Capitolo 1
A mo’ d’introduzione:
considerazioni per un metodo di lettura
Comprendere un’opera d’arte qualsiasi (non solo letteraria) significa saperla leggere, cioè interpretarne il messaggio, il significato sotteso al suo significante, al suo complesso ed articolato aspetto formale. Il problema di come leggere s’impone dunque come prioritario.
La fondazione teorica, seppur sintetica, e la pratica di un metodo di analisi testuale che avvii all’interpretazione globale del messaggio estetico sono necessari per garantire l’intelligenza dell’autore ed insieme la libertà del lettore. Senza ciò non si dà giudizio critico, ma superficialità e soggettivismo, si resta prigionieri di un semplicistico ‘mi piace’, o della comoda acquiescenza all’ipse dixit, ad un parere altrui consacrato dalla corale venerazione.
Mi sembra opportuno condensare in uno schema, a mo’ di introduzione e per amore di chiarezza, l’intero percorso analitico che seguiremo nel confronto con i testi. Lo devo – mutatis mutandis – ad Angelo Marchese (Le strutture della critica letteraria, p. 10):
Il metodo di analisi testuale qui sintetizzato aderisce fondamentalmente ad istanze proprie dello strutturalismo e della semiologia. Nell’appropriarcene e nel tradurlo in prassi di lettura critica ci sarà guida – principale, ma non esclusiva, come si vedrà – l’opera Introduzione all’analisi strutturale dei racconti (orig. Parigi 1966) di Roland Barthes, fine linguista e critico letterario francese (m. 1980), ispiratore principale dell’indirizzo critico di interpretazione semiologica del testo narrativo, fiorito specialmente negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Non è questa la sede per impegnarci in approfondimenti di storia della critica che esulerebbero dalla natura e dallo spazio di questo lavoro. Alcune sobrie chiarificazioni terminologiche e relative ad alcune coordinate storiche sono tuttavia necessarie per intendere natura e senso del metodo adottato sopra riassunto, a partire dalla sua indole propriamente ‘semiologica’.
La scuola semiologica è figlia della linguistica strutturalista, che riconosce in Ferdinand De Saussure (m. 1913) il proprio fondatore e nell’opera di questo Corso di linguistica generale (edita postuma nel 1916) l’espressione dei propri fondamenti teorici. De Saussure attribuisce alla semiologia un campo di studio amplissimo: in quanto ‘scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale’ (pp. 26-27) essa si occupa dei segni tout court, siano essi di indole linguistica o di natura non verbale, un campo d’interesse, quest’ultimo, che la successiva evoluzione degli studi attribuirà ad una disciplina specifica, la semiotica. La semiologia desaussuriana sussume quindi al suo interno la linguistica, disciplina cui compete l’analisi del segno verbale: un rapporto che Barthes capovolgerà, ponendo la semiologia all’interno e al servizio della linguistica.
Lo strutturalismo, che da De Saussure prende le mosse, si pone come indirizzo di lettura della realtà che considera ogni fenomeno storico-culturale un insieme di costanti (che ne formano la struttura durevole e tendenzialmente inalterata) e di variabili. Esso nasce in ambito linguistico per estendersi a campi diversissimi, quali la critica letteraria, artistica e musicale, nonché alle ricerche di storia socio-politica ed economica.
Si può dunque a ragione affermare – e cercheremo di dimostrarlo – che la linguistica sutturalista è madre della critica semiologica.
Coerentemente con questo indirizzo inerpretativo lo schema proposto disegna un itinerario mentale di lettura che si muove dall’esterno all’interno, dalla superficie al centro. Si articola in tre momenti concatenati (denotativo, connotativo-sintagmatico e connotativo-paradigmatico) in cui, grazie all’ausilio di strumenti scientifici appropriati, si cerca di cogliere dimensioni diverse e correlate del significato del messaggio letterario, formulato da un emittente e rivolto ad un destinatario.
su questo e sui suoi caratteri linguistici è centrata l’ottica interpretativa qui adotatta. L’opposizione fra sfera denotativa e connotativa da una parte, sintagmatica e paradigmatica dall’altro sono eloquenti a riguardo.
La distinzione fondamentale fra livello denotativo e connotativo è pertinente infatti a due tipi di significato, definiti dalla linguistica e da questa mutuati dalla critica.
In linguistica il termine ‘denotazione’ definisce il significato di base di un termine, ‘connotazione’ il significato (o i significati) aggiuntivo (o aggiuntivi) di esso, di tipo affettivo o allusivo o evocativo. Ad esempio il termine ‘madre’ indica ogni genitore di sesso femminile; ‘mamma’ invece aggiunge a tale significato un’innegabile dimensione affettiva.
‘Denotazione’ in ambito di critica letteraria ed artistica in genere circoscrive un livello di significato che concerne la materia informativa dell’opera, il ‘che cosa’ essa significhi.
La connotazione è un tipo di significato ulteriore e più profondo, espresso dallo stile proprio del messaggio letterario: essa riguarda la forma artistica, intesa quale sintesi di ‘come’ e ‘per dire che’, unità di stile ed ‘ideologia’ da questo veicolata, intesa nel senso ampio di ‘sistema tematico’ dell’opera.
In questa cornice l’interpretazione del messaggio si articola e specifica in decodificazione (pertinente il livello denotativo), operazione che si avvale dell’ausilio delle discipline linguistiche, e decifrazione (che opera a livello connotativo): essa si avvale di strumenti disciplinari quali stilistica e retorica (per la lettura del ‘come’, dello stile) e dell’universo delle scienze più varie di natura storico-filosofica (quanto al ‘per dire che’, dell’ideologia), denominate in sintesi ‘storia della cultura’ da Marchese.
La distinzione denotativo-connotativo opera efficacemente non solo in rapporto all’analisi di testi letterari, ma anche in relazione alla lettura di opere figurative. Anzi, la sua fecondità appare più evidente se applicata al mondo della pittura, della scultura e – in misura minore – dell’architettura.
Un esempio illustrativo di tale efficacia si può cogliere comparando a livello denotativo e connotativo i due dipinti sotto riprodotti.. Esso servirà soprattutto a chiarificare la natura e l’importanza di questo binomio concettuale, in vista della sua esemplificazione in sede di analisi testuale.
Giotto, Dormizione della Vergine (Berlino, Gemälde Galerie)
M. Merisi detto “il Caravaggio”, Morte della Vergine (Parigi, Louvre)
Il primo quadro è una ‘dormizione della Vergine’ attribuito a Giotto (nonostante numerosi dubbi siