Gioco e fuorigioco: le grandi svolte nella storia del giornalismo
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Gioco e fuorigioco: le grandi svolte nella storia del giornalismo

Massimo Ferrari

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Gioco e fuorigioco: le grandi svolte nella storia del giornalismo

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Nel mio precedente lavoro, intitolato Le regole del gioco, ho cercato di delineare lo sviluppo storico delle norme che hanno regolamentato lo svolgimento dell'attività giornalistica, con particolare riferimento a quanto è avvenuto in Italia e in Europa. A spingermi a compiere quel lavoro il forte dibattito, sviluppatosi tra la seconda metà degli anni novanta e l'inizio del XXI secolo, proprio sul tema della libertà di stampa e la regolamentazione della professione giornalistica.
Oggi, giunti ormai al 2010, mentre non si è ancora completamente chiuso il dibattito su quell'argomento, reso ancor più complesso dall'ormai incipente fenomeno della globalizzazione, ho sentito forte il bisogno di ritornare ad analizzare come sia venuto evolvendosi il fenomeno giornalistico tout court per comprenderne le linee maestre di crescita e sviluppo. Non mancando certo le fonti autorevoli per avviare una simile riflessione, ho deciso di servirmene per svolgere una revisione critica del fenomeno, giungendo alla conclusione che in effetti nel Grande Gioco della comunicazione giornalistica i progressi sono stati quasi sempre appannaggio di chi ha voluto rompere le regole tradizionali per battere nuovi settori informativi, o creare nuovi metodi comunicativi delle notizie o sottoporre il mondo del giornalismo a modifiche tanto profonde da apparire rivoluzionarie. Insomma, in una parola, chi ha voluto andare fuori gioco, o mettere fuori gioco i concorrenti, per innovare il settore.
Viviamo un momento molto difficile per il giornalismo, non solo italiano: il numero degli addetti aumenta in modo esponenziale, la loro preparazione media è sicuramente migliore di quanto non avvenisse sino a pochi anni fa, ma i giovani faticano a trovare una sistemazione sicura, quasi che una buona qualificazione di base fosse un ostacolo. D'altra parte però si stanno aprendo formidabili orizzonti comunicativi legati allo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, oggi sempre più spesso chiamate piattaforme comunicative. Facendo storia del giornalismo si ragiona per lo più in termini di carta stampata, ma ormai radio, televisione, web e telefonia cellulare stanno soppiantando i giornali tradizionali. E del resto il giornalista si deve sempre più spesso trasformare da testimone dei fatti in conduttore o intrattenitore, visto che trionfa la informazione-spettacolo. Tutto questo ci interroga sul futuro di questo lavoro tanto affascinante da apparire quasi un gioco, ma nel quale le modificazioni sono tanto frequenti e a volte cruciali da apparire, appunto quasi dei fuori gioco. Massimo Ferrari (Dall'Introduzione dell'Autore)

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Información

Año
2014
ISBN
9788867804597

Il giornalista Mussolini uccide la libertà di stampa

In Italia la conclusione della Grande guerra se da un lato rappresentò la fine di una periodo di enormi dolori, sacrifici e perdite umane, dall’altro ne aprì uno nuovo carico di incognite, problemi e incertezze, oltre che di violenze. Contadini ed operai scampati al conflitto erano tornati a casa scoprendo che nessuna delle promesse fatte loro dopo Caporetto per indurli a reagire al nemico sarebbe stata soddisfatta. In un periodo caratterizzato dalla difficile conversione da un’economia di guerra a quella di pace tornava a riaffacciarsi l’endemico problema della disoccupazione e dello sfruttamento selvaggio, con la differenza, rispetto al passato, che l’esempio di mutamento politico che veniva dalla rivoluzione russa agiva da potente fattore di spinta per promuovere nuovi assetti della società, più favorevoli al proletariato.
A questo clima di grandi attese va ricondotto il cosiddetto biennio rosso del 1919-20 e soprattutto la nutrita serie di scioperi e proteste di piazza culminate nella occupazione delle fabbriche attuata dalle organizzazioni sindacali che avevano armato e inquadrato gli operai. Il clima di scontro ben presto non coinvolse solo le istituzioni dello stato ma anche quella parte della media e piccola borghesia che era tornata dalla guerra frustrata per non aver ottenuto la piena soddisfazione di tutte le proprie aspirazioni. Specialmente i nazionalisti protestavano per l’insoddisfacente andamento delle trattative alla conferenza di pace di Parigi. Non tardò così a formarsi il cosiddetto mito della vittoria mutilitata, perché l’Italia non riusciva ad ottenere dagli altri alleati vincitori la soddisfazione di quelle aspettative territoriali, specie verso i Balcani e l’area adriatica, che erano state il motivo centrale della discesa in campo con Francia, Russia e Inghilterra. La questione della frontiera orientale ebbe il suo momento di maggior clamore con l’occupazione di Fiume da parte di Gabriele D’Annunzio e dei suoi miliziani nel 1919: per seguirlo si sviluppò persino una sorta di ribellione allo stato di alcuni reparti militari del Regio esercito. Poi agiva forte la paura del bolscevismo, come si diceva allora, e del rischio che si sviluppasse anche qui una rivolta come quella russa, con tutte le conseguenze sanguinarie del caso.
In un clima reso incandescente da una direzione politica poco rigida, nacquero nuove, significative formazioni politiche. La prima, nel 1919, fu il Partito Popolare di ispirazione cattolica, voluto da don Luigi Sturzo, l’altro il Partito Comunista di Amedeo Bordiga e Antonio Gramsci, sorto da una scissione sviluppatasi al Congresso di Livorno del Partito socialista il 21 gennaio 1921.
Sul fronte opposto la novità maggiore fu la creazione dei fasci di combattimento a Milano ad opera di Benito Mussolini nel marzo del 1919. Tutti questi esponenti politici di primo piano avevano svolto attività giornalistica: anche Gramsci, che a Torino si era rivelato pure un validissimo critico teatrale. Ma tra tutti il giornalista più noto era Benito Mussolini, che aveva diretto il prestigioso quotidiano socialista Avanti! per poi fondare, come abbiamo visto, un proprio giornale: Il Popolo d’Italia. Nato a Dovia di Predappio il 29 luglio 1883, figlio di un fabbro e di una maestra elementare, dopo una tumultuosa carriera scolastica riesce a conseguire la licenza magistrale ma dopo grandi difficoltà nel trovare un lavoro stabile come insegnante, è costretto ad emigrare nel 1902 in Svizzera: infatti avendo aderito al Partito socialista diventa renitente alla leva e per non finire in carcere fugge a Losanna e qui s’iscrive al sinddacato muratori e manovali, di cui poi diventa ben presto segretario, e pubblica il suo primo articolo su L’Avvenire del lavoratore. Arrestato e poi espulso dalla Svizzera come agitatore sociale, nel 1904 inizia l’attività organica di giornalista, ollaborando con periodici locali d’ispirazione socialista tra cui il Proletario. Nel novembre 1904, Mussolini torna in Italia. e deve svolgere il servizio militare di leva e una volta congedato rientra a Dovia di Predappio il 4 settembre 1906. Poco dopo si reca ad insegnare in Friuli, a Tolmezzo. Nel novembre del 1907 ottiene l’abilitazione all’insegnamento della lingua francese e, nel marzo 1908, l’incarico come professore di francese in una scuola tecnica di Oneglia, dove insegna anche italiano, storia e geografia. Ad Oneglia ottiene la sua prima direzione di un giornale, anche se si tratta di un foglio di provincia, il settimanale socialista La Lima. Negli anni successivi e sino al 1912 il futuro capo del fascismo si dedica completamente alla lotta politica e all’attività giornalistica, militando