Chi è fascista
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Chi è fascista

Emilio Gentile

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Chi è fascista

Emilio Gentile

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Chi e cosa è fascista oggi? Stiamo assistendo al ritorno del fascismo? La nostra democrazia è in pericolo?

Disprezzo della democrazia parlamentare, appello alla piazza, ricerca dell'?uomo forte', primato della sovranità nazionale, ostilità verso i migranti. Emilio Gentile, uno dei maggiori storici del Ventennio e della cultura fascista, non tralascia alcuno dei punti intorno ai quali ci si interroga oggi, non soltanto nel nostro paese, per analizzare il presunto 'ritorno' del fascismo.Guido Caldiron, "il manifesto"

All'inizio del XXI secolo, trapassato il comunismo, disperso il socialismo, rarefatto il liberalismo, il fascismo avrebbe oggi una straordinaria rivincita sui nemici che lo avevano sconfitto nel 1945. Ma cos'è fascismo? Si sta ripetendo aggiornato e mascherato? Oppure il 'pericolo fascista' distrae dalle cause vere della crisi democratica?

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Information

Year
2022
ISBN
9788858148716

1.
Il fascismo non è mai esistito

Vorrei proseguire con una domanda provocatoria, ma so che a te le domande provocatorie non piacciono e pertanto...
Non mi piacciono, è vero. E non mi piacciono perché, quando si discute, chi provoca, per usare la definizione lessicale della parola, vuole «spingere a un sentimento negativo o a un comportamento aggressivo», oppure «comportarsi con qualcuno in modo offensivo, irritante, ostile, allo scopo o con il risultato di suscitare in lui una violenta reazione». Lo scopo di un dialogo come questo è soltanto la conoscenza e la comprensione dei fatti, e soprattutto dei fatti storici, che sono di per sé fonte di controversie, specialmente se l’oggetto della discussione è un fenomeno molto complesso come il fascismo, al quale si attribuisce addirittura l’eternità, sia pure in senso metaforico. Dunque, in un dialogo dove è doveroso l’esercizio di una razionalità critica, associata indissolubilmente alla probità intellettuale, la provocazione è sempre una ridicola perdita di tempo.
...e, pertanto, cancello la parola “provocatoria” e ti ripropongo la domanda pacatamente. Nel tuo libro Fascismo. Storia e interpretazione, l’introduzione ha un titolo che a me – e scusa se torno ad usare la parola che hai appena detto di detestare – sembra evidentemente provocatorio: È esistito il fascismo? E per giunta, come se non bastasse questa provocazione – accidenti, l’ho usata di nuovo! –, dopo il titolo hai aggiunto un esergo nel quale, fingendo di attribuirlo a un anonimo del XXI secolo, rispondi: «Forse il fascismo non è mai esistito». Se questa non è una provocazione – e siamo a tre! – allora io non so cosa vuol dire provocare. A me sembra proprio che, senza nominarla, tu intendevi polemizzare provocatoriamente – e siamo a quattro! – contro la tesi del “fascismo eterno”.
Con il titolo del capitolo e con l’esergo non avevo preso di mira la tesi del “fascismo eterno”, ma quella che nel libro da te citato chiamo la “defascistizzazione del fascismo”, che, precedendola di molti anni, ha smentito in anticipo non solo la tesi dell’eterno ritorno del fascismo, ma anche tutti i ripetuti allarmi per la sua periodica riapparizione sotto le più varie spoglie, perché non può periodicamente ritornare ciò che non è mai esistito. Negare l’esistenza del fascismo significa negargli tutti gli attributi che storicamente gli sono appartenuti, e che lo hanno caratterizzato come un nuovo fenomeno politico, come partito, come ideologia, come regime di Stato; quel che resta è soltanto un vocabolo che può significare tutto e niente. Sarebbe come se, per esempio, dal comunismo sovietico eliminassimo il bolscevismo, dal bolscevismo eliminassimo il partito come avanguardia di rivoluzionari di professione, oppure dal nazionalsocialismo eliminassimo l’antisemitismo e il razzismo.
Ma stai facendo delle ipotesi campate in aria, perché a nessuno verrebbe in mente di sostenere che il nazionalsocialismo non fu antisemita e razzista, o che il comunismo sovietico non fu bolscevico.
Già. Eppure queste ipotesi campate in aria, come tu le chiami, sono state concretamente applicate per oltre settanta anni, ancora prima della fine, al fascismo. E qualcuno si ostina ad applicarle ancora oggi, pretendendo di aver fatto una scoperta sconvolgente, per sostenere che non ci furono un’ideologia e una cultura fascista, non ci fu uno Stato fascista, non ci fu una classe dirigente fascista, e neppure un regime totalitario fascista. E non ci furono nemmeno i fascisti, perché non furono fasciste le masse italiane, e non fu veramente fascista neppure gran parte degli uomini che parteciparono alla nascita del Partito fascista, alla conquista del potere, alla costruzione del regime totalitario e alla sua gestione sotto il dominio di Mussolini.
