Il romanzo di Ramses - 3. La battaglia di Qadesh
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Il romanzo di Ramses - 3. La battaglia di Qadesh

Christian Jacq

  1. 348 pages
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Il romanzo di Ramses - 3. La battaglia di Qadesh

Christian Jacq

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Forte e armoniosa, la nuova capitale Pi-Ramses rispecchia il carattere del faraone. È una città dalla bellezza miracolosa e il suo compimento sembra aprire a un'era di ricchezza e di pace. Ma Nefertari, la bella tra le belle, scruta il cielo: gli uccelli sono nervosi, si prepara una tempesta che scuoterà la famiglia reale, e vedrà il nemico varcare il sacro suolo d'Egitto. Ramses, il Figlio della Luce, dovrà affrontarlo in una prova decisiva, che le generazioni a venire non dimenticheranno.

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Information

Publisher
Mondadori
Year
2016
ISBN
9788852071348
Ornamento di separazione

1

Il cavallo di Danio galoppava sulla pista ardente che portava alla Dimora del Leone, una borgata della Siria del Sud fondata dall’illustre faraone Sethi. Egiziano da parte di padre e siriano da parte materna, Danio aveva fatto l’onorevole mestiere di portalettere e si era specializzato nella consegna di messaggi urgenti. L’amministrazione egiziana gli forniva cavallo, cibo e vestiario; Danio godeva di una dimora da funzionario a Sile, città frontaliera del nordest, e alloggiava gratis nelle stazioni di posta. Insomma, una gran bella vita, continui viaggi e l’incontro con siriane poco scontrose, talvolta desiderose di sposare un funzionario il quale tagliava la corda a grande velocità non appena il legame prendeva una piega troppo seria.
Danio, di cui i genitori avevano scoperto la vera natura grazie all’astrologo del villaggio, non sopportava di restare imprigionato neppure tra le braccia di una spigliata amante. Per lui, nulla contava più dello spazio da divorare e della pista polverosa da percorrere.
Scrupoloso e metodico, il portalettere era considerato un ottimo elemento dai suoi superiori. Fin dall’inizio della carriera, non aveva smarrito una sola missiva e spesso aveva superato i limiti dell’orario regolamentare per accontentare un mittente che aveva fretta. Consegnare i messaggi il più presto possibile era il suo sacrosanto impegno.
Da quando, dopo la morte di Sethi, Ramses era salito sul trono, Danio aveva ritenuto, come molti egiziani, che il giovane faraone fosse null’altro che un lampo di guerra e che lanciasse il suo esercito alla conquista dell’Asia, nella speranza di ripristinare un immenso impero di cui l’Egitto sarebbe stato il centro. Durante i quattro primi anni del suo regno, il focoso Ramses aveva ingrandito il tempio di Luxor, portato a termine l’enorme sala ipostila di Karnak, dato mano alla costruzione della sua dimora millenaria sulla riva occidentale di Tebe e fondato una nuova capitale nel Delta, Pi-Ramses; ma non aveva modificato la politica estera di suo padre, che consisteva nel tener fede a un patto di non aggressione con gli ittiti, i temibili guerrieri dell’Anatolia. I quali, dal canto loro, sembrava avessero rinunciato ad attaccare l’Egitto e ne rispettassero il protettorato sulla Siria del Sud.
L’avvenire sarebbe stato roseo, se il carteggio militare tra Pi-Ramses e le fortezze del Cammino di Horus non avesse assunto dimensioni insolite.
Danio aveva interpellato i suoi superiori e posto domande agli ufficiali: nessuno ne sapeva niente, ma si parlava di disordini nella Siria del Nord e persino nella provincia di Amurrua sottoposta a influenza egiziana.
Con ogni evidenza, le missive di cui Danio era latore avevano lo scopo di preparare i comandanti delle fortezze del Cammino di Horus, la collana di fortificazioni del nordest, perché si mettessero al più presto in stato di allerta.
Grazie all’azione vigorosa di Sethi, Canaan,b l’Amurru e la Siria del Sud costituivano una vasta zona cuscinetto che proteggeva l’Egitto da una feroce invasione. Certo, bisognava tenere incessantemente d’occhio i principi di quelle regioni inquiete e spesso riportarli all’ordine; l’oro della Nubia spegneva ben presto le velleità di tradimento che tornavano a manifestarsi a ogni cambiamento di stagione. La presenza di truppe egiziane e le parate militari in concomitanza di grandi festività, come quella dei raccolti, erano altri mezzi efficaci per conservare una fragile pace.
A varie riprese, in passato, le fortezze del Cammino di Horus avevano serrato le porte e vietato il passaggio della frontiera a ogni straniero; gli ittiti non le avevano mai assalite e il timore di duri scontri si era dissolto.
