del male
Tutti sappiamo cos’è il male. Dai primi momenti della nostra vita, facciamo l’esperienza del male. Può essere la paura della solitudine, la sofferenza per le afflizioni e le infermità fisiche, il dolore per la perdita di una persona cara o la prospettiva della propria morte, così come le catastrofi naturali, la violenza della guerra, l’ingiustizia che è all’origine della miseria; o la distruzione dell’ambiente ecc. Tutto questo è percepito come male e genera sofferenza e disagio. Però il male non è tutto uguale. Ci sono mali che dipendono dalla precarietà e dalla finitudine della natura e dell’essere umano, come le infermità, la morte, i disastri naturali, e ci sono mali causati da atteggiamenti sbagliati, come la violenza, la guerra e l’ingiustizia. Esiste, per usare un’affermazione di Paul Ricoeur,1 il male subìto e il male commesso. Il male è sempre percepito come pericolo, attacco o diminuzione della nostra integrità fisica, psichica e spirituale. Ci fa sentire piccoli, fragili, impotenti di fronte a forze superiori percepite come minacce ostili. È l’esperienza della negatività e della nullità, che può compromettere il pieno sviluppo dell’esistenza e portarci al fallimento.
Questa esperienza produce conflitti interni ed esterni, la cui soluzione può essere duplice: un atteggiamento aggressivo verso gli eventi negativi per modificarli attraverso il dominio della nostra ragione; o l’alienazione, la costruzione e l’immaginazione simbolica di ipotetici esseri e cause esterne cui attribuiamo la responsabilità dell’esistenza del male nel mondo. Infine, troviamo nell’esperienza del male l’ambivalenza freudiana delle figure mitiche di Eros e Thanatos: l’impulso per la vita e l’impulso per la morte; la gioia dell’essere e la negazione dell’esistenza; l’energia creativa e quella distruttiva; la necessità di conservazione e l’impulso verso l’istintivo e primario. Eros e Thanatos sono parte della nostra vita: non possono essere eliminati, poiché la realtà è positiva e negativa allo stesso tempo, come due facce della stessa medaglia. Accettare l’ambivalenza della realtà non significa conformarsi alla negatività, ma lavorare perché essa sia assunta e vissuta all’interno di uno schema di significato.
Il male è un problema di senso, che esige il coraggio di non fuggire; è la chiamata a prendere una posizione, a situarsi, a non rimanere neutrali, bensì a trovare risposte che portino a integrare la divisione, la contraddizione e i conflitti che sono generati nelle nostre esistenze. Ci sono persone che credono che il male e la sofferenza abbiano un senso, per esempio come sacrificio (secondo alcune religioni); per altri, al contrario, rappresentano la negazione del senso. Possiamo riassumere a cinque gli atteggiamenti fondamentali di fronte al male: fuga, fatalismo o rassegnazione, ribellione, disprezzo stoico, lotta.
Inoltre, la riflessione sul male deve evitare tre rischi: il primo è rimanere al di fuori della sofferenza, come se non fosse qualcosa di inevitabile, impossibile da affrontare − un simile atteggiamento conduce all’indifferenza; il secondo è quello di vedere il male come un mezzo necessario per raggiungere un determinato obiettivo; il terzo ha a che fare con l’interiorizzazione delle possibili spiegazioni e con il conformarsi con l’infelicità.2
Ci sono anche due estremi da evitare: non cadere nella facile illusione che il male possa essere superato un giorno, per esempio, con il progresso della medicina o con la crescita etica e morale della società; e, data la sua inevitabilità (non si può fuggire da esso), orientarsi decisamente alla ricerca della felicità nel godimento della vita e dei suoi piaceri, finché c’è tempo e opportunità per farlo. Sono due soluzioni «tecniche» che considerano il problema dal di fuori e non danno il giusto valore al mistero della vita, per la quale il male rappresenta un pericolo e una minaccia, e la sofferenza diviene sopportazione e resistenza di fronte a questo rischio.
Il male solleva questioni che richiedono risposte specifiche e concrete:
• Da dove viene il male?
• Perché esiste?
• Se Dio è così buono e onnipotente, perché permette il male?
Analizzeremo in seguito alcune delle risposte più significative al problema del male nella storia dell’umanità.
L’ermeneutica del male
a) Il linguaggio simbolico-mitico
Ci sono realtà che vanno oltre la nostra capacità di poterle spiegare. Le percepiamo, le sentiamo, tuttavia non abbiamo strumenti sufficienti per conoscerle, spiegarle e descriverle. Il male fa parte di questo mondo che trascende la nostra realtà e del quale possiamo parlare attraverso il linguaggio simbolico e mitico. Prima di entrare nel nostro tema specifico, quindi, sentiamo la necessità di offrire alcune riflessioni sul linguaggio mitico, il mito come un racconto e la rappresentazione simbolica della storia. A causa del suo linguaggio strano, fantastico, e che fa grande uso di scenari e protagonisti immaginari, per molti il mito è pura fantasia e prodotto della creatività degli antichi avi. Al contrario, il mito parla del mondo delle origini, descrive la realtà originaria immaginata attraverso simboli e rappresentata in storie fantastiche. È una storia vera, che racconta, attraverso il linguaggio simbolico, le credenze del popolo, la sua fede e la sua cultura.
