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La trappola delle culle
Perché non fare figli è un problema per l'Italia e come uscirne
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La trappola delle culle
Perché non fare figli è un problema per l'Italia e come uscirne
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Nel 2021 in Italia sono nati 399.000 bambini contro i 740.000 nati in Francia. Gli italiani fanno meno figli, ma soprattutto – a causa del crollo delle nascite nei decenni scorsi – sono pochi i genitori potenziali. Siamo finiti nella "trappola demografica", una spirale distruttiva che porta con sé un'economia più debole, imprese poco innovative, pensioni insostenibili, scuole chiuse e territori desertificati. In una parola, il declino. Questo libro prova a spiegare cosa è successo al nostro Paese e propone nove azioni per invertire la tendenza e tornare a investire sul futuro.
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Information
1. La natalità. Come buttare via la nostra ricchezza: gli italiani
Il 1964, nel ricordo dei molti che lo hanno vissuto, è stato un anno felice. Il 20 aprile la Ferrero vende il primo barattolo di Nutella, prodotto alimentare figlio dell’industria, che diventerà un simbolo di tante cose: della genialità dell’imprenditoria italiana; dei nostri sapori ormai pronti a invadere il mondo, ma anche di un’Italia che sta entrando a pieno titolo nella civiltà dei consumi[1]. In estate, alle Olimpiadi di Tokyo, la squadra italiana si piazza quinta nel medagliere mondiale, a un passo dal bottino di ori dei giochi di Roma 1960. Un segno di stabilità competitiva ad alto livello. Del resto, il Paese sta inanellando una strepitosa serie di primati mondiali: dopo aver inaugurato la prima centrale nucleare europea a Borgo Sabotino, a dicembre è la terza nazione, in scia a urss e usa, a spedire un satellite nello spazio, il San Marco; nelle stesse settimane all’Olivetti di Ivrea prende la sua forma definitiva “Programma 101”, il calcolatore da tavolo con stampante incorporata che per molti è il primo personal computer della Storia. L’Italia vive con un misto di dinamismo e disuguaglianze una “fase magica”, ovvero quel momento particolare in cui una società giovane, e quindi libera da pesanti spese per previdenza e salute, passa dall’agricoltura a basso valore aggiunto al benessere garantito dalla produzione industriale. A fine anno, il pil mette a segno una crescita del 4% e poco importa che gli annali statistici segnalino un primo rallentamento del miracolo economico che poi, a distanza di anni, sarà identificato da qualche storico addirittura con la sua fine. Sul fronte politico, il neonato centro-sinistra inciampa sui finanziamenti alla scuola privata, ma la crisi estiva che ne deriva non allarma nessuno. Intanto dall’altra parte dell’oceano, a Berkeley, sta già iniziando a soffiare il vento della contestazione: in Europa e in Italia ne arriva un’eco debole e distante, il Sessantotto è vicino e al tempo stesso lontano.
Nell’aria si respira un senso di attesa, l’idea (o la speranza) che le cose migliori debbano ancora venire. Ma in realtà il 1964 è come un momento di cesura, uno spartiacque tra due periodi della nostra storia recente: qualcosa finisce e qualcosa sta per iniziare, anche se non se ne percepiscono i contorni.
Certo è che proprio in quell’anno – la coincidenza fa riflettere – si invertono due indicatori strategici: da una parte il debito pubblico italiano raggiunge il suo punto più basso in rapporto al pil, appena il 27,7%, e da allora inizierà a lievitare fino a condizionare l’intera vita del Paese (oggi siamo oltre il 150); dall’altra il nostro boom demografico tocca il picco massimo con oltre un milione di bambini venuti al mondo in tutta la penisola, per poi imboccare il bivio di una lenta quanto inesorabile rarefazione di culle e passeggini.
Ecco, i bambini. Visto con gli occhi di oggi, il 1964 è una specie di paradiso perduto della natalità, un El Dorado che sarà impossibile riconquistare.
Il numero magico
Per circa un secolo, la storia demografica del nostro Paese ha oscillato proprio intorno al numero magico di 1 milione di nascite. Dal 1881 in avanti, con l’eccezione della prima guerra mondiale, questa soglia è stata regolarmente superata fino a tutti gli anni Venti: quindi nel corso di quel decennio si materializza una frenata che spinge Benito Mussolini a correre ai ripari, all’inizio senza particolari risultati. Un timido recupero c’è solo alla vigilia del secondo conflitto mondiale, anche a seguito di misure più drastiche, puntigliosamente distribuite dal regime fascista su tutte le categorie sociali (dall’aumento delle tasse sui celibi, agli aiuti alle famiglie numerose, fino alle facilitazioni per i viaggi di nozze dei carabinieri). Dopo la guerra, il numero dei nati tocca ancora le sette cifre tra il 1946 e il 1948: un evidente rimbalzo rispetto al pesante calo del periodo bellico, seguito da alcuni anni di stasi. La natalità riprende quindi a galoppare a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, nel passaggio dalla fase della ricostruzione a quella del boom economico. Al rotondo milione di bambini che vengono alla luce nel 1964, corrisponde un altrettanto vistoso 20 per mille del tasso di natalità (ovvero il numero di nati ogni mille residenti) e uno strabiliante 2,7 del tasso di fecondità totale (tft), cioè il numero medio di figli per donna. L’età media al primo parto è di 25 anni e mezzo.
