Storie - La guerra del Peloponneso
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Storie - La guerra del Peloponneso

Erodoto, Tucidide

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Erodoto, Tucidide

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La nostra civiltà è nata in Grecia. Leggere le opere di Erodoto e Tucidide significa risalire alle origini della cultura occidentale, ripercorrere le tappe dell'evoluzione di concetti come città, politica, democrazia; ma significa anche contemplare la parabola di una nazione che, piccola e divisa, riuscì a sconfiggere il più potente impero dell'epoca e, divenuta ricca e potente, finì con l'annientare un'intera generazione in una disastrosa guerra fratricida. Le Storie di Erodoto (485-425 a.C. ca.) fanno rivivere il fascino del favoloso Oriente, l'eterno mistero dell'Egitto e la grandiosa saga delle guerre persiane, attraverso pagine indimenticabili che rievocano l'epopea dei Trecento di Leonida alle Termopili, l'empia arroganza del re persiano Serse, l'audacia di Temistocle a Salamina. Raccontando la guerra del Peloponneso che, cinquant'anni dopo le guerre persiane, spaccò a metà il mondo greco, Tucidide (460-400 a.C. ca.) si interrogò sui meccanismi che muovono la storia, sulla moralità del potere, sulla giustizia dei forti e la giustizia dei deboli: questioni sempre attuali perché, "essendo la natura umana quel che è, torneranno prima o poi a ripetersi con modalità simili". Il saggio introduttivo di Domenico Musti, scritto appositamente per questa edizione, traccia un profi lo della storiografi a greca e analizza i princìpi e i criteri ideologici delle opere qui presentate.

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Information

Publisher
BUR
Year
2013
ISBN
9788858657881
Topic
History
Index
History

ERODOTO

STORIE
L’impero Medo e i regni di Lidia e Cilicia
L’impero Medo e i regni di Lidia e Cilicia

PROEMIO

Questa è l’esposizione delle ricerche di Erodoto di Alicarnasso1 perché le imprese degli uomini col tempo non siano dimenticate, né le gesta grandi e meravigliose così dei Greci come dei Barbari2 rimangano senza gloria, e inoltre per mostrare per qual motivo vennero a guerra fra loro.

1 La tradizione manoscritta è concorde nel riportare la lezione «alicarnasseo»; Erodoto nacque infatti in Caria, ad Alicarnasso (odierna Bodrum), colonia di origine dorica situata sulle coste dell’Asia Minore, di fronte all’isola di Cos. Questa lezione corrisponde quindi alla realtà storica, ma un passo di Aristotele e un frammento di Duride di Samo ci attestano che alla fine del IV secolo a.C. almeno in alcuni manoscritti era presente l’aggettivo «turio» anziché «alicarnasseo». Erodoto infatti, dopo un soggiorno ad Atene, emigrò a Turi, la colonia panellenica sorta per volere di Pericle sulle rovine di Sibari nel 444/3 a.C., e lì secondo la tradizione sarebbe morto. Plutarco ci testimonia che ai suoi tempi entrambe le lezioni erano in circolazione.
2 Il termine «barbari» indica tutti coloro che non parlano greco; in questo caso Medi, Persiani e gli altri popoli asiatici.

