Caligola - impero e follia
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Caligola - impero e follia

Franco Forte

  1. 408 pages
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Caligola - impero e follia

Franco Forte

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Ha appena cinque anni, Gaio Giulio Cesare, quando il padre decide di portarlo con sé per una campagna militare nelle terre da cui ha preso il suo nome: la Germania. Perché suo padre è Germanico, il più potente e acclamato generale di Roma. L'uomo che molti vorrebbero incoronare imperatore, al posto dell'odiato e temuto Tiberio. Il comandante che non ha paura di nulla, tranne che di un essere umano: la moglie, Agrippina, nipote di Augusto, la madre dei suoi figli. Tra loro c'è Gaio, che non ama il suo nome e preferisce il soprannome che gli hanno dato i suoi amici legionari, cui procura schiave e divertimenti, ottenendo in cambio di essere accolto nel loro gruppo e ricevere i loro duri insegnamenti. Quel soprannome che prende origine dalle calzature militari troppo larghe che ha sempre ai piedi, le caligae. Quel soprannome che porterà con sé per tutta la vita: Caligola. E quando suo padre Germanico viene avvelenato ad Antiochia, la terza città più grande del mondo, il piccolo Caligola giura che avrà la sua vendetta. È in quel momento che capisce che essere amato non basta, che essere un grande guerriero non è sufficiente, che il vero potere risiede nelle informazioni. Per questo impara ad attraversare non visto i corridoi dei palazzi imperiali, dove viene a conoscenza di trame, intrighi e congiure, ordite da uomini assetati di potere e da donne crudeli e disinibite. Sotto il sorriso maligno del vecchio Tiberio, che pare avere stretto un patto con gli dèi, tanto si mantiene lucido, energico e spietato anche in vecchiaia. Così il piccolo Caligola intraprende il percorso che lo porterà a sedere sul trono dell'Urbe. Un percorso lungo, pieno di ostacoli, in cui la tentazione della vendetta deve essere sempre temperata da prudenza e astuzia. Un percorso che farà sì che sarà lui, non suo padre, non i suoi fratelli, il nuovo imperatore di Roma. Restituendo gli intrighi, le alleanze sempre pronte a mutarsi in tradimento, la lussuria e l'avidità della Roma imperiale, che nelle pagine di Caligola – Impero e follia non ha nulla da invidiare alle capitali delle "Cronache del Ghiaccio e del Fuoco" di George R.R. Martin, Franco Forte scrive un romanzo straordinario, che reinventa, con taglio originale e moderno, il mito dell'imperatore più odiato della storia. Dando voce, per una volta, alla sua versione.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2015
ISBN
9788852065514
Parte seconda

