1
«Per arrivare al papa, occorrerà sfruttare i nostri contatti nella Curia» disse sua madre.
Lorenzo l’ascoltava con attenzione, anche se le dava le spalle, intento com’era ad accarezzare gli anelli d’ottone di cui era costituita la sfera armillare che troneggiava nella sala riunioni.
Diede una lieve spinta a uno dei cerchi e l’ingranaggio cominciò a farli ruotare attorno ai rispettivi assi, generando una serie ipnotica di rivoluzioni e incroci.
«Per mettere in moto tutto dobbiamo far leva su qualcuno che abbia una forte influenza sul pontefice» replicò, «qualcuno che abbia la possibilità di convincere il papa a prorogare la restituzione del suo prestito…»
«A questo penserò io» lo rassicurò sua madre. «Ho già scritto a Carlo de’ Medici…»
Lorenzo si voltò, annuendo. Si era dimenticato che il suo zio illegittimo era membro della Curia Papale.
«Ottima idea, madre! Non vi sfugge niente…»
Lei sorrise.
«Ma papa Paolo è molto malato» continuò Lorenzo. «Occorrerà agire tempestivamente.»
«Ho già dato disposizioni per partire il prima possibile per Roma.»
Toccò a Lorenzo, ora, sorridere.
Sua madre si alzò e, con una rispettosa riverenza che lo disorientò, si congedò, uscendo dalla stanza.
Lorenzo, rimasto solo, si allontanò dalla sfera armillare e si accostò alla vetrata, riflettendo.
Da diversi giorni ormai il cielo lasciava cadere una neve soffice quanto tenace, che s’attaccava a tetti, cornicioni, marcapiani, stemmi e grottesche e lì permaneva, gonfiandosi sempre più come a voler ricoprire il passato per far posto a un futuro ancora tutto da scrivere, proprio come una immensa pagina bianca.
Lorenzo ne era affascinato. Dall’altra parte della strada, la neve aveva ricamato di bianco le volute eleganti della grata che proteggeva la finestra della camera di suo padre, dal cui interno proveniva il bagliore del camino. Distolse lo sguardo, combattendo il rimorso e il dispiacere.
Ricordava ancora perfettamente la reazione di suo padre, quando gli aveva rivelato di aver fermato Sforza, usurpando il suo posto a capo della famiglia. Le parole del loro dialogo riecheggiavano ancora nella sua testa.
«Era l’unico modo per fermare il duca e salvare la città, padre…»
«Opponendoti a me!»
«Volevo solo preservare la Firenze che avete faticato tanto a costruire.»
«Non cercare di blandirmi con le parole, Lorenzo. Tuo nonno ti ha sempre preferito a me, anche quando eri bambino. Questo ti ha reso arrogante.»
«Padre, vi prego…! Ho guadagnato tempo per la banca, per voi!»
«Tu mi hai distrutto! E i debiti della banca non sono cancellati! Sei solo un ragazzo… ci sono così tante cose che non capisci. I Pazzi coglieranno l’occasione per rubarci il conto del papa e governare Firenze una volta per tutte.»
«Sono certo che ci proveranno, ma io li fermerò: vi do la mia parola!»
«Hai ottenuto il potere tradendo il tuo stesso padre… c’è una macchia sul tuo nome.»
«E allora la toglierò. Lavorerò duramente. Onorerò la nostra famiglia e voi. Agirò bene, padre, avete la mia parola.»
«Vattene, Lorenzo. Lasciami solo. Il mio tempo è finito e presto lo sarà anche la mia vita.»
«È permesso, messere?» la voce di Angelo Tani lo riportò alla realtà, ricordandogli l’infinità di impegni amministrativi che per lui, ormai, erano all’ordine del giorno.
Lorenzo guardò verso la porta e vide il fiduciario della filiale inglese fare capolino dalla soglia.
«Angelo, ben arrivato! Volevo giusto complimentarmi con voi. Venite, accompagnatemi: devo sbrigare alcune faccende in banca. Parleremo lungo il tragitto.»
Mentre usciva dalla sala riunioni e si dirigeva verso il suo studio, Lorenzo sbirciò attraverso le vetrate del palazzo il lento planare dei grandi fiocchi simili a petali di giglio.
«A Londra avete fatto un lavoro magnifico» disse ad Angelo Tani. Il fiduciario lo seguiva da presso nonostante il peso notevole dei grossi libri contabili che reggeva impilati gli uni sugli altri e l’andatura sostenuta a cui lo costringeva Lorenzo. «La nostra sede londinese è salva contro ogni previsione!»
Tani mormorò un ringraziamento lusingato da dietro la colonna di libri, che vacillò pericolosamente. Con un abile gioco di gambe, il fiduciario riuscì a mantenerla in equilibrio, anche se qualche foglietto di appunti svolazzò via.
