L'anarchia - Il nostro programma
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Errico Malatesta

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L'anarchia - Il nostro programma

Errico Malatesta

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Nel testo viene esposto il programma Anarchico in modo chiaro, a volte illuminante; non risultando un'asettica dichiarazione d'intenti, bensƬ una lucida disamina del pensiero e del movimento anarchico. Inoltre, M. tenta di combattere il pregiudizio del senso che il pubblico dava e dƠ alla parola anarchia: ossia, anarchia uguale disordine sociale.
Tuttavia egli non nasconde le difficoltĆ  e le incognite di una societĆ  anarchica. Nel pensiero anarchico, e di M. in particolare, la libertĆ  non puĆ² ritenersi assoluta, ma deve essere limitata dal principio della solidarietĆ  e dell'amore verso gli altri.
"Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietĆ  cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la societĆ  sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertĆ , amore, scienza".
Questo il senso del suo testamento politico, valido in ogni epoca e in ogni Paese che voglia combattere l'oppressione dello sfruttamento economico e sociale.
L'autore: Errico Malatesta nasce a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) il 4 dicembre 1853 da una famiglia di piccoli commercianti. Trasferitosi giovanissimo a Napoli, fin da giovanissimo, seguendo l'esempio del fratello maggiore Aniello, aderisce agli ambienti repubblicani patriottici guidati da Giuseppe Mazzini. Non ancora diciottenne abbraccia l'ideale anarchico che sosterrĆ  per tutta la vita. Entrato nell'Internazionale socialista, ne esce quasi subito per incomprensioni tra l'ala italiana dell'Internazionale e il Consiglio Generale di Londra, fino alla rottura completa che porterĆ  M a fondare la "Federazione Italiana dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori". Porta gli ideali anarchici per tutto il mondo con una gravosa attivitĆ  di comunicazione. Dopo essere stato in diversi continenti, rientra in Italia per seguire il movimento anarchico italiano da vicino. Animatore di riviste, convegni, manifestazioni a fovore del movimento anarchico subisce, all'avvento del fascismo, le limitazioni imposte dal nuovo regime, condannato inseguito agli arresti domiciliari per sei anni. Affaticato e gravemente malato si spegne il 22 luglio 1932.

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Lā€™anarchia

Anarchia eĢ€ parola che viene dal greco, e significa propriamente senza governo: stato di un popolo che si regge senza autoritaĢ€ costituite, senza governo.
Prima che tale organamento incominciasse ad essere considerato come possibile e desiderabile da tutta una categoria di pensatori, e fosse preso a scopo da un partito, che eĢ€ ormai diventato uno dei piuĢ€ importanti fattori delle moderne lotte sociali, la parola anarchia era presa universalmente nel senso di disordine, confusione; ed eĢ€ ancor oggi adoperata in tal senso dalle masse ignare e dagli avversari interessati a svisare la veritaĢ€.
Noi non entreremo in disquisizioni filologiche, poicheĀ“ la questione non eĢ€ filologica, ma storica. Il senso volgare della parola non misconosce il suo significato vero ed etimologico; ma eĢ€ un derivato di quel senso, dovuto al pregiudizio che il governo fosse organo necessario della vita sociale, e che per conseguenza una societaĢ€ senza governo dovesse essere in preda al disordine, ed oscillare tra la prepotenza sfrenata degli uni e la vendetta cieca degli altri.
Lā€™esistenza di questo pregiudizio e la sua influenza nel senso che il pubblico ha dato alla parola anarchia, si spiega facilmente.
Lā€™uomo, come tutti gli esseri viventi, si adatta e si abitua alla condizione in cui vive, e trasmette per ereditaĢ€ le abitudini acquisite. CosiĢ€, essendo nato e vissuto nei ceppi, essendo lā€™erede di una lunga progenie di schiavi, lā€™uomo, quando ha incominciato a pensare, ha creduto che la schiavituĢ€ fosse condizione essenziale della vita, e la libertaĢ€ gli eĢ€ sembrata cosa impossibile. In pari modo, il lavoratore, costretto per secoli e quindi abituato ad attendere il lavoro, cioeĢ€ il pane, dal buon volere del padrone, ed a vedere la sua vita continuamente alla merceĀ“ di chi possiede la terra ed il capitale, ha finito col credere che sia il padrone che daĢ€ da mangiare a lui, e vi domanda ingenuamente come si potrebbe fare a vivere se non vi fossero i signori.