L’IMPERO

CAPITOLO TERZO

Roma
23 d.C. – 776 ab Urbe Condita
Caligola ha undici anni

8

Quando l’imperatore uscì dalla grande sala in cui si stava svolgendo il banchetto, con la smorfia truce che gli era solita e il codazzo di pretoriani, liberti e schiavi che lo seguivano come un nugolo di calabroni, Gaio si ritrasse nell’ombra e cercò di diventare invisibile.
Non gli riusciva difficile, tutto sommato. Fra i componenti della dinastia Giulio-Claudia di cui quel palazzo era gremito, lui era il più piccolo di età, dopo Tiberio Gemello, il nipote diretto di Tiberio, sopravvissuto alla malattia che aveva colpito sia lui sia il fratello gemello, che non ce l’aveva fatta. Gaio non godeva della considerazione e delle attenzioni che tutti prestavano a quell’insulso moccioso che non sapeva nemmeno reggere un gladio. Tiberio Gemello passava il tempo circondato da femmine e da tutori dai modi compiacenti, che cercavano di istruirlo nella cultura greca e romana e forse di proteggerlo da altre possibili malattie, tenendolo recluso e lontano dal mondo.
Al solo pensiero, Gaio rabbrividì. Aveva studiato così tanto filosofia, matematica e scienze di tutti i tipi, da essere certo che gli sarebbe bastato per tutta la vita, e ringraziava il padre di averlo portato con sé in Germania e poi in Asia, dove aveva visto gran parte delle province romane che si estendevano a nord e a est dell’impero e aveva preso dimestichezza con la vita militare. Cosa che certo Tiberio Gemello poteva scordarsi, viste le premure di cui era circondato.
Infastidito, Gaio scivolò dietro le colonne del peristilio, cercando di non farsi distanziare troppo dall’imperatore, che aggrediva i corridoi con un’energia e una rabbia davvero notevoli, se si pensava a quanto era vecchio. Gaio aveva sentito dire che l’imperatore avesse superato i sessant’anni, ma gli sembrava un’esagerazione. Tiberio era vecchio, ma non poteva esserlo così tanto. Lui faticava a ricordare qualcuno, nell’ambito familiare, che avesse anche solo cinquant’anni, figurarsi sessanta. A parte le donne, naturalmente, che sembrava avessero stretto un patto con gli dei e riuscivano a vivere molto più a lungo degli uomini che sposavano, che fossero aristocratici, imperatori o semplici plebei.
Un paio di esempi li aveva in famiglia. La sua bisnonna Livia, vedova del grande Augusto, partecipava ancora ai banchetti e alle principali attività della corte imperiale, nonostante avesse già raggiunto da tempo i cento anni. Questo, almeno, sostenevano tutti coloro che ne parlavano con reverenza, anche se lui non era mai riuscito a scoprire la verità. E poi c’era sua nonna Antonia Minore, figlia di Marco Antonio e imparentata con chissà quante stirpi reali d’Oriente grazie al rapporto con Cleopatra, che aveva allargato i confini della loro discendenza anche alle straordinarie terre d’Egitto.
Mentre passava lungo le vasche di raccolta dell’acqua piovana, tenendosi a debita distanza dal corteo imperiale, Gaio storse la bocca. Tiberio era forse l’unico maschio della loro stirpe che cercasse di rivaleggiare in longevità con le donne della dinastia Giulio-Claudia, a parte Augusto, che però aveva caratteristiche divine che Tiberio poteva solo sognarsi. E il pensiero che l’imperatore fosse destinato a vivere ancora a lungo non gli piaceva affatto: giorno dopo giorno si rendeva conto di quanto fosse difficile, per lui e la sua famiglia, contrastare la diffidenza di Tiberio, che sembrava ritenerli la causa di tutti i suoi mali.
Per questo motivo Gaio lo seguiva ogni volta che poteva, ascoltando, osservando, cercando di comprendere la trama intricata dei rapporti di potere che legava l’imperatore agli uomini che lo circondavano, e che esibiva come una barriera insormontabile per chiunque.
Gaio sapeva di essere il meno considerato tra i figli di Germanico, forse al pari delle sue sorelle. Ma non solo non si infuriava per questo, anzi portava pazienza e cresceva all’ombra di tutti, imparando quanto più poteva e sfruttando la sua capacità di aggirarsi per il palazzo imperiale come un fantasma per spiare chiunque gli capitasse a tiro. Non dimenticava la promessa che aveva fatto a Germanico: l’avrebbe vendicato, avrebbe restituito dignità alla sua famiglia, convinto di essere il solo, tra i suoi fratelli, che avrebbe potuto tenere testa a Tiberio e ai suoi scagnozzi.
Uno dei quali, se ne rese conto con sgomento, si stava avvicinando dalla direzione opposta a quella in cui stava scivolando lui, e per poco non andò a sbatterci contro.
Si accorse che era Seiano all’ultimo istante, ma per una combinazione di agilità, istinto e fortuna riuscì ad appiattirsi dietro la statua di qualche oscuro antenato. Il prefetto del Pretorio, nonché principale confidente di Tiberio, gli passò accanto senza accorgersi di lui.
Tornò a respirare, con il cuore che gli martellava nel petto, deciso a non perdere di vista i due: quando Tiberio e Seiano si appartavano, scacciando liberti, schiavi e pretoriani, era perché avevano cose importanti da discutere, al riparo da orecchie indiscrete.
E lui non si sarebbe perso una sola parola.