I miti sono «grandi racconti» che presentano la cosmologia, la visione del mondo e della vita, della società e della storia, dei comportamenti e della vita quotidiana; loro obiettivo non è raccontare come le cose sono avvenute, ma affermare il significato di ogni cosa, di ogni evento e di ogni fatto. E così, come in un enorme puzzle, i miti mettono al loro posto le cose, i loro valori e significati: creano una visione e interpretazione completa della vita e del cosmo (cosmovisione). Il caos originale, termine che si riferisce nel suo significato al disordine iniziale, nel mito diventa cosmo, lo spazio ordinato, dove ogni cosa, persona e avvenimento trovano la loro ubicazione e il loro significato. I miti sono quindi significativi, non narrativi. Dai miti originali è organizzata la vita sia personale che familiare e sociale. Ogni popolo ha i propri miti differenti da quelli degli altri ma che convergono nel contenuto essenziale, interpretano la realtà entro una struttura simbolica comune: il mondo superiore, il cielo, il mondo originale, eterno, popolato da divinità ed esseri soprannaturali che governano il corso della storia; e il mondo inferiore, terreno, popolato dagli esseri creati e, tra di loro, gli umani. Questo mondo è dipendente e soggetto al mondo celeste. Il bene e il male dipendono dalla relazione tra questi due mondi e dall’equilibrio che si stabilisce tra loro: qualsiasi disordine, trasgressione o conflitto minaccia il benessere del mondo inferiore e può causare ogni tipo di male. Diamo ora un’occhiata ad alcuni dei miti originari che presentano le spiegazioni e le interpretazioni tradizionali dell’origine e il significato del male.
b) La dualità delle cose (spiegazione naturale)
Esiste un’opposizione fondamentale tra i miti dell’origine del male: da un lato ci sono quelli che considerano il male anteriore alla creazione dell’essere umano, e ne pongono l’origine in una catastrofe o conflitto originario tra le forze soprannaturali; dall’altro lato ci sono quelli che attribuiscono l’origine del male all’essere umano.
Analizzeremo alcuni dei miti che appartengono al primo gruppo, quelli del male anteriore, trascendente l’essere umano.
Questo tipo di mito è il riflesso della situazione climatica del Medio Oriente, nasce dall’osservazione della realtà. Quella regione è una terra arida, desertica, che dipende continuamente dall’acqua dei fiumi Tigri ed Eufrate in Mesopotamia; del Nilo in Egitto; del Giordano in Palestina. La vita produttiva e sociale delle popolazioni di quelle terre si sviluppa intorno ai fiumi e alle opere di canalizzazione dell’acqua. Nonostante ciò, rimane il pericolo delle siccità o delle inondazioni che possono distruggere tutto.
Inoltre, la Mesopotamia da sempre è stata una terra di molte guerre, che portavano fame e insicurezza alle loro popolazioni: a ovest dell’Eufrate c’erano i nomadi del deserto siro-arabico che attaccavano i contadini delle pianure fluviali; a nord, le tribù selvagge delle montagne che saccheggiavano i villaggi. In tale contesto di conflitto e di perenne insicurezza, le popolazioni mesopotamiche svilupparono la loro cosmovisione: la terra, concepita come una tavola piatta, si trovava tra le acque superiori (del cielo), acque dolci, chiamate apsu (da cui deriva la parola abisso), e le acque inferiori, quelle del mare, acque salate, chia...

Table of contents

  1. Perché questo libro di Marco Aime
  2. INTRODUZIONE
  3. 1 L’ESPERIENZA DEL MALE
  4. 2 LA RAPPRESENTAZIONE DEL MALE: COSTRUENDO IL MITO DEL DIAVOLO
  5. 3 DECOSTRUZIONE DELLE RAPPRESENTAZIONI BIBLICHE DEL DIAVOLO
  6. 4 BENE E MALE A CONFRONTO, ALLE ORIGINI DEL CRISTIANESIMO
  7. 5 PATRIARCALISMO E INIQUITÀ DI GENERE: LA DEMONIZZAZIONE DELLA DONNA
  8. 6 DIVERSITÀ E ALTERITÀ: INTERPRETANDO LA FIGURA DEL DIAVOLO
  9. 7 LA DEMONIZZAZIONE: CONSEGUENZE SOCIALI DEL MITO DEL DIAVOLO
  10. 8 CONCLUSIONE
  11. BIBLIOGRAFIA