sul fronte più estremo dei socialisti promuove scioperi e rivolte, abbraccia la causa anticlericale e si rende protagonista di memorabili polemiche dalle pagine dei giornali. Tra i suoi contendenti anche Alcide De Gasperi, mentre collabora pure con il giornale di Cesare Battisti, il Trentino. L’intran­sigenza socialista mussoliniana ebbe modo di manifestarsi in modo clamoroso, nel luglio 1912 al congresso del partito a Reggio Emilia, quando il futuro direttore dell’Avanti! presentò una mozione di espulsione contro esponenti di primo piano del partito, quali Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, Angiolo Cabrini e Guido Podrecca, accusati di riformismo. La mozione viene accolta, mostrando di quale prestigio Mussolini goda nelle file del socialismo italiano: difatti entra a far parte della direzione nazionale e comincia a collaborare con Folla, il giornale di Paolo Valera, firmandosi con lo pseudonimo “L’homme qui cherche”. Nel novembre dello stesso anno giunge alla direzione più ambita per lui, quella del quotidiano organo ufficiale del partito: l’Avanti, succedendo a Claudio Treves. Manterrà l’incarico sino al 1914, con il prezioso aiuto del redattore capo Angelica Balabanoff, con cui ha una relazione. Nel novembre del 1913 fonda un proprio giornale, Utopia, che dirigerà fino allo scoppio della guerra e sul quale potrà esprimere tutte le proprie opinioni, anche quelle in contrasto con la linea ufficiale del partito[116].
Nel 1914 l’ascesa di Mussolini prosegue, con il congresso del Psi di Ancona durante il quale presenta, con Giovanni Ziboldi, una mozione che dichiara la militanza socialista incompatibile con l’iscrizione alla massoneria. In giugno è eletto consigliere comunale a Milano e partecipa alle manifestazioni della settimana rossa. Sarà lo scoppio della Prima guerra mondiale a sconvolgere le carte nella vita di Mussolini che allo scatenamento delle operazioni si allinea con coerenza alle posizioni neutraliste della III Internazionale socialista. Ma intanto il nostro Ministero degli esteri in forma riservata comincia a svolgere una vasta campagna di persuasione rivolta a cattolici e socialisti perché allentino la loro posizione contro la guerra. A farsene interprete è il direttore del Resto del carlino Filippo Naldi, che su sollecitazione del ministero prende contatto con Mussolini. Il direttore dell’Avanti non si lascia piegare, ma sulle pagine del suo giornale cominciano ad apparire articoli nei quali si dibatte con quale dei due schieramenti l’Italia avrebbe potuto allearsi per vedere soddisfatte le sue aspirazioni ter­ritoriali: del resto i primi mesi del conflitto, evidenziano le incertezze del partito socialista, sempre in bilico tra antibellicismo e voglia di intervenire per rinnovare la lotta politica e smuovere gli equilibri consolidati nel Paese. Dopo una polemica fatta di articoli contrapposti Naldi va a Milano, conosce Mussolini, discute con lui e lo trova molto insofferente per le posizioni spesso ambigue dei socialisti. Di lì a poco Mussolini pubblica in terza pagina un pezzo in cui palesa una prima conversione di parere, passando dall’antibellicismo al neutralismo condizionato. Ad ottobre un nuovo cambio di posizione in un articolo sull’Avanti intitolato Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante, in cui rivolge un appello ai socialisti sul pericolo che la neutralità possa diventare una condanna all’isolamento politico.
Secondo Mussolini, le organizzazioni socialiste avrebbero dovuto appoggiare la guerra perché così si sarebbe prodotta la distribuzione delle armi al popolo, primo atto per giungere alla rivoluzione pro­letaria. La nota suscita clamore, essendo in netto contrasto con la po­sizione del Psi: alla fine del mese Mussolini è allontanato dal giornale, dopo che in virtù della sua eccellente direzione Avanti! è passato da 30-45 mila copie nel 1913 a 60-75 mila copie nei primi mesi del 1914. Appoggiato finanziariamente da alcuni gruppi industriali siderurgici e zuccherieri milanesi e probabilmente anche con fondi francesi il giornalista di Predappio fonda un suo quotidiano, Il Popolo d’Italia, il cui primo numero esce il 15 novembre 1914.