«Messer Lorenzo!»
La figura ricurva del vecchio Nori emerse da un ufficio e gli si avvicinò con un plico di documenti. Si accostarono a una finestra all’imbocco della scalinata e Lorenzo cominciò a firmare una serie di notule.
Era talmente impegnato nel decifrare quei dannati papiri che solo dopo qualche minuto si accorse della figura di Poliziano, in piedi sotto di lui, a metà delle scale.
«Amico mio!» lo salutò Lorenzo, riconsegnando penna e calamaio a Nori. Qualche goccia di inchiostro schizzò i documenti, ma non si poteva avere tutto nella vita.
«Lorenzo, questa sera abbiamo organizzato una festa. Ci saranno saltimbanchi e giocolieri, tre nuove cortigiane e, tra gli invitati, anche Marsilio Ficino, che vuole leggervi i primi brani della sua Theologia neoplatonica, dedicata a voi!» Si aggiustò gli occhiali. «Non potete mancare!»
Lorenzo rimase a fissarlo per qualche istante. Per un attimo il tempo si fermò. Lorenzo immaginò di gettare per la tromba della scalinata tutti i documenti che aveva appena firmato, saltare una rampa di gradini con un unico balzo, correre con l’amico fuori e scoprire che quell’inverno appena iniziato era invece una primavera senza fine.
Sentì l’angolo della bocca guizzare in un mezzo sorriso amaro.
«Vi ringrazio, Poliziano, ma… credo mi sarà impossibile partecipare. Divertitevi anche per me e ringraziate il caro Marsilio. Questa sera sarò impegnato. Ma spero di liberarmi presto.»
Si riavviò lungo il corridoio a passo spedito.
«Ma è quello che dite ogni sera da più di tre mesi!» disse la voce delusa di Poliziano.
Aveva avuto ragione suo padre. La giovinezza era un periodo meraviglioso quanto fugace.
Come un refolo di primavera nel cuore dell’inverno.
2
«La moglie di Piero de’ Medici è partita per Roma» disse Francesco, in piedi accanto alla poltrona in cui era sprofondato Jacopo, con gli occhi chiusi.
Dalla parte opposta, anche Guglielmo sedeva di fronte al camino.
Davanti a loro, un enorme fuoco ruggiva come l’inferno.
Nel giro di pochi giorni il gelo e la neve avevano ghermito Firenze come un incantesimo crudele.
«Era la loro unica possibilità» rispose infine lo zio Jacopo. «Giocarsi i contatti nobiliari di Lucrezia con gli ambienti ecclesiastici romani.»
«Ma cosa sperano di ottenere?» domandò Francesco.
«Una proroga sulla restituzione dei soldi del papa che Piero ha dilapidato come un idiota, che altro?»
«E la otterranno?» domandò Guglielmo.
Lo zio emise un grugnito.
«Lorenzo è intelligente… e ha un carisma notevole. Avete visto come ha approfittato della crisi causata da suo padre e come ha sedotto i priori… Costringendo persino me e quella carogna di Nardi a votare per la sua elezione.» Scosse il capo. «È troppo pericoloso. Dobbiamo fare il possibile per intralciarlo.»
«D’accordo, Lorenzo è abile» convenne Francesco, «ma è ancora un ragazzo: non ha esperienza.» Cominciava a infervorarsi. «Questo è il suo punto debole che vi permetterà di sconfiggerlo, zio!»
«Sconfiggerlo…» disse Guglielmo. «È davvero necessario?»
Francesco lo fissò. Lentamente, anche lo zio voltò la testa verso di lui.
«Nostro padre credeva nella possibilità di una Firenze unita» continuò Guglielmo. «Credeva…»
«Tuo padre è morto» lo bloccò lo zio. «Ora comando io la nostra banca, Guglielmo. E la nostra famiglia. Ciò che avvantaggia un concorrente, porta svantaggio a noi. La nostra è una famiglia di cavalieri, fedeli alla Chiesa e alla Repubblica. I Medici sono lanaioli arricchiti, dediti alla blasfemia. La nostra non è solo una rivalità tra famiglie, ma una guerra tra il bene e il male. Ricordalo bene.»
Francesco lanciò un’occhiata al ritratto di sua zia sopra al camino, illuminato dal riverbero delle fiamme. Anche lei non aveva esitato a sacrificarsi, per il bene… non era così?
Ricordare il ritiro in convento della zia gli fece venire un’idea.
«Nostro cugino Salviati fa parte della Curia…» disse.
«Sulle questioni di soldi» replicò lo zio, tornando a chiudere gli occhi, «non prendono decisioni né il Tesoriere Generale, né l’Auditor Camerae, né il collegio dei chierici: è solo e soltanto il papa.»
«Sì, ma non sottovalutate Salviati. Il modo in cui è riuscito a fare carriera in amb...