Totem e tabù - L'avvenire di un'illusione - L'uomo Mosè
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Totem e tabù - L'avvenire di un'illusione - L'uomo Mosè

E altri scritti sulla religione

Sigmund Freud

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Totem e tabù - L'avvenire di un'illusione - L'uomo Mosè

E altri scritti sulla religione

Sigmund Freud

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Nel 1927, quando Freud pubblica L'avvenire di un'illusione, il mondo assiste attonito all'ennesimo scandalo della psicoanalisi. Dopo i sogni e la sessualità infantile, ora sono le credenze e le pratiche religiose a passare attraverso la lente deformante dei processi inconsci. E il risultato di questa lettura, straordinariamente rivoluzionario o colpevolmente dissacrante, non cessa, dopo quasi un secolo, di far discutere. Questo volume raccoglie tutti gli scritti di Freud esplicitamente dedicati al tema religioso, permettendoci di cogliere somiglianze inaspettate fra le pratiche primitive di Totem e tabù e il monoteismo giudaico dell'Uomo Mosè, alla scoperta di uno dei temi più complessi e scottanti del pensiero occidentale, non solo psicoanalitico.

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Information

Publisher
BUR
Year
2012
ISBN
9788858639221

INTRODUZIONE

L’ILLUSIONE RAGIONEVOLE E LAICA DELLA PSICOANALISI

Alberto Luchetti

«RELIGION DOOMED, FREUD ASSERTS. Says it is at point where it must give way before science. HIS FOLLOWERS CHAGRINED. Master psychoanalyst’s new book deplored for dissension it is expected to cause» (La religione è condannata, afferma Freud. Dice che è ormai giunto il momento in cui deve cedere il passo alla scienza. Disappunto tra i suoi seguaci. Il nuovo libro del maestro della psicoanalisi deplorato per il dissenso che ci si aspetta provocherà).
Così titolava il 27 dicembre 1927 il «New York Times», prontamente recensendo per i suoi lettori il nuovo libro di Freud pubblicato il mese precedente: Die Zukunft einer Illusion, riassumendone le conclusioni – un po’ troppo sommariamente e, a dire il vero, riduttivamente – nella «familiare asserzione secondo cui la scienza ha ragione e la religione torto». Con svariati refusi e imprecisioni, vi si sottolineava con enfasi un presunto imbarazzo della maggioranza degli psicoanalisti per il dissenso che lo scritto avrebbe sicuramente sollevato: a dire del «New York Times», imbarazzati erano sia gli psicoanalisti che professavano in qualche misura una fede religiosa e cercavano di coniugare religione e psicoanalisi, sia quelli che, pur non credenti, ritenevano che il volumetto, «riferendosi solo indirettamente alla psicoanalisi e non aggiungendovi nulla», avrebbe costituito un intralcio al progresso della disciplina. Tra gli uni e gli altri, aggiungeva il «New York Times», era «opinione quasi unanime che la controversia tra religione e scienza non avrebbe dovuto essere tirata in ballo». Ma Freud, intervistato dal corrispondente del giornale «sitting in his cozy study», nell’intimo e accogliente studio di Vienna, «non si scusa affatto».