Col partito è rottura: il 29 novembre Mussolini è espulso dal Psi. Diventato pienamente interventista, in dicembre prende parte a Milano alla fondazione dei Fasci di azione rivoluzionaria di Filippo Corridoni, partecipando poi al loro primo congresso il 24 e il 25 gennaio 1915. Quando il 23 maggio l’Italia dichiara guerra all’Austria-Un­gheria), chiede di essere arruolato come volontario nel Regio esercito. La richiesta viene in un primo tempo respinta, ma il 31 agosto Mussolini viene chiamato e assegnato come soldato semplice al 12° reggimento bersaglieri, poi al 7° e il 2 settembre parte per il fronte con l’11°. Promosso caporale il 1º marzo 1916 e quindi caporal maggiore il 31 agosto, il 23 febbraio 1917 viene ferito gravemente dallo scoppio di un lanciabombe durante un’esercitazione sul Carso e dopo la conva­lescenza inviato in licenza nelle retrovie per 18 mesi e quindi congedato illimitatamente nel 1919. Tornato alla direzione de Il Popolo d’Italia, ne modifica il sottotitolo da «Quotidiano socialista» in «Quotidiano dei combattenti e dei produttori», indicando chiaramente la strada da intraprendere. In dicembre pubblica sul suo giornale l’articolo “Trincerocrazia”, in cui rivendica per i reduci dalle trincee il diritto di governare l’Italia post-bellica. Così Mussolini e il suo giornale diventano il punto di riferimento per tutta l’estrema destra nazionale; prologo alla fondazione dei Fasci di combattimento avvenuta a Milano il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro[117].
Il 12 settembre, Mussolini promuove davanti alla sede de Il Popolo d’Italia una sottoscrizione a favore dell’impresa fiumana di Gabriele D’Annunzio. Ormai da giornalista Mussolini si è definitivamente trasformato in capo popolo. Il 9 ottobre si tiene a Firenze il primo Congresso dei Fasci di combattimento, ma alle elezioni politiche del successivo 16 novembre i fascisti, nonostante le candidature di Mussolini e di Filippo Tommaso Marinetti a Milano, non ottengono neanche un seggio, e nella provincia meneghina prendono soltanto 4795 voti. Inoltre, il 18 novembre Mussolini è arrestato per poche ore per detenzione di armi ed esplosivi, e viene rilasciato grazie all’intervento del senatore liberale Luigi Albertini. Il 24 e il 25 maggio 1920 Mussolini partecipa al secondo Congresso dei Fasci di combattimento, che si tiene al Teatro Lirico di Milano. In giugno, con un clamoroso voltafaccia, si schiera a favore di Giolitti, con il quale, in ottobre, s’incontra per la risoluzione della questione di Fiume, appoggiando il progetto di intesa con la Jugoslavia. Il 28 marzo 1921, sfila con gli squadristi in camicia nera in occasione dei solenni funerali delle vittime del terrorismo anarchico del Teatro Diana. A testimonianza dell’avvicinamento tra Mussolini e Giolitti, il futuro duce si presenta come alleato dello statista di Mondovì alle elezioni del 15 maggio 1921, nelle liste dei blocchi nazionali antisocialisti: che ottengono 35 seggi ed è eletto deputato. A questo punto sono in molti a sperare che l’intesa tra i due ponga fine alle intemperanze fasciste sempre più frequenti, ma è un’illusione. Al contrario, forti del successo elettorale, le camicie nere moltiplicano gli episodi di violenza e aggressione fisica e verbale contro gli avversari, soprattutto contro socialisti, popolari e, dopo la scissione di Livorno, anche contro i comunisti: nasce così il fenomeno dello squadrismo. Il 2 luglio Mussolini invita i socialisti e i popolari, con un articolo su Il popolo d’Italia, a un patto di pacificazione per la cessazione delle violenze squadriste, firmato il 2 agosto grazie alla mediazione del presidente della Camera Enrico De Nicola; tuttavia, le violenze non cessano perché l’esecuzione dell’accordo viene contestata dai singoli ras locali e perché ne sono esclusi i comunisti. Fra costoro e gli squadristi le violenze continuano rendendo vuoto di significato il patto. Inoltre i dirigenti fascisti minacciano Mussolini di scavalcarlo e destituirne l’autorità. Le divergenze però vengono superate, e il 7 novembre si tiene a Roma il terzo congresso dei Fasci di Combattimento, che vengono trasformati nel Partito Nazionale Fascista, con Michele Bianchi primo segretario. Il 1° gennaio 1922 Mussolini fonda il mensile Gerarchia, guidato dall’intellettuale Margherita Sarfatti, cui era legato sentimentalmente. L’estate trascorre in un clima di continue violenze e provocazioni, culminate negli incidenti durante lo sciopero del 2 agosto 1922 contro le intimidazioni squadristiche e nella occupazione tra il 31 agosto e 5 ottobre da parte dei fascisti dei municipi di Ancona, Milano, Genova, Livorno, Parma, Bolzano e Trento, dopo violenti scontri armati[118].
Questi episodi tradisco la volontà mussoliniana di impadronirsi con la forza del potere: il futuro duce il 24 ottobre passa in rassegna a Napoli le 40 mila camicie nere lì radunate, affermando il diritto del Fascismo a governare l’Italia e tra il 27 e il 31 ottobre 1922, la rivoluzione fascista ha il suo culmine con la marcia su Roma, opera di gruppi di camicie nere provenienti da diverse zone d’Italia e guidate dai quadrumviri (Italo Balbo, Cesare Maria De Vecchi, Emilio De Bono e Michele Bianchi). Il re Vittorio Emanuele III e il presidente del consiglio Facta non si oppongono e la marcia riesce: il sovrano chiama Mussolini a formare il nuovo governo. Così, con un colpo di mano portato a termine da una ...

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