CosiĢ€ uno, il quale fin dalla nascita avesse avuto le gambe legate e pure avesse trovato modo di camminare alla men peggio, potrebbe attribuire la sua facoltaĢ€ di muoversi precisamente a quei legami, che invece non fanno che diminuire e paralizzare lā€™energia muscolare delle sue gambe.
Se poi agli effetti naturali dellā€™abitudine sā€™aggiunga lā€™educazione data dal padrone, dal prete, dal professore, ecc., i quali sono interessati a predicare che i signori ed il governo sono necessari; se si aggiunga il giudice ed il birro, che si forzano di ridurre al silenzio chi pensasse diversamente e fosse tentato a propagare il suo pensiero, si comprenderaĢ€ come abbia messo radice, nel cervello poco coltivato della massa laboriosa, il pregiudizio della utilitaĢ€, della necessitaĢ€ del padrone e del governo.
Figuratevi che allā€™uomo dalle gambe legate, che abbiamo supposto, il medico esponesse tutta una teoria e mille esempi abilmente inventati per persuaderlo che colle gambe sciolte egli non potrebbe neĀ“ camminare, neĀ“ vivere; quellā€™uomo difenderebbe rabbiosamente i suoi legami e considererebbe nemico chi volesse spezzarglieli.
Dunque, poicheĀ“ si eĢ€ creduto che il governo fosse necessario e che senza governo non si potesse avere che disordine e confusione, era naturale e logico che anarchia, che significa assenza di governo, suonasse assenza di ordine.
NeĀ“ il fatto eĢ€ senza riscontro nella storia delle parole.
Nelle epoche e nei paesi, in cui il popolo ha creduto necessario il governo di un solo (monarchia), la parola repubblica, che eĢ€ il governo dei piuĢ€, eĢ€ stata usata appunto nel senso di disordine e di confusione: e questo senso si ritrova ancora vivo nella lingua popolare di quasi tutti i paesi.
Cambiate lā€™opinione, convincete il pubblico che il governo non solo non eĢ€ necessario, ma eĢ€ estremamente dannoso, ed allora la parola anarchia, appunto percheĀ“ significa assenza di governo, vorraĢ€ dire per tutti: ordine naturale, armonia dei bisogni e deglā€™interessi di tutti, libertaĢ€ completa nella completa solidarietaĢ€.
Hanno dunque torto coloro che dicono che gli anarchici hanno malamente scelto il loro nome, percheĀ“ questo nome eĢ€ erroneamente inteso dalle masse e si presta ad una falsa interpretazione. Lā€™errore non dipende dalla parola, ma dalla cosa; e le difficoltaĢ€ che incontrano gli anarchici nella propaganda non dipendono dal nome che si danno, ma dal fatto che il loro concetto urta tutti glā€™inveterati pregiudizi, che il popolo ha sulla funzione del governo, o, come pur si dice, dello Stato.
* * *
Prima di procedere eĢ€ bene spiegarsi su questā€™ultima parola, la quale, a parer nostro, eĢ€ davvero causa di molti malintesi.
Gli anarchici, e noi fra loro, ci siamo serviti e ci serviamo ordinariamente della parola Stato, intendendo per essa tutto quellā€™insieme dā€™istituzioni politiche, legislative, giudiziarie, militari, finanziarie, ecc. per le quali sono sottratte al popolo la gerenza dei propri affari, la direzione della propria condotta, la cura della propria sicurezza, e sono affidate ad alcuni che, o per usurpazione o per delegazione, si trovano investiti del diritto di far le leggi su tutto e per tutti e di costringere il popolo a rispettarle, servendosi allā€™uopo della forza di tutti.
In questo caso la parola Stato significa governo, o, se si vuole, eĢ€ lā€™espressione impersonale, astratta di quello stato di cose, di cui il governo eĢ€ la personificazione: e quindi le espressioni abolizione dello Stato, SocietaĢ€ senza Stato, ecc. rispondono perfettamente al concetto che gli anarchici vogliono esprimere, di distruzione di ogni ordinamento politico fondato sullā€™autoritaĢ€, e di costituzione di una societaĢ€ di liberi ed uguali, fondata sullā€™armonia degli interessi e sul concorso volontario di tutti al compimento dei carichi sociali.