Uno scandalo, ancora

Forse conviene partire proprio dal «chiasso»1 suscitato dalla pubblicazione: sembra proprio che, per quello che Freud sostiene circa la religione, accada quanto era avvenuto per la sua altrettanto tenace affermazione della centralità della sessualità non solo nella costituzione dell’apparato psichico dell’essere umano e nella patologia che ne deriva, ma anche nelle sue conquiste e produzioni più elevate: arte, morale, cultura, società, e ora per l’appunto religione. In entrambi i casi, il risultato della ricerca freudiana è uno scandalo, che questa volta ad alcuni risultava per di più gratuito o inutile. Effettivamente, perché cacciarsi in questo ginepraio? Sapendo peraltro, come afferma appunto ne L’avvenire di un’illusione, che «l’unica persona a cui questa pubblicazione può recar danno sono io stesso»?2
Già questa considerazione circa il parallelo scandalo creato da sessualità e religione, e la fermezza di Freud nel sostenere in entrambi i casi le proprie posizioni, dovrebbe suggerire cautela, mettendo in guardia dal relegare gli scritti freudiani su quest’ultimo argomento in un cassetto o perfino nell’armadio degli scheletri della psicoanalisi. Un confinamento che talvolta avviene esplicitamente, ma più spesso implicitamente, trascurandoli per disaffezione o etichettandoli come una delle cosiddette «applicazioni» della psicoanalisi – naturalmente dando al termine di «applicazione» per l’appunto il senso di un’area di interesse marginale, al limite fuori luogo, senza nemmeno tener conto che la psicoanalisi, in sé e per l’oggetto che prende in considerazione, è costitutivamente «fuori luogo» e «inattuale». Tanto più, comunque, ciò dovrebbe dissuadere dal disfarsene come del ghiribizzo di uno scienziato che, comme il faut, è inevitabilmente un po’ bizzarro e, con l’avanzare dell’età, pretenderebbe di mettere bocca su tutto e, per giunta, provocare intorno a cose delicate ed elevate che andrebbero invece tutelate.
Critiche che, come riporta Gay, effettivamente furono mosse a L’avvenire di un’illusione. Ad esempio, il rabbino riformista Nathan Krass a New York dichiarò: «In questo paese ci siamo abituati a prestare ascolto a uomini e donne che parlano di qualsiasi argomento solo perché hanno fatto qualcosa di notevole in qualche campo»; e, dopo Edison e Lindbergh, passò al nostro: «Tutti ammirano Freud, lo psicoanalista, ma questo non è un motivo che ci costringa a rispettare anche la sua teologia». Un commentatore sulla «Suddeutsche Monatshefte» includeva lo scritto freudiano nel «panmaialesimo» dell’epoca; Carl Christian Clemen, professore di etnologia a Bonn, criticava il pansessualismo psicoanalitico ora esteso alla religione e un altro professore tedesco, Emil Aberhalden, deplorava invece il fatto che un ebreo si azzardasse senza autorizzazione a giudicare la fede cristiana.3 Jones, biografo di Freud, elenca e classifica le tante critiche mosse: Freud si introdurrebbe illegittimamente in un campo di pensiero che non gli appartiene; si limiterebbe alle credenze dell’uomo comune e non alle emozioni religiose più profonde e rare sperimentate da mistici e santi; ridurrebbe la religione unicamente a fonti infantili.4 E anche il poeta Eliot lo trovò «uno strano libro» e sentenziò che il saggio freudiano aveva «poco a che fare con il passato e il presente della religione, e niente, per quanto lontano possa vedere, con il suo futuro».5
Ma, anche al di là del fatto che Freud mostri di tenervi particolarmente, i motivi per non disfarsi di questi scritti sono in realtà molteplici. Tra questi, innanzitutto il fatto che i testi esplicitamente dedicati al fenomeno religioso – qui integralmente raccolti –, contrariamente a quanto riportato dal «New York Times», sono in realtà testi pienamente psicoanalitici, innanzitutto perché vi sono trattati argomenti che hanno rilevanza specificamente teorica e clinica per la psicoanalisi. Ad esempio – come mostra, al solito con molta chiarezza, Laplanche – è possibile pensare la questione del lutto limitandosi al testo, sicuramente fondamentale, di Lutto e melanconia, senza prendere in