9

Per fortuna, le porte del palazzo imperiale non erano come quelle che aveva visto ad Antiochia, con serrature che impedivano a chiunque il passaggio, anche quando non c’erano guardie a presidiarle. Lì, nella grande villa di Tiberio sul Palatino, ogni ingresso era guardato a vista da due pretoriani, che si irrigidivano e assumevano pose da parata, quando l’imperatore e il prefetto del Pretorio passavano veloci, senza neppure degnarli di un’occhiata. E dopo che erano andati oltre, quei soldati si rilassavano, si scambiavano occhiate incerte e scoppiavano a ridere, o si mettevano a parlare come se avessero scampato chissà quale pericolo. Allora Gaio ne approfittava.
Gli risultò facile sgusciare inosservato fra le ombre dei colonnati e tenere il passo di Tiberio e Seiano fino a quando non li vide imboccare il corridoio che portava alla biblioteca del palazzo, là dove, gli era stato detto, era conservato l’archivio imperiale, che Tiberio teneva lontano da occhi indiscreti.
Soddisfatto di quella decisione da parte dei due, Gaio si precipitò verso il vestibolo che dava accesso all’ala con il vivarium, in cui i servi di corte allevavano le strane specie di pesci di cui l’imperatore amava cibarsi. Da quella piccola stanza, in cui già si percepiva l’odore aspro delle vasche, scivolò in uno dei condotti che facevano affluire l’acqua nei vivai, che si ramificavano per tutta la villa intersecandosi con le tubature che portavano l’acqua riscaldata nelle terme private di Tiberio.
Gaio aveva già percorso diverse volte quei condotti, che erano una via formidabile per raggiungere di nascosto i luoghi più inaccessibili della villa. Nonostante avesse già undici anni, la sua corporatura esile gli permetteva di muoversi agilmente nelle condutture di pietra in cui un adulto avrebbe faticato a infilarsi.
Imboccò sicuro la diramazione che lo avrebbe portato, fiancheggiando la biblioteca, a una delle finestrelle di aerazione che gli avrebbe consentito di ascoltare tutto quello che Tiberio e Seiano si dicevano. Doveva solo stare attento alle tubature dell’acqua riscaldata, che partendo dalla fornace alimentavano diverse parti del palazzo imperiale e sviluppavano un forte calore. Una volta si era incautamente seduto su uno di quei tubi arrugginiti e si era scottato le natiche. Ma adesso che lo sapeva, avrebbe solo dovuto preoccuparsi di non toccare niente e di spogliarsi per evitare di macerarsi nel sudore.
Raggiunse in fretta il luogo del suo appostamento, proprio nel punto d’incontro fra uno dei condotti di pietra che facevano scorrere l’acqua fino al vivarium e un paio di grossi tubi di ferro resi bollenti dall’acqua proveniente dalla fornace.
Cercò la finestrella più comoda per la sua altezza e riconobbe subito il panno che lui stesso aveva lasciato in quel luogo per potersi sedere su una pietra senza rischiare di bruciarsi ancora.
Si sfilò la veste, sotto la quale non portava nulla, allargò le strisce di cuoio dei calzari e se li tolse. Poi, dopo aver sistemato i suoi indumenti nell’angolo più asciutto del condotto, ovvero una specie di rientranza nella parete creata da alcune pietre lavorate male dai mastri costruttori, si sistemò accanto alla finestrella e attese. Sapeva che i due ci avrebbero messo un po’ di più a raggiungere la biblioteca, che aveva un unico ingresso, sorvegliato dai pretoriani, ricavato direttamente nell’ala del palazzo in cui si trovavano le stanze private dell’imperatore.
Gaio non era mai riuscito a introdursi direttamente in quella parte della villa, la più sorvegliata, ma, grazie a una visita a Tiberio che aveva fatto una volta insieme ad Agrippina e alla nonna Livia, era riuscito a farsi un’idea della disposizione dei corridoi e delle stanze, memorizzandoli dentro di sé per comporre una specie di mappa del palazzo, che gli era molto utile per le sue scorribande.