LIBRO PRIMO

1. I dotti Persiani sostengono che responsabili della discordia furono i Fenici: infatti questi, dopo esser giunti dal mare chiamato Eritreo a questo mare3 ed essersi stanziati in quella regione che ancor oggi abitano, subito si diedero a lunghi viaggi per mare, e trasportando mercanzie egiziane e assire giunsero, fra gli altri paesi, anche ad Argo,4 [2] che in quel periodo era la più importante di tutte le città della regione ora chiamata Grecia. Giunti dunque ad Argo misero in vendita la merce. [3] Ma al quinto o sesto giorno dal loro arrivo, quando avevano già venduto quasi tutto, si recarono sulla riva del mare molte donne, fra cui anche la figlia del re, che, secondo quanto dicono anche i Greci, aveva nome Io,5 figlia di Inaco. [4] Esse, fermatesi presso la poppa della nave, acquistavano quelle merci che erano loro più gradite, quando i Fenici, incitatisi l’un l’altro, si lanciarono su di loro. La maggior parte riuscì a fuggire, ma Io insieme con altre fu rapita; i Fenici, imbarcatele sulla nave, salparono per l’Egitto.
2. I Persiani narrano che Io giunse in Egitto così, e non come sostengono i Greci e che questo costituì l’inizio delle offese. Dicono pure che in seguito alcuni Greci, di cui non sono in grado di riferire il nome, approdati a Tiro in Fenicia rapirono la figlia del re, Europa – e questi potrebbero essere stati Cretesi.6 A questo punto la partita era pari, ma successivamente i Greci si resero responsabili della seconda offesa. [2] Infatti, approdati con una nave da guerra a Ea in Colchide7 e al fiume Fasi, di là, dopo aver sbrigati tutti gli altri affari per cui erano andati, rapirono Medea, la figlia del re. [3] Questi mandò in Grecia un araldo per chiedere soddisfazione del ratto e la restituzione della figlia, ma quelli risposero che, come i Fenici non avevano fatto ammenda del ratto di Io argiva, così neppure essi avrebbero dato soddisfazione.
3. Narrano poi che nella generazione successiva8 Alessandro figlio di Priamo,9 avendo udito parlare di questi fatti, volle procurarsi con un rapimento una donna greca, ben sapendo che non avrebbe dovuto renderne conto, dato che neppure quelli l’avevano fatto. [2] Così dunque egli rapì Elena e i Greci decisero anzitutto di mandare messaggeri per reclamare la donna e chiedere soddisfazione del rapimento. Ma a queste proposte i Troiani rinfacciarono loro il ratto di Medea e il fatto che pretendessero soddisfazione dagli altri senza averla data e senza aver restituito ciò che veniva loro richiesto.
4. Fino a questo momento c’erano stati fra di loro solo dei rapimenti, da allora in poi invece i Greci si resero gravemente colpevoli. Essi infatti cominciarono a portar guerra agli Asiatici prima che quelli la portassero in Europa. [2] Ora, il rapire donne è considerata azione da malfattori, ma il darsi cura di vendicarle è azione da dissennati, mentre da saggi è il non preoccuparsene, perché è chiaro che se non avessero voluto non sarebbero state rapite. [3] Orbene, dicono i Persiani che loro, gli abitanti dell’Asia, non fecero alcun caso alle donne rapite, mentre i Greci per una donna spartana radunarono una grande flotta e poi, giunti in Asia, abbatterono la potenza di Priamo. [4] Da allora essi considerarono sempre ciò che era greco come loro nemico. Infatti i Persiani considerano come loro proprietà l’Asia e le genti barbare che vi abitano, mentre ritengono che stiano a sé l’Europa e la Grecia.
5. I Persiani affermano che così andarono le cose, e trovano che nella presa di Troia sta l’origine della loro ostilità verso i Greci. [2] Per quanto riguarda Io, i Fenici non sono d’accordo con i Persiani; affermano infatti che non furono loro che, ricorrendo al ratto, la portarono in Egitto, ma che ad Argo essa ebbe una relazione con il comandante della nave, e che quando si accorse di essere incinta, vergognandosi dei genitori, essa stessa di sua volontà si imbarcò insieme coi Fenici per non essere scoperta. [3] Questo dunque narrano Persiani e Fenici. Io per parte mia non starò a discutere se questi fatti si siano svolti così o in altra maniera, ma, dopo aver segnalato colui che a quanto io so personalmente fu il primo10 a dare inizio ad azioni offensive contro i Greci, andrò avanti nel mio racconto, trattando ugualmente delle piccole e delle grandi città degli uomini. [4] Perché quelle che in passato furono grandi per la maggior parte sono divenute piccole, e quelle che ai miei tempi erano grandi un tempo erano state piccole. Ben sapendo dunque che la fortuna umana non resta mai ferma nello stesso luogo, delle une e delle altre farò ugualmente menzione.