considerazione Totem e tabù, dove è esplicitamente posta – circa il tabù dei morti – la questione dei limiti del lutto e di ciò che in esso è, per così dire, non metabolizzabile, intrattabile nonostante il poderoso e dolente lavoro che il lutto avvia? Analogamente, si può trattare della rimozione e del ritorno del rimosso senza tener conto anche de L’uomo Mosè e la religione monoteistica? Ma lo stesso avviene per diverse altre nozioni e concetti, come l’ambivalenza dei sentimenti, la proiezione, il periodo di latenza, l’identificazione e l’identificazione primaria, il rapporto fra agire e ricordare, l’Hilflosigkeit (cioè la condizione di «disaiuto» e inermità del neonato della nostra specie che tante conseguenze ha sul suo sviluppo psichico), l’oralità, l’ideale e l’idealizzazione, il senso di colpevolezza e via dicendo. Alcuni di essi, anzi, proprio in questi testi «religiosi» vengono per la prima volta pienamente delineati – è ad esempio il caso dell’ambivalenza – o vengono particolarmente sviluppati – come avviene per il senso di colpevolezza – o vengono trattati in maniera peculiare – come accade per la proiezione. Per non parlare ovviamente del complesso di Edipo, per la cui elaborazione e conoscenza questi scritti sono fondamentali.
Peraltro, questi testi sulla religione sono a pieno titolo psicoanalitici anche rispetto alle problematiche cosiddette tecniche e cliniche. È indubbiamente significativo che, appunto facendo riferimento alla problematica religiosa, Freud ne precisi una possibile deriva: alla «possibilità che la persona dell’analista sia collocata dall’ammalato al posto del suo ideale dell’Io [...] si connette per l’analista la tentazione di assumere verso il malato il ruolo del profeta, del salvatore d’anime, del redentore. Ma poiché le regole dell’analisi escludono decisamente una tale utilizzazione della personalità del medico, bisogna onestamente riconoscere che è posta qui una nuova limitazione all’efficacia dell’analisi: la quale non ha certo il compito di rendere impossibili le reazioni morbose, ma piuttosto quello di creare per l’Io del malato la libertà di optare per una soluzione o per l’altra».6
Più a monte, questi sulla religione sono scritti prettamente psicoanalitici anche nella misura in cui Freud mostra come non sia possibile pensare psicoanaliticamente l’individuo senza legarlo alla cultura e alla società entro cui e mediante cui appunto si umanizza, imponendo di pensarne l’originario – restando inteso che quest’ultimo non equivale a ciò che è temporalmente anteriore o precoce, ma a ciò che è a fondamento dell’essere umano dell’uomo e che, in quanto tale, continua a ritornare in ogni singola persona nella misura in cui questa può individualizzarsi, ossia riuscire a dire «io», reggendo quello che Gadda definiva «il più lurido di tutti i pronomi». La psicoanalisi, cioè, è altresì una antropologia: «Non nel senso dell’antropologia degli “antropologi” (più giustamente chiamata “etnologia”), ma nel senso che il termine assume ad esempio in Kant: un pensiero dei fondamenti più radicali dell’essere umano».7
In secondo luogo e reciprocamente, per le stesse ragioni non è possibile circoscrivere la tematica della religione ai testi qui proposti, che pure sono quelli che la affrontano esplicitamente. Essa si estende infatti, per così dire, nel tempo e nello spazio. Nel tempo, perché, come afferma Malamoud,8 privatamente dal 1897 e fino a L’uomo Mosè pubblicamente, «Freud continua a elaborare una teoria della religione, elemento centrale della sua teoria della civiltà». Nello spazio, perché è una problematica che compare esplicitamente in diversi altri scritti pubblici e privati – alcuni li indicheremo – e traspare ancora più capillarmente, perché inevitabilmente si intreccia con le investigazioni sull’arte e la creatività e, più ampiamente, sulle condizioni socio-culturali storiche ed evolutive nella cui cornice si costituisce originariamente l’apparato psichico, di quest’ultimo diventando inclusioni fossili della struttura o nuclei pulsanti e irritativi dell’attività, e quindi possibili premesse di patologie.