Danio dunque restava ottimista: gli ittiti conoscevano il valore dell’esercito egiziano, e gli egiziani temevano la violenza e la crudeltà degli anatolici. I due paesi, che rischiavano di uscire dissanguati da un conflitto aperto, avevano tutto l’interesse a restare sulle rispettive posizioni, accontentandosi di sfide verbali.
Ramses, impegnato in un programma di grandi lavori, non aveva certo l’intenzione di provocare uno scontro.
Danio passò a gran carriera davanti alla stele che segnava il limite del possedimento rurale appartenente alla Dimora del Leone. All’improvviso, bloccò il cavallo e tornò indietro. Era stato colpito da un particolare insolito.
Scese a terra davanti alla stele.
Constatò, indignato, che la cornice a sbalzo era stata danneggiata e che parecchi geroglifici erano stati martellati. L’iscrizione magica, divenuta illeggibile, non proteggeva più il sito. I colpevoli di una simile distruzione sarebbero stati severamente puniti: rovinare una pietra vivente era un delitto passibile di pena di morte.
Senza dubbio, il portalettere era il primo testimone di quell’evento drammatico che si sarebbe affrettato a comunicare al governatore militare della regione. E questi, informato della catastrofe, avrebbe compilato un rapporto dettagliato da inviare al faraone.
L’abitato era raccolto in un recinto di mattoni; ai lati della porta d’ingresso, due sfingi accucciate. Il portalettere restò immobile, stupefatto: gran parte della cerchia era stata devastata, le sfingi abbattute, sventrate.
La Dimora del Leone era stata assalita.
Dalla borgata, neppure un suono. E di solito era piena d’animazione: esercitazioni di fanti, addestramento di cavalieri, discussioni sulla piazza centrale presso la fontana, grida di bambini, ragli d’asini… Un silenzio insolito che serrò il cuore in petto al portalettere. La gola secca, stappò la zucca e ne bevve una gran sorsata.
La curiosità ebbe la meglio sulla paura. Avrebbe dovuto fare dietrofront e dare l’allarme alla guarnigione più vicina, ma voleva sapere. Danio conosceva quasi tutti gli abitanti della Dimora del Leone, dal governatore al bettoliere, e alcuni di loro erano suoi buoni amici.
Il cavallo nitrì e si impennò; accarezzandogli il collo, Danio lo calmò. Ma l’animale si rifiutò di procedere.
E fu a piedi che Danio entrò nella borgata silenziosa.
Granai sventrati, giare infrante. Delle riserve di cibo e bevande, non restava più traccia.
Le piccole case a due piani erano tutte in rovina: neppure una era sfuggita all’aggressore che, in preda a una furia distruttiva, non aveva risparmiato neanche la dimora del governatore.
Non era rimasto in piedi neppure un muro del piccolo tempio. La statua del dio era stata spezzata a mazzate e decapitata.
E soprattutto, quel silenzio compatto, opprimente.
Nei pozzi, cadaveri di asini. Sulla piazza centrale, i resti di un braciere sul quale erano stati bruciati arredi e papiri.
L’odore.
Un odore appiccicoso, acre, stomachevole, che gli invase le nari e lo attrasse verso il macello sito al limite settentrionale dell’abitato, sotto un vasto portico che lo riparava dal sole. Era là che venivano fatti a pezzi i buoi sgozzati, che venivano cucinati quarti di carne in un grande calderone e che il pollame veniva arrostito allo spiedo. Un luogo rumoroso dove il portalettere pranzava volentieri, una volta distribuita la posta.
Alla loro vista, Danio restò senza fiato.
Erano tutti lì: soldati, mercanti, artigiani, vecchi, donne, bambini, lattanti. Tutti sgozzati, ammucchiati gli uni sugli altri. Il governatore era stato impalato, i tre ufficiali del distaccamento appesi alla trave che sosteneva il tetto del macello.
Su un pilastro di legno, un’iscrizione in caratteri ittiti: “Vittoria dell’esercito del potente sovrano della terra di Hatti, Muwattali. Così morranno tutti i suoi nemici”.
Gli ittiti… Secondo le loro abitudini, avevano compiuto un’incursione di estrema violenza, non risparmiando nessuno dei loro avversari; solo che questa volta erano usciti dalla loro zona d’influenza per colpire non lontano dalla frontiera nordorientale dell’Egitto.
Il portalettere si sentì invadere dal panico. E se il reparto ittita si fosse aggirato ancora nei pressi?
Danio arretrò, incapace di distogliere lo sguardo dall’orrendo spettacolo. Come si poteva essere tanto crudeli da massacrare a quel modo degli esseri umani e lasciarli insepolti? Con la testa in fiamme, Danio si diresse verso la porta delle sfingi.
Il suo cavallo era scomparso.
In preda all’angoscia, il portalettere scrutò l’orizzonte, temendo di veder comparire soldati ittiti. Laggiù, al piede della collina, una nuvola di polvere.
Carri… Carri che venivano alla sua volta!
Folle di terrore, Danio corse a perdifiato.
a. Pressappoco l’attuale Libano.
b. Canaan comprendeva la Palestina e la Fenicia.
Ornamento di separazione