6. Creso era di stirpe lidia, figlio di Aliatte e re dei popoli al di qua del fiume Halys,11 il quale, scorrendo da sud attraverso la Siria12 e la Paflagonia, sfocia verso nord nel mare chiamato Eusino.13 [2] Questo Creso, primo dei barbari di cui noi abbiamo notizia, costrinse al pagamento di un tributo alcuni dei Greci, altri se li fece amici. Assoggettò gli Ioni e gli Eoli e i Dori d’Asia, si fece invece amici i Lacedemoni. [3] Prima del regno di Creso tutti i Greci erano liberi, poiché la spedizione dei Cimmerii,14 che raggiunse la Ionia e che fu anteriore a Creso, non rappresentò un assoggettamento delle città, ma si esaurì in scorrerie e saccheggi.
7. Il potere che apparteneva agli Eraclidi passò alla stirpe di Creso, detta dei Mermnadi, nel modo seguente. [2] Era re di Sardi15 Candaule,16 che i Greci chiamano Mirsilo, discendente da Alceo figlio di Eracle. Agrone figlio di Nino figlio di Belo figlio di Alceo primo fra gli Eraclidi fu re di Sardi, mentre Candaule figlio di Mirso fu l’ultimo. [3] Quelli che prima di Agrone avevano signoreggiato questa terra erano discendenti di Lido figlio di Atys, dal quale prese il nome tutto il popolo di Lidia, detto prima Meonio. [4] Gli Eraclidi, a cui dagli Attiadi era stato affidato il potere, se ne impadronirono in seguito a un oracolo, essi che discendevano da una schiava di Iardano e da Eracle, e regnarono per ventidue generazioni di uomini durante 505 anni,17 tramandandosi il potere di padre in figlio, fino a Candaule figlio di Mirso.
8. Orbene, questo Candaule era innamorato della sua sposa e, innamorato com’era, riteneva di possedere la donna di molto più bella di tutte. Poiché aveva questa opinione e fra le guardie del corpo Gige figlio di Daskylos era a lui particolarmente caro, Candaule gli confidava anche i più importanti dei suoi affari, e gli parlò perfino della bellezza della moglie, lodandola oltre misura. [2] Trascorso non molto tempo, poiché era destino che a Candaule capitasse qualche sciagura, fece a Gige questo discorso: «Gige, io penso che tu non mi presti fede quando ti parlo delle bellezze della mia sposa, ché per gli uomini è più facile credere agli occhi che agli orecchi. Fa’ dunque modo di vederla nuda». [3] Ma quello replicò con voce concitata: «Signore, qual mai insano discorso tu fai, invitandomi a contemplare la mia sovrana nuda? Con lo spogliarsi delle vesti la donna si spoglia anche del pudore. [4] Da molto tempo gli uomini hanno trovato buoni precetti, dai quali bisogna imparare: e uno di essi è questo, che ognuno abbia cura delle cose sue. Io sono persuaso che la regina sia la più bella di tutte le donne, e ti prego di non chiedermi cose che son contro ogni legge».
9. Egli dunque così dicendo si schermiva, temendo gliene potesse venire qualche male. Ma l’altro rispose: «Rassicurati, Gige, e non temere né di me, che io ti faccia qualche proposta per metterti alla prova, né di mia moglie, che tu riceva da lei qualche danno, perché farò in modo che essa non sappia neppure di essere stata vista da te. [2] Io ti collocherò nella camera in cui dormiamo, dietro la porta lasciata aperta; dopo che io sarò entrato, subito anche la mia sposa verrà a coricarsi. Accanto all’ingresso c’è uno sgabello: su questo essa riporrà le vesti, spogliandosene a una a una, e con tutta calma tu potrai contemplarla. [3] Poi, quando si dirigerà dallo sgabello verso il letto, e tu verrai a trovarti alle sue spalle, fai attenzione allora che essa non ti veda mentre esci dalla porta».
10. Gige allora, dal momento che non poteva esimersi, era pronto a ubbidire. Candaule, quando gli parve che fosse l’ora di coricarsi, lo condusse nella camera, e poi subito comparve anche la moglie: e mentre essa, entrata, deponeva gli abiti, Gige la osservava. [2] Quando poi si trovò alle spalle della donna che si dirigeva verso il letto, di soppiatto uscì fuori. La donna lo scorse mentre usciva, ma, avendo compreso ciò che il marito aveva fatto, non gridò di vergogna, e fece finta di non essersi accorta di nulla, avendo in mente di vendicarsi di Candaule. [3] Presso i Lidi infatti, come in genere anche presso gli altri barbari, è causa di grande disonore, pure per un uomo, l’esser visto nudo.