Privato dei suoi attributi storici, il fascismo è stato rappresentato a lungo, e tuttora capita di vederlo rappresentato dagli astoriologi che scrivono di fascismo, come un’opera buffa, una vicenda complessivamente grottesca, salvo qualche degenerazione tragica come le violenze squadriste, l’assassinio di Matteotti, le leggi razziste e l’antisemitismo. Tutta l’esperienza del ventennio fascista è stata così ridotta a una grottesca farsa di simulazione collettiva, una recita alla quale gli italiani si sarebbero dedicati per due decenni, accettando la personale dittatura di un duce istrionico e gradasso, spaccone e fanfarone.
Ma stai celiando?
Niente affatto. Sono serio, serissimo. Come è doveroso esserlo, quando si tratta della storia in generale, e della storia del fascismo in particolare, che è di estrema gravità, altrimenti non staremmo qui a discuterne. Qualche astoriologo, che scrive storie del fascismo composte di aneddoti e battute, mi ha persino accusato – per lui sarebbe un’accusa, per me è un complimento – di prendere il fascismo sul serio. Ora, la defascistizzazione del fascismo ha avuto origine proprio dalla mancanza di serietà, da parte degli stessi antifascisti che lo avevano sconfitto nel 1945, nell’affrontare il problema del fascismo dopo la sua fine. Ed è proseguita fino ai giorni nostri, fino agli attuali esercizi ludici per giocare a smascherare chi è fascista oggi, anche se non si dichiara tale.
Puoi spiegare meglio cosa intendi per “defascistizzazione del fascismo” e perché paradossalmente affermi che il fascismo non è mai esistito?
Rispondo prima alla seconda domanda, citandoti una curiosa coincidenza. Alcuni anni dopo aver pubblicato il libro che tu hai citato, un mio collega mi regalò un libretto, pubblicato a Roma nel 1944, intitolato Tra il fascio littorio e la bandiera rossa. Note e commenti di un venduto, dove il primo capitolo si intitola: Il Fascismo non è mai esistito, con la precisazione che si trattava di un articolo uscito su un giornale clandestino il 15 marzo 1944.
L’anonimo autore esordiva osservando che un «uomo di poca fede potrà dubitare che sia mai esistito Gesù Cristo, ma nessuno dubiterà mai dell’esistenza del Cristianesimo. Invece per il fascismo succede precisamente il contrario. È esistito l’inventore del fascismo: Mussolini; ma il fascismo non è mai esistito». E le prove che l’anonimo adduceva erano i venti anni di fascismo «dominati dalla più spudorata contraddizione e dalla più grossolana incompetenza» di una «sfacciata tirannide appoggiata sulle baionette della milizia pretoriana, ma più ancora sopra il consenso interessato di migliaia di individui, grandi e piccoli, che, incapaci ed improduttivi, avevano trovato una gratuita mangiatoia ed una sistemazione dignitosa della loro inutile vita». E le prove sulla inesistenza del fascismo proseguivano: «Non è esistita nessuna dottrina fascista. Ma è esistita invece una colossale parata carnevalesca di formalità e di riti, tratti da tradizioni di popoli e di epoche fra loro disparatissime». Per concludere che, se non era esistito il fascismo, era però «esistito il foro Mussolini e l’obelisco Mussolini [...]. Soprattutto è esistito Mussolini, il Dio in terra. [...] È esistito il Duce, il Nume, l’Idolo di cartapesta, ma non è esistita la Patria. Parole e vento!».
Credo che sia stato necessario fare questa lunga citazione, perché ci sono stati e ci sono tuttora storici, filosofi, studiosi e pubblicisti d’ogni orientamento che hanno riproposto le stesse tesi dell’anonimo “venduto”, sia pure con argomenti talvolta più sofisticati: per esempio, hanno affermato che il fascismo non aveva un’ideologia; che non aveva costruito un regime totalitario e neppure veramente fascista, perché era fascista solo nella facciata e totalitario solo nel nome; mentre altri hanno sostenuto che tutto il fascismo si riduceva al “mussolinismo”.
Ma non puoi negare che senza Mussolini non ci sarebbe stato il fascismo, e che per milioni di italiani, oltre che di stranieri, il fascismo effettivamente si identificava con la onnipresente, ingombrante, dominante persona del duce, come ha sostenuto Piero Melograni, uno storico al quale so che eri legato da stima e amicizia.