Teniamole a mente queste cifre ormai sbiadite dal tempo: ci sono utili come un “punto nave” sulla mappa demografica, per capire dove siamo finiti. Il confronto è sconsolante: il numero dei nati, che già nel 2015 era sceso sotto il mezzo milione, è precipitato ancora finendo sotto quota 400mila nel 2021. Nascono poco più di un terzo dei bambini del 1964, con la differenza che allora eravamo 51 milioni, mentre oggi la popolazione italiana sfiora i 59. E infatti, il tasso di natalità è crollato sotto quota 7 per mille, il livello più basso in Europa, e appena un terzo di quello del ’64. È salita, invece, oltre i 31 anni l’età media del primo parto.
Quanto al numero medio di figli per donna, siamo scesi nel 2021 a 1,25: meno della metà del livello del 1964 e soprattutto un valore drasticamente al di sotto di quel 2,1 che è considerato dalla scienza demografica il minimo per mantenere in equilibrio una popolazione, in assenza di fattori esterni come le migrazioni. Il presidente dell’istat Gian Carlo Blangiardo, che di mestiere fa proprio il professore di demografia, ha dato un’idea approssimata ma intuitiva della drammaticità di questi numeri proponendo una banale moltiplicazione: un flusso di 400mila nascite all’anno moltiplicato per una sopravvivenza media di 80 anni – in linea con quella attuale – vuol dire a parità di altre condizioni arrivare a fine secolo a una popolazione di 32 milioni di abitanti (400.000 x 80 = 32.000.000). Circa la metà – la metà! – di quanti siamo oggi. È uno scenario, come si è detto, volutamente ipersemplificato. Ma nemmeno troppo lontano dalle previsioni dell’onu, che ci assegnano per il 2100 poco meno di 40 milioni di residenti.
Caduta in due tempi: 1965-1995 e 2008-2021
Come siamo finiti in questo pantano? Sono due le tappe della nostra corsa verso il basso: una più lunga, più o meno trentennale dalla metà degli anni Sessanta fino alla metà dei Novanta, l’altra – come vedremo – iniziata nel 2008 e ancora in corso. La prima tappa ha inizio nel 1965 quando il numero di nati supera ancora, di poco, il milione: ma anche se nessuno lo sa, il calo è già cominciato. Seguiamolo da vicino. La discesa è dolce per quasi un decennio: nel 1974 siamo a poco meno di 870mila nati, ovvero 16 ogni mille abitanti. Da qui in avanti il crollo si fa vertiginoso: nei sei anni successivi il numero assoluto delle nascite diminuisce a un ritmo medio del 5% l’anno, arrivando nel 1980 a 640mila, e le culle scendono sotto le 12 per mille residenti. La tendenza negativa continua negli anni Ottanta anche se in modo appena meno vistoso. Si lascia alle spalle un debolissimo tentativo di rimbalzo alla fine del decennio e prosegue in discesa scivolando nel 1995 a sole 526mila nascite, poco più di 9 ogni mille abitanti.
Fermiamoci qui per un momento, e riprendiamo fiato. Il dato più importante da fissare è quello del numero medio di figli per donna, precipitato a 1,19: valore che è tuttora il minimo storico italiano. Può servire per farci capire, almeno a spanne, cosa si nasconde dietro al grande crollo demografico. Certo, il Paese non è più quello povero e ancora contadino uscito dalla guerra. La società della fine del secolo scorso è irriconoscibile rispetto a quella dei decenni precedenti e il più grande cambiamento (pur se ancora incompiuto) riguarda le donne, non più imprigionate solo nel ruolo di mogli e madri. Anche se la fase più impetuosa del calo delle nascite coincide con gli anni della crisi economica degli anni Settanta, il fattore nuovo e decisivo che stravolge la demografia italiana è una libertà importantissima conquistata dagli italiani, ma soprattutto dalle italiane: la possibilità di decidere se e quando avere figli.
La pillola (che fa capolino nel 1967 ma viene definitivamente sdoganata nel 1976) e i due referendum sul divorzio (1974) e sull’aborto (1978) cambiano l’idea stessa di famiglia, di paternità e di maternità. Le donne prendono coscienza e avviano un processo di emancipazione personale e collettiva; nello stesso tempo provano con fatica ad avanzare nel mondo del lavoro, in un periodo storico in cui la cura dei figli è ancora quasi esclusivamente a loro carico. L’essere genitori diventa un elemento meno centrale nei progetti di vita.
In Italia matura così un fenomeno demografico particolare: mentre aumenta la popolazione complessiva, compreso il numero delle donne in età feconda e dunque potenzialmente madri, la natalità si sgonfia. A crollare in modo più netto è il numero dei figli successivi al secondo, mentre per il primo la riduzione è intorno al 40%. In sintesi: si formano meno famiglie e, quelle che ci sono, sono meno numerose.