Aveva così collezionato un numero sorprendente di segreti che molti frequentatori del palazzo credevano di custodire solo per sé. Aveva capito che non c’era nulla di più prezioso, per conoscere il funzionamento della vita a corte, che ascoltare e assistere non visto agli incontri segreti dei nobili, dei liberti e dei servitori che si aggiravano nella villa di Tiberio a diverso titolo.
Quante cose aveva imparato, e quanto sapeva, sul conto di tanti che credevano di muoversi nell’ombra, all’insaputa di tutti. Forse un giorno quei segreti gli sarebbero stati utili per scopi che adesso nemmeno riusciva a immaginare, ma ricordava le parole del padre e i suoi insegnamenti: per lui e la sua famiglia era molto importante comprendere le intenzioni degli uomini più potenti dell’impero, per non farsi mai trovare impreparati.
Era ancora immerso in questi pensieri quando avvertì dei rumori dall’altra parte del muro. Allora si mise in ascolto.
«Perché ancora qui, mio imperatore?» chiese Seiano quando i due furono entrati e i pretoriani ebbero chiuso la porta della biblioteca alle loro spalle.
«Perché ho bisogno di risposte» disse Tiberio con la sua vocina querula e fastidiosa. «Lontano da orecchie indiscrete.»
Gaio esultò. Aveva visto giusto. L’incontro si preannunciava interessante. Senza che quei due sospettassero minimamente di essere spiati.
«Complottano contro di me! Io lo so. Ho visto come mi guardano.»
«Chi, Cesare? Chi complotta contro di te?»
«Tutti!» rispose rabbioso Tiberio, fissando il prefetto del Pretorio con gli occhi di un pazzo. Era teso, spaventato, le mani gli tremavano. A Gaio ricordò quel vecchio folle che se ne stava accucciato davanti al tempio di Augusto a minacciare la folla che gli passava accanto solo con la forza dello sguardo, quasi volesse fare intendere che, se non gli avessero dato qualche moneta, lui avrebbe potuto scagliare la rabbia degli dei contro di loro. Tutti gli raccomandavano sempre di stargli alla larga, perché era un pazzo e poteva diventare pericoloso, e in quel momento, osservando Tiberio dalla feritoia nel muro, Gaio pensò che lo stesso si poteva dire dell’imperatore. Bruciava di follia, sembrava che vedesse attorno a sé una folla di fantasmi protesi con le armi verso di lui per ucciderlo come era stato fatto con Giulio Cesare.
«No, mio princeps, ti assicuro che non c’è nessun complotto nei tuoi confronti» cercò di rassicurarlo Seiano con voce calma ma decisa.
Il prefetto del Pretorio aveva un atteggiamento conciliante nei confronti di Tiberio. Lo blandiva con poche parole posate e non sembrava temerne la reazione, qualunque potesse essere. L’impressione di sicurezza e di forza che Seiano trasmetteva era impressionante, e Gaio ne ebbe quasi più paura degli sguardi folli che Tiberio lanciava ovunque, anche in quella sala in cui non potevano esserci altri che loro due.
Ricordò quello che aveva detto sua madre, un giorno in cui si trovavano tutti a pranzo insieme ai suoi fratelli, Nerone Cesare e Druso Cesare, e alle sorelle, Giulia Livilla, Giulia Drusilla e Giulia Agrippina: «Diffidate di quell’uomo. È una serpe che cerca di incantarvi con lo sguardo e la voce suadente, mentre con la mano armata vi conficca un pugnale fra le costole».
Un’immagine molto vivida, che non era più uscita dalla mente di Gaio, e che adesso t...

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Forte, F. (2015). Caligola - impero e follia ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3297111/caligola-impero-e-follia-pdf (Original work published 2015)

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Forte, Franco. (2015) 2015. Caligola - Impero e Follia. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3297111/caligola-impero-e-follia-pdf.

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Forte, F. (2015) Caligola - impero e follia. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3297111/caligola-impero-e-follia-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Forte, Franco. Caligola - Impero e Follia. [edition unavailable]. Mondadori, 2015. Web. 15 Oct. 2022.