Ma torniamo a L’avvenire di un’illusione. Scritto per rimpinguare le casse già allo stremo dell’Internationale Psychoanalytischer Verlag, la casa editrice psicoanalitica fondata nel 1918 – ma questo ne è solo lo spunto occasionale, come vedremo, per far pendere la bilancia delle incertezze verso il «si stampi» – il centinaio di pagine di questo libretto forse riuscirà a ottenere qualche risultato al riguardo anche grazie alle polemiche sollevate, se a un anno di distanza ne sarà stampata una nuova edizione. Sempre un anno dopo, però, circa l’accoglienza, Freud dovette tuttavia contemporaneamente constatare: «Il mio Avvenire di un’illusione non mi ha procurato se non ripulse e spesso repliche indignate».9 Ma anche l’accoglienza dello stesso Freud, a dire il vero, era stata quanto meno incerta, quando non mutava in un franco rifiuto: «Ora già mi sembra puerile; in fondo penso altrimenti, considero questo lavoro fiacco dal punto di vista analitico e insufficiente come autopresentazione. Potrebbe servire a che il Verlag faccia un piccolo affare».10 Nello stesso mese, ad Eitingon, confida che «il contenuto analitico del lavoro è molto esile» e che sotto altri aspetti «non vale molto».11 Ancora più netto il rigetto rispondendo il 1° gennaio 1928 a René Laforgue, che si felicitava per il libro, sottolineandone il coraggio morale e il disprezzo delle illusioni: «Mi sembra comunque che lei sopravvaluti questo libretto veramente modesto. [...] Ma se è il mio libro peggiore! Non è un libro di Freud. È il libro di un vecchio. [...] Ho smarrito la mia forza di percussione [Durchlagskraft]».12 Una vera e propria «autoflagellazione»13 del tutto simmetrica al sentimento di non poter fare a meno di scriverlo che ne aveva accompagnato la redazione.
Se metteva in conto le critiche anche aspre che avrebbe ricevuto, non è in ogni caso vero, come affermato allora nel «New York Times», che Freud avesse scritto il suo libro «senza preoccuparsi delle opinioni dei suoi discepoli». Aveva infatti tenuto a darne notizia in anteprima al suo corrispondente svizzero Oskar Pfister, un pastore protestante con il quale rimase in amicizia per trent’anni e che, nonostante le divergenze proprio sulla questione dei rapporti tra psicoanalisi, religione e fede, egli aveva sostenuto nello sforzo di utilizzare il metodo psicoanalitico nella cura delle anime:
La psicoanalisi in se stessa non è né religiosa né irreligiosa, bensì uno strumento imparziale di cui può servirsi sia il religioso che il laico, purché venga usato unicamente per liberare l’uomo dalle sofferenze. Sono rimasto molto colpito nel rendermi conto che non avevo pensato all’aiuto straordinario che il metodo psicoanalitico può fornire alla cura delle anime, ma questo è certo successo perché un malvagio eretico come me è troppo lontano da questa sfera d’idee.14
A Pfister, per l’appunto, Freud il 16 ottobre 1927 confida le perplessità che aveva dovuto superare nel pubblicare infine L’avvenire di un’illusione:
Tra qualche settimana uscirà un mio opuscolo che La riguarda molto da vicino. Infatti avrei voluto scriverlo già da tempo, ma per rispetto a Lei l’ho rinviato, fin quando la spinta è diventata troppo forte. Il saggio ha per tema — facile indovinarlo — il mio atteggiamento di decisa ripulsa verso la religione, in ogni forma e sfumatura, e benché ciò non possa tornarLe nuovo, pure temevo, e temo ancora, che una tale confessione pubblica Le riesca dolorosa. Mi farà poi sapere in quale misura potrà ancora accordare comprensione e tolleranza all’inguaribile eretico.15
Ma il mese successivo gli preciserà:
Diamo per ammesso che le idee esposte nel mio saggio non rappresentino una parte integrante dell’edificio dottrinale analitico. Esse rispecchiano il mio atteggiamento personale; esso coincide con quello di molti che analisti non sono o non lo sono ancora, e certo non è condiviso da molti bravi analisti. Se io ho tratto dall’analisi certi argomenti, anzi a ben v...

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