Dopo il 1995 però, alle soglie dell’era di Internet e con il Paese ancora sospeso tra prima e seconda Repubblica, qualcosa sembra cambiare. Le nascite ripartono, prima quasi impercettibilmente poi in modo più chiaro, fino al 2008 quando se ne registrano quasi 577mila. In termini assoluti è il numero più alto dal 1988; colpisce soprattutto l’inversione di tendenza del tasso di fecondità, che risale a quota 1,44. Sembra proprio che sia tornata un po’ di voglia di essere genitori.
Questa fugace “ripresina” della natalità viene attribuita dai demografi a due fattori: il più importante è il contributo crescente della popolazione straniera, che è passata dalle circa 350mila persone del 1991 a 4 milioni nel 2011. Gli immigrati, oltre a rappresentare una quota via via più consistente dei residenti complessivi, portano con sé soprattutto un’età media più giovane e “comportamenti riproduttivi” (per usare il termine tecnico) più simili a quelli degli italiani dei decenni passati che a quelli dei contemporanei. I bambini nati da entrambi i genitori stranieri sono quasi 34mila nel 2002, il 6% del totale, ma la percentuale sale rapidamente per stabilizzarsi a ridosso del 15%, livello mantenuto fino a oggi: a un certo punto anche gli stranieri iniziano a fare un po’ meno figli, ma il calo di quelli nati da coppie italiane è molto più rapido. Nel frattempo, una buona spinta alla natalità complessiva è venuta anche dalle unioni in cui solo il papà o solo la mamma sono stranieri: aggiungendo anche queste nel conto, la percentuale di bambini nati con almeno un genitore non italiano si colloca tuttora al di sopra del 20%. Più di uno su cinque. La differenza di comportamento tra le due componenti della popolazione si coglie al volo, confrontando il numero medio di figli per donna, che nel 2008 è quasi doppio per le straniere rispetto alle italiane (2,53 contro 1,33): un divario destinato ad assottigliarsi nel tempo, pur restando molto consistente.
Il secondo elemento che ha aiutato a riguadagnare un po’ di nascite all’inizio di questo secolo è stata la scelta di vita fatta da una discreta fetta di italiane non più giovanissime, insieme ai loro mariti o compagni: quella di avere figli in età più matura. L’aumento dell’età media al parto è uno dei sintomi del malessere demografico italiano (anche su questo abbiamo il record europeo) ma in quella particolare fase, a cavallo del nuovo secolo, evidenzia anche un certo recupero della voglia di maternità.
Il 2008 però non è un anno qualsiasi. Esplode infatti a livello mondiale una crisi finanziaria e poi economica senza precedenti, che nel nostro Paese è destinata a durare ben sei anni. Insieme al pil, torna ad avere il segno negativo anche la variazione delle nascite. E così la ripresina delle culle finisce in archivio: entriamo nella seconda tappa della spirale demografica negativa, quella in cui annaspiamo tuttora.
La velocità della caduta fa impressione e si avvicina a tratti a quella registrata a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, anche se con una differenza significativa: stavolta a venir meno sono soprattutto i primi figli. Per decisione consapevole o per altre mille ragioni, molte donne e molti uomini rinunciano all’esperienza di essere genitori. Il totale delle nascite si riduce di quasi 75mila unità tra il 2008 e il 2014, per sprofondare l’anno successivo ...
Table of contents
- Cover
- Sinossi
- Collana
- Frontespizio
- Colophon
- Ringraziamenti
- Introduzione
- Prima parte L’analisi
- 1. La natalità. Come buttare via la nostra ricchezza: gli italiani
- 2. L’invecchiamento. Un popolo a rovescio: 100 neonati per 170 settantenni
- 3. Lo spopolamento. Aiuto, mi si è ristretta l’Italia
- 4. Gli estremi. Sardegna e Alto Adige, inferno e paradiso delle culle
- 5. Le pensioni e il debito. Chi ci manterrà? I giovani come Gondrano: «Lavorerò di più»
- 6. Il mondo. Una bomba demografica minaccia il globo. Anzi due
- Seconda parte Le azioni
- Nove azioni per tornare a galla: “Quota 500mila” obiettivo per l’Italia
- 1. Il linguaggio pubblico. I figli come bene comune: trovare le parole per dirlo
- 2. Il linguaggio privato. Riscoprire il desiderio di tenere in braccio i bambini
- 3. Lo Stato. Soldi alle famiglie: tanti, facili e subito
- 4. Il lavoro/1. Genitori cercasi, ma a tempo indeterminato
- 5. Il lavoro/2. Assumere più donne per avere più figli
- 6. La parità. In maternità mandiamoci gli uomini
- 7. Le aziende. Un bollino blu per papà e mamme felici
- 8. L’immigrazione. Il booster degli stranieri: programmare è meglio che subire
- 9. Adozioni, procreazione assistita e altro. Oltre la famiglia, muovere tutte le leve per risollevare l’Italia