PeroĢ€ la parola Stato ha molti altri significati, e fra questi alcuni che si prestano allā€™equivoco, massime quando essa si adopera con uomini, cui la triste posizione sociale non ha dato agio di abituarsi alle delicate distinzioni del linguaggio scientifico, o, peggio ancora, quando si adopera con avversari in mala fede che hanno interesse a confondere e non voler comprendere.
CosiĢ€ la parola Stato si usa spesso per indicare una data societaĢ€, una data collettivitaĢ€ umana, riunita sopra un dato territorio e costituente quello che si dice un corpo morale, indipendentemente dal modo come i membri di detta collettivitaĢ€ sono aggruppati e dai rapporti che corrono tra di loro. Si usa anche semplicemente come sinonimo di societaĢ€. EĢ€ a causa di questi significati della parola Stato, che gli avversari credono, o piuttosto fingono di credere che gli anarchici intendono abolire ogni connessione sociale, ogni lavoro collettivo e ridurre gli uomini allā€™isolamento, cioeĢ€ ad una condizione peggio che selvaggia.
Per Stato sā€™intende pure lā€™amministrazione suprema di un paese, il potere centrale, distinto dal potere provinciale o comunale; e per questo altri credono che gli anarchici vogliono un semplice discentramento territoriale, lasciando intatto il principio governativo, e confondono cosiĢ€ lā€™anarchia col cantonalismo e col comunalismo.
Stato significa infine condizione, modo di essere, regime di vita sociale, ecc. e percioĢ€ noi diciamo, per esempio, che bisogna cambiare lo stato economico della classe operaia, o che lo stato anarchico eĢ€ il solo stato sociale fondato sul principio di solidarietaĢ€, ed altre frasi simili, che in bocca a noi, che poi in altro senso diciamo di voler abolire lo Stato, possono a prima giunta sembrare barocche o contraddittorie.
Per dette ragioni noi crediamo che varrebbe meglio adoperare il meno possibile lā€™espressione abolizione dello Stato e sostituirla con lā€™altra piuĢ€ chiara e piuĢ€ concreta abolizione del governo.
In ogni modo eĢ€ quello che faremo nel corso di questo lavoretto.
* * *
Abbiamo detto che lā€™anarchia eĢ€ la societaĢ€ senza governo.
Ma eĢ€ possibile, eĢ€ desiderabile, eĢ€ prevedibile la soppressione dei governi? Vediamo. Che cosa eĢ€ il governo? La tendenza metafisica (che eĢ€ una malattia della mente, per la quale lā€™uomo, dopo di avere per processo logico astratto da un essere le sue qualitaĢ€, subisce una specie di allucinazione che gli fa prendere lā€™astrazione per un essere reale), la tendenza metafisica, diciamo, che, malgrado i colpi della scienza positiva, ha ancora salde radici nella mente della piuĢ€ parte degli uomini contemporanei, fa siĢ€ che molti concepiscono il governo come un ente morale, con certi dati attributi di ragione, di giustizia, di equitaĢ€, che sono indipendenti dalle persone che stanno al governo. Per essi il governo, e piuĢ€ astrattamente ancora lo Stato, eĢ€ il potere sociale astratto; eĢ€ il rappresentante, astratto sempre, deglā€™interessi generali; eĢ€ lā€™espressione del diritto di tutti, considerato come limite dei diritti di ciascuno. E questo modo di concepire il governo eĢ€ appoggiato dagli interessati, cui preme che sia salvo il principio di autoritaĢ€, e sopravviva sempre alle colpe ed agli errori di coloro che si succedono nellā€™esercizio del potere.