2

Pi-Ramses, la nuova capitale dell’Egitto creata da Ramses nel cuore del Delta, contava già più di centomila abitanti. Circondata da due rami del Nilo, le acque di Ra e le acque di Avaris, godeva di un clima piacevole persino d’estate; era attraversata da numerosi canali, un lago artificiale permetteva deliziose escursioni in barca, stagni pescosi offrivano ghiotte prede agli amanti della pesca alla lenza.
Rifornita di molti generi alimentari prodotti da una campagna lussureggiante, Pi-Ramses era soprannominata “la città di turchese” per via delle onnipresenti piastrelle verniciate di azzurro, di straordinaria luminosità, che ornavano le facciate delle case.
Strana capitale, a dire il vero: in essa, un mondo pacifico e armonioso si univa a una città guerriera dotata di quattro grandi caserme e di una fabbrica di armi sita nei pressi del palazzo. Da qualche mese a quella parte, gli operai lavoravano giorno e notte a produrre carri, armature, spade, lance, scudi e punte di freccia. Al centro della fabbrica, un’ampia fonderia con un laboratorio specializzato nella lavorazione del bronzo.
Un carro da battaglia, insieme solido e leggero, stava uscendo dalla fabbrica. Era in cima alla rampa d’accesso di un grande cortile a porticato dove venivano radunati i veicoli dello stesso tipo, quando il capomastro batté sulla spalla del falegname che controllava le rifiniture.
«Laggiù, in fondo alla rampa… È lui!»
«Lui?»
L’artigiano diede un’occhiata.
Sì, era proprio lui, il faraone, signore dell’Alto e del Basso Egitto, il Figlio della Luce, Ramses.
A ventisei anni, il successore di Sethi regnava da quattro e godeva dell’amore e dell’ammirazione del suo popolo. Atletico, alto più di un metro e ottanta, il volto allungato coronato da...

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Jacq, C. (2016). Il romanzo di Ramses - 3. La battaglia di Qadesh ([edition unavailable]). Mondadori. Retrieved from https://www.perlego.com/book/3297659/il-romanzo-di-ramses-3-la-battaglia-di-qadesh-pdf (Original work published 2016)

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Jacq, Christian. (2016) 2016. Il Romanzo Di Ramses - 3. La Battaglia Di Qadesh. [Edition unavailable]. Mondadori. https://www.perlego.com/book/3297659/il-romanzo-di-ramses-3-la-battaglia-di-qadesh-pdf.

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Jacq, C. (2016) Il romanzo di Ramses - 3. La battaglia di Qadesh. [edition unavailable]. Mondadori. Available at: https://www.perlego.com/book/3297659/il-romanzo-di-ramses-3-la-battaglia-di-qadesh-pdf (Accessed: 15 October 2022).

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Jacq, Christian. Il Romanzo Di Ramses - 3. La Battaglia Di Qadesh. [edition unavailable]. Mondadori, 2016. Web. 15 Oct. 2022.