11. Per il momento dunque la regina se ne stette tranquilla, senza far mostra di nulla. Ma, appena venne il giorno, avvertiti quei servi che vedeva esserle più fedeli, mandò a chiamare Gige. Quello, credendo che non sapesse nulla dell’accaduto, accolse l’invito, ché anche prima soleva fare visita alla sovrana, quando ella lo chiamava. Ma, appena Gige fu giunto, la donna gli disse: [2] «Ora, di due strade che ti son dinanzi, Gige, ti lascio scegliere per quale tu voglia dirigerti: o, ucciso Candaule, ti prendi me e il regno di Lidia o conviene che subito tu stesso muoia, affinché per l’avvenire tu non abbia a vedere, obbedendo in tutto a Candaule, ciò che non devi vedere. [3] Orsù dunque, bisogna che perisca o lui, che ha ordito questo tranello, o tu, che mi hai vista nuda e hai commesso un’azione non lecita». Gige dapprima rimase sbalordito a questo discorso, ma poi la supplicò di non costringerlo a fare una simile scelta. [4] Non riuscì però a persuaderla, e si vide realmente nella necessità o di uccidere il suo signore, o di perire egli stesso per mano altrui: scelse di sopravvivere e le domandò: «Poiché mi costringi a uccidere il mio signore contro la mia volontà, suvvia, ch’io sappia in che modo lo assaliremo». [5] La regina rispose: «L’attacco avverrà dallo stesso luogo da cui lui mostrò me nuda, e lo assalirai mentre dorme».
12. Così tramarono l’insidia, e venuta la notte, Gige – poiché non veniva lasciato libero né aveva alcuna via di scampo, ma era necessario che o lui perisse o Candaule – seguì nel talamo la donna che, datogli un pugnale, lo nascose dietro la stessa porta. [2] E poi, mentre Candaule dormiva, Gige uscì dal nascondiglio, lo uccise ed ebbe la donna18 e il regno. Di lui fa menzione in un trimetro giambico anche Archiloco di Paro,19 vissuto nella stessa epoca.
13. Gige ebbe dunque il regno che gli fu confermato dall’oracolo di Delfi. Infatti, poiché i Lidi erano sdegnati per l’uccisione di Candaule ed erano in armi, i partigiani di Gige e gli altri Lidi convennero che, se l’oracolo lo avesse designato a essere re dei Lidi, egli avrebbe regnato, se no, avrebbe restituito il potere agli Eraclidi. [2] L’oracolo lo designò, e così Gige divenne re. Ma la Pizia20 predisse che gli Eraclidi avrebbero avuto vendetta nel quarto discendente di Gige. Di questo responso sia i Lidi che i loro re non fecero alcun conto prima che si avverasse.
14. Così dunque ebbero il regno i Mermnadi, avendone privato gli Eraclidi, e Gige, divenuto re, mandò a Delfi doni votivi, non pochi, anzi, la maggior parte dei doni votivi in argento che sono a Delfi sono suoi, e oltre all’argento consacrò oggetti d’oro in grandissima quantità e fra gli altri – cosa particolarmente degna di ricordo – furono da lui dedicati sei crateri21 d’oro. [2] Questi si trovano nel tesoro22 dei Corinzi e hanno un peso di 30 talenti,23 a dire il vero poi il tesoro non è del popolo corinzio ma di Cipselo,24 figlio di Eezione. Questo Gige dunque, primo dei barbari di cui abbiamo conoscenza, dedicò a Delfi doni votivi dopo Mida figlio di Gordio, re di Frigia. [3] Anche Mida infatti offrì il mirabile trono reale che si trova dove sono i crateri di Gige. Quest’oro e l’argento offerti da Gige sono chiamati dai Delfi Gigadi, dal nome del dedicante. [4] Anche Gige dunque, dopo che fu divenuto re, invase il territorio di Mileto e di Smirne e prese la città di Colofone. Ma, poiché nessun altro fatto notevole avvenne durante i 38 anni del suo regno, lo lasceremo da parte, dopo averlo così ricordato.
15. Menzionerò invece Ardys figlio di Gige, il quale regnò dopo di lui e occupò Priene e invase il territorio di Mileto; mentre egli regnava su Sardi i Cimmerii, scacciati dalle loro sedi dagli Sciti nomadi, giunsero nell’Asia e occuparono Sardi, tranne l’acropoli.
16. Ad Ardys, che regnò 49 anni, successe Sadiatte figlio di Ardys e regnò 12 anni, e a Sadiatte Aliatte. [2] Questi guerreggiò contro Ciassare discendente di Deioce e contro i Medi, scacciò i Cimmerii dall’Asia, conquistò Smirne, che era stata colonizzata dai Colofoni, e invase il territorio di Clazomene. Ma da questa si ritirò non come desiderava, ma dopo essere stato gravemente sconfitto.
17. Durante il suo regno compì queste altre imprese degne di ricordo: combatté contro i Milesi, continuando la guerra che aveva ereditato dal padre. Assalendo Mileto, condusse l’assedio nel modo seguente: quando nei campi il raccolto era maturo, allora faceva avanzare l’esercito e marciava al suono di zampogne e di cetre e di flauti acuti e gravi. [2] Come giungeva nel territorio di Mileto, non abbatteva le case di campagna, né le incendiava, né ne forzava le porte, ma lasciava il paese tranquillo; dopo aver invece distrutto gli alberi e i frutti della terra se ne tornava indietro. [3] I Milesi erano infatti padroni del mare, sicché non era di alcuna utilità un assedio da parte dell’esercito. Il re lidio non distruggeva le case, perché i Milesi avessero dei luoghi donde poter muovere a seminare e a lavorare la terra e così, grazie al loro lavoro, egli a sua volta avess...

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