Per noi, il governo eĢ€ la collettivitaĢ€ dei governanti; ed i governanti ā€“ re, presidenti, ministri, deputati, ecc. ā€“ sono coloro che hanno la facoltaĢ€ di fare delle leggi per regolare i rapporti degli uomini tra di loro, e farle eseguire; di decretare e riscuotere lā€™imposta; di costringere al servizio militare; di giudicare e punire i contravventori alle leggi; di sottoporre a regole, sorvegliare e sanzionare i contratti privati; di monopolizzare certi rami della produzione e certi servizi pubblici, o, se vogliono, tutta la produzione e tutti i servizi pubblici; di promuovere o ostacolare lo scambio dei prodotti; di far la guerra o la pace con governanti di altri paesi, di concedere o ritirare franchigie, ecc., ecc. I governanti, in breve, sono coloro che hanno la facoltaĢ€, in grado piuĢ€ o meno elevato, di servirsi della forza sociale, cioeĢ€ della forza fisica, intellettuale ed economica di tutti, per obbligare tutti a fare quello che vogliono essi. E questa facoltaĢ€ costituisce, a parer nostro, il principio governativo, il principio di autoritaĢ€.
Ma quale eĢ€ la ragion dā€™essere del governo?
PercheĀ“ abdicare nelle mani di alcuni individui la propria libertaĢ€, la propria iniziativa? PercheĀ“ dar loro questa facoltaĢ€ di impadronirsi, con o contro la volontaĢ€ di ciascuno, della forza di tutti e disporne a loro modo? Sono essi tanto eccezionalmente dotati da potersi, con qualche apparenza di ragione, sostituire alla massa e fare gli interessi, tutti gli interessi degli uomini meglio di quello che saprebbero farlo gli interessati? Sono essi infallibili ed incorruttibili al punto da potere affidare, con un sembiante di prudenza, la sorte di ciascuno e di tutti alla loro scienza e alla loro bontaĢ€?
E quandā€™anche esistessero degli uomini di una bontaĢ€ e di un sapere infiniti, quandā€™anche, per unā€™ipotesi che non si eĢ€ mai verificata nella storia e che noi crediamo impossibile a verificarsi, il potere governativo fosse devoluto ai piuĢ€ capaci ed ai piuĢ€ buoni, aggiungerebbe il possesso del governo qualche cosa alla loro potenza benefica, o piuttosto la paralizzerebbe e la distruggerebbe per la necessitaĢ€, in cui si trovano gli uomini che sono al governo, di occuparsi di tante cose che non intendono, e sopra tutto di sciupare il meglio della loro energia per mantenersi al potere, per contentare gli amici, per tenere a freno i malcontenti e per domare i ribelli?
E ancora, buoni o cattivi, sapienti o ignari che siano i governanti, chi eĢ€ che li designa allā€™alta funzione? Si impongono da loro stessi per diritto di guerra, di conquista, o di rivoluzione? Ma allora che garanzia ha il pubblico che essi sā€™ispireranno allā€™utilitaĢ€ generale? Allora eĢ€ pura questione di usurpazione, ed ai sottoposti, se malcontenti, non resta che lā€™appello alla forza per scuotere il giogo. Sono scelti da una data classe, o da un partito? E allora certamente trionferanno glā€™interessi e le idee di quella classe o di quel partito, e la volontaĢ€ e glā€™interessi degli altri saranno sacrificati. Sono eletti a suffragio universale? Ma allora il solo criterio eĢ€ il numero, che certo non eĢ€ prova neĀ“ di ragione, neĀ“ di giustizia, neĀ“ di capacitaĢ€. Gli eletti sarebbero coloro che meglio sanno ingarbugliare la massa; e la minoranza, che puoĢ€ anche essere la metaĢ€ meno uno, resterebbe sacrificata. E cioĢ€ senza contare che lā€™esperienza ha dimostrato lā€™impossibilitaĢ€ di trovare un meccanismo elettorale, pel quale gli eletti siano almeno i rappresentanti reali della maggioranza.
Molte e varie sono le teorie, con cui si eĢ€ tentato di spiegare e giustificare lā€™esistenza del governo. PeroĢ€ tutte sono fondate sul preconcetto, confessato o no, che gli uomini abbiano interessi contrari, e che vi sia bisogno di una forza esterna, superiore, per obbligare gli uni a rispettare glā€™interessi degli altri, prescrivendo ed imponendo quella regola di condotta, con cui gli interessi in lotta siano il meglio possibile armonizzati, ed in cui ciascuno trovi il massimo di soddisfazione col minimo di sacrifici possibili.
Se, dicono i teorici dellā€™autoritarismo, gli interessi, le tendenze, i desiderii di un individuo sono in opposizione con quelli di un altro individuo o magari di tutta quanta la societaĢ€, chi avraĢ€ i...

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