Ho spesso discusso con il compianto amico Melograni, del quale molto apprezzavo opere come Storia politica della Grande Guerra e Gli industriali e Mussolini, la sua tesi che riduceva il fascismo al mussolinismo, perché non mi ha mai convinto. Certo, l’identificazione del fascismo con la persona di Mussolini è stata e rimane l’immagine più comune del ventennio fascista e la più diffusa. Si tratta, del resto, di una immagine che lo stesso fascismo alimentava, intensificava, propagandava in forme quasi parossistiche. E che Mussolini sia stato una componente originaria, fondamentale, dominante nella storia del fascismo è un’innegabile evidenza. Ma il rapporto fra Mussolini e il fascismo non è mai stato caratterizzato da una sorta di identificazione, nella quale Mussolini riassorbiva in sé tutto il fascismo. Il fascismo fu movimento, partito, regime molto complesso nel suo svolgimento storico. Dal punto di vista organizzativo, culturale e istituzionale, il fascismo era la risultante di molte componenti, che in Mussolini avevano, per così dire, la loro sintesi, ma senza esaurirsi nella sua persona. Con una immagine, potremmo dire che il mussolinismo era come il mozzo di una ruota, che per muoversi ha bisogno dei raggi e del cerchione. Altrimenti, il mozzo gira a vuoto.
Quali altri aspetti ha avuto la “defascistizzazione del fascismo”?
Beh, in parte penso di averti già spiegato cosa significhi. La defascistizzazione del fascismo coincide per molti aspetti con la sua banalizzazione, forse l’aspetto più grave, che per alcuni decenni ha favorito, e tuttora favorisce, l’astoriologia rispetto alla storiografia. Cito come esempio – ma è un esempio importante – la tendenza diffusa, anche in opere storiche apprezzabili, a svuotare il fascismo degli stessi fascisti, cioè a sostenere, contro le prove più evidenti e incontrovertibili, che la maggior parte dei militanti nel Partito fascista, di coloro che come fascisti occuparono posti di potere nel regime e nello Stato fascista; e persino i fascisti più eminenti, che del fascismo furono gli artefici e i protagonisti per un ventennio, nel partito, nel regime, nello Stato, nella cultura, in realtà non erano veramente fascisti. Come non lo erano le masse di italiani e italiane di ogni età irreggimentate nelle organizzazioni del partito, né le folle oceaniche che acclamavano il duce in piazza Venezia e nelle piazze di gran parte delle città italiane. E neppure sarebbero state veramente fasciste le numerose schiere di intellettuali, filosofi, giuristi, economisti, scienziati, storici, tecnici, artisti, architetti che diedero la loro collaborazione alla elaborazione e alla realizzazione di leggi, istituti, opere che esaltavano il fascismo e celebravano il duce.
Così, personaggi di primo piano del fascismo, presenti ai vertici del regime durante tutto il ventennio, come Luigi Federzoni, Giuseppe Bottai, Dino Grandi, Italo Balbo, nonostante il loro coinvolgimento in tutte le decisioni e azioni del fascismo, sempre ligi e obbedienti agli ordini del duce, in realtà sarebbero stati dissidenti, eretici, disobbedienti, liberali, se non addirittura intimamente avversari del regime e di Mussolini, come qualcuno di essi ha rivelato in memorie redatte dopo la fine del fascismo.
Insomma, tutti simulatori di fascismo?
Così sarebbe, se fossero sincere le loro testimonianze e rivelazioni postume della loro intima dissidenza. Ma non lo sono, perché smentite da tutta la documentazione esistente sui loro pensieri e sui loro comportamenti pubblicamente manifestati durante il ventennio, come ho dimostrato nel libro 25 luglio 1943. Né appare persuasiva, alla luce dei documenti, l’altra postuma giustificazione, addotta da molti gerarchi, di aver celato la loro intima dissidenza, senza mai mostrarla apertamente: simulando sempre d’essere fascisti fedeli e devoti al duce, essi poterono lavorare mettendo a disposizione le loro competenze per il bene e la grandezza dell’Italia. Ma sarebbe un’altra forma di defascistizzazione del fascismo, alla quale anche valenti studiosi hanno dato credito.

2.
Fascista: a chi?

Insomma, tu non credi che il fascismo possa ritornare. Però io replico con una domanda quasi ovvia: allora perché si sente così spesso parlare di fascisti, come se fossero presenti sempre e ovunque, nei più vari momenti, nei più diversi paesi del mondo? Se scorro le cronache degli ultimi sette decenni, dalla fine del fascismo come partito e come regime, la parola “fascista”, forse più che la stessa parola “fascismo”, ricorre frequentemente, come a rivelare un fenomeno perenne e onnipresente.
Perenne e onnipresente? Sembrerebbe di sì. Anche se la domanda ricorrente «chi è fascista?» in realtà è più frequente in certi periodi, e meno in altri. La sua frequenza, nel corso degli ultimi cento anni, è stata come un’onda lessicale, che si alza e si abbassa, talvolta alta e densa, talvolta bassa e debole, ma che ritorna continuam...

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