Gesù di Nazaret - Dal battesimo alla Trasfigurazione
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Gesù di Nazaret - Dal battesimo alla Trasfigurazione

Joseph Ratzinger

  1. 433 pages
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Gesù di Nazaret - Dal battesimo alla Trasfigurazione

Joseph Ratzinger

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Ho voluto fare il tentativo di presentare il Gesù dei Vangeli come il Gesù reale, come il "Gesù storico" in senso vero e proprio. Io sono convinto che questa figura è molto più logica e comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. — BENEDETTO XVI Benedetto XVI affronta il mistero del figlio di dio con gli strumenti del grande teologo e il carisma del Pastore di popoli, percorrendone la vicenda dal Battesimo fino alla crocifissione e alla Trasfigurazione sul Monte Tabor. Al centro della ricostruzione c'è la figura storica del Messia, così come ci è tramandata da Vangeli e fonti alternative: una prospettiva che evidenzia la grandezza di Cristo, perché "proprio questo Gesù è storicamente sensato e convincente". Questo libro toccante – parte di un percorso che unisce esegesi biblica e incontro spirituale – ci regala preziosi spunti per comprendere ancora più a fondo la grandezza dirompente del Nazareno: la sua figura e le sue parole hanno superato radicalmente speranze e aspettative della sua epoca, e la sua umanità ha messo in discussione tutte le categorie disponibili, rendendosi comprensibile solo a partire dal miracolo di un dio che si è rivelato nel farsi completamente umano.

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Information

Publisher
BUR
Year
2011
ISBN
9788858615737
Gesù di Nazareth

PREMESSA

Al libro su Gesù, di cui ora presento al pubblico la prima parte, sono giunto dopo un lungo cammino interiore. Al tempo della mia giovinezza – negli anni Trenta e Quaranta – esisteva una serie di opere entusiasmanti su Gesù. Ricordo solo il nome di alcuni autori: Karl Adam, Romano Guardini, Franz Michel Willam, Giovanni Papini, Daniel-Rops. In tutte queste opere l’immagine di Gesù Cristo veniva delineata a partire dai Vangeli: come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola. Così, attraverso l’uomo Gesù, divenne visibile Dio e a partire da Dio si poté vedere l’immagine dell’autentico uomo.
A cominciare dagli anni Cinquanta la situazione cambiò. Lo strappo tra il «Gesù storico» e il «Cristo della fede» divenne sempre più ampio; l’uno si allontanò dall’altro a vista d’occhio. Ma che significato può avere la fede in Gesù il Cristo, in Gesù Figlio del Dio vivente, se poi l’uomo Gesù era così diverso da come lo presentano gli evangelisti e da come, partendo dai Vangeli, lo annuncia la Chiesa?
I progressi della ricerca storico-critica condussero a distinzioni sempre più sottili tra i diversi strati della tradizione. Dietro di essi, la figura di Gesù, su cui poggia la fede, divenne sempre più nebulosa, prese contorni sempre meno definiti. Nello stesso tempo le ricostruzioni di questo Gesù, che doveva essere cercato dietro le tradizioni degli evangelisti e le loro fonti, divennero sempre più contrastanti: dal rivoluzionario anti-romano che mira al rovesciamento dei poteri esistenti e naturalmente fallisce, al mite moralista che tutto permette e inspiegabilmente finisce per causare la propria rovina. Chi legge di seguito un certo numero di queste ricostruzioni può subito constatare che esse sono molto più fotografie degli autori e dei loro ideali che non la messa a nudo di una icona fattasi sbiadita. In conseguenza di ciò nel frattempo è sì cresciuta la diffidenza nei confronti di tali immagini di Gesù; la figura stessa di Gesù, tuttavia, si è allontanata ancora più da noi.
Come risultato comune di tutti questi tentativi è rimasta l’impressione che, comunque, sappiamo ben poco di certo su Gesù e che solo in seguito la fede nella sua divinità abbia plasmato la sua immagine. Questa impressione, nel frattempo, è penetrata profondamente nella coscienza comune della cristianità. Una simile situazione è drammatica per la fede perché rende incerto il suo autentico punto di riferimento: l’intima amicizia con Gesù, da cui tutto dipende, minaccia di annaspare nel vuoto.
Rudolf Schnackenburg, forse il più importante esegeta cattolico di lingua tedesca della seconda metà del XX secolo, nei suoi ultimi anni avvertiva evidentemente con forza il pericolo che da tale situazione derivava per la fede, e di fronte all’inadeguatezza di tutte le immagini «storiche» di Gesù, nel frattempo elaborate dall’esegesi, si sottopose allo sforzo di portare a termine un’ultima grande opera: Die Person Jesu Christ im Spiegel der vier Evangelien (La persona di Gesù Cristo nei quattro Vangeli). Il libro vuole porsi al servizio dei credenti «resi oggi incerti dalla ricerca scientifica [...] perché conservino la fede nella persona di Gesù Cristo, portatore della salvezza e redentore del mondo» (p. 6). Alla fine del libro, quale risultato di una ricerca durata una vita, Schnackenburg afferma: «Mediante gli sforzi della ricerca coi metodi storico-critici non si riesce o si riesce solo in misura insufficiente a raggiungere una visione affidabile della figura storica di Gesù di Nazaret» (p. 348); «lo sforzo della ricerca esegetica di individuare queste tradizioni e di ricondurle a quel che è storicamente degno di fede [...] ci impegna in una discussione continua e senza fine della storia delle tradizioni e delle redazioni» (p. 349).
Le costrizioni del metodo, che egli ritiene vincolante e al tempo stesso insufficiente, fanno sì che nella sua stessa presentazione della figura di Gesù persista un certo dissidio: Schnackenburg ci mostra sì l’immagine di Cristo dei Vangeli, ma la vede formata da svariati strati di tradizione sovrapposti, attraverso i quali si può solo scorgere da lontano il «vero» Gesù. «Il fondamento storico è presupposto, ma viene oltrepassato nella visione di fede degli evangelisti», scrive (p. 353). Ora, nessuno mette in dubbio questa affermazione, ma rimane incerto fin dove arrivi il «fondamento storico». Schnackenburg, tuttavia, ha posto in chiaro come dato veramente storico il punto decisivo: l’essere relativo a Dio di Gesù e la sua unione con Lui (p. 353). «Senza il radicamento in Dio la persona di Gesù rimane fuggevole, irreale e inspiegabile» (p. 354). Questo è anche il punto di appoggio su cui si basa questo mio libro: considera Gesù a partire dalla sua comunione con il Padre. Questo è il vero centro della sua personalità. Senza questa comunione non si può capire niente e partendo da essa Egli si fa presente a noi anche oggi.
Naturalmente, nella concreta descrizione della figura di Gesù ho cercato con decisione di andare oltre Schnackenburg. L’elemento problematico della sua definizione del rapporto tra le tradizioni e la storia realmente accaduta appare, a mio avviso, con molta chiarezza nella frase: I Vangeli «vogliono per così dire rivestire di carne il misterioso Figlio di Dio apparso sulla terra» (p. 354). Faccio osservare al riguardo: non avevano bisogno di «rivestirlo» di carne, Egli si era davvero fatto carne. Ma questa carne la si riesce a trovare attraverso la giungla delle tradizioni?
Nella premessa al suo volume Schnackenburg ci dice di sentirsi vincolato al metodo storico-critico, al cui utilizzo nella teologia cattolica aprì nel 1943 le porte l’Enciclica Divino afflante Spiritu (p. 9). Quell’Enciclica fu davvero un’importante pietra miliare per l’esegesi cattolica. Da allora tuttavia il dibattito sui metodi ha fatto ulteriori passi sia dentro la Chiesa cattolica come fuori di essa; si sono sviluppate nuove essenziali visioni metodologiche – sia quanto al lavoro rigorosamente storico come tale, sia quanto alla collaborazione di teologia e metodo storico nell’interpretazione della Sacra Scrittura. Un decisivo passo in avanti venne compiuto dalla Costituzione conciliare Dei Verbum sulla Divina Rivelazione. Altre importanti prospettive maturate nell’ambito dell’affannosa ricerca esegetica offrono inoltre due documenti della Pontificia Commissione Biblica: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa (Città del Vaticano, 1993) e Il popolo ebraico e le sue sacre Scritture nella Bibbia cristiana (Città del Vaticano, 2001).
Desidero accennare almeno a grandi linee agli orientamenti metodologici che risultano da questi due documenti e che mi hanno guidato nell’elaborazione del mio libro. Va detto innanzitutto che il metodo storico – proprio per l’intrinseca natura della teologia e della fede – è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico. Per la fede biblica, infatti, è fondamentale il riferimento a eventi storici reali. Essa non racconta leggende come simboli di verità che vanno al di là della storia, ma si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra. Il factum historicum per essa non è una chiave simbolica che si può sostituire, bensì fondamento costitutivo: Et incarnatus est – con queste parole noi professiamo l’effettivo ingresso di Dio nella storia reale.
Se mettiamo da parte questa storia, la fede cristiana in quanto tale viene eliminata e trasformata in un’altra religione. Se dunque la storia, la fatticità, in questo senso appartiene essenzialmente alla fede cristiana, quest’ultima deve esporsi al metodo storico. È la fede stessa che lo esige. La ricordata Costituzione conciliare sulla Divina Rivelazione lo afferma molto chiaramente al numero 12, indicando anche singoli concreti elementi metodologici da tenere presenti nell’interpretazione della Scrittura. Molto più esauriente è il documento della Pontificia Commissione Biblica sull’interpretazione della Bibbia nella Chiesa, nel capitolo Metodi e approcci per l’interpretazione.
Il metodo storico-critico – ripetiamolo – resta indispensabile a partire dalla struttura della fede cristiana. Dobbiamo tuttavia aggiungere due considerazioni: il metodo storico-critico è una delle dimensioni fondamentali dell’esegesi, ma non esaurisce il compito dell’interpretazione per chi nei testi biblici vede l’unica Sacra Scrittura e la crede ispirata da Dio. Dovremo ancora ritornare su questo punto in modo più dettagliato.
Per il momento – è la seconda considerazione – è importante che vengano riconosciuti i limiti dello stesso metodo storico-critico. Il primo limite, per chi si sente oggi interpellato dalla Bibbia, consiste nel fatto che, di sua natura, esso deve lasciare la parola nel passato. In quanto metodo storico, esso per i diversi eventi ricerca il contesto dell’epoca passata, in cui si sono formati i testi. Cerca di conoscere e capire nel modo più preciso il passato – così com’era in se stesso – per scoprire così anche ciò che l’autore in quel momento, nel contesto del suo pensiero e degli eventi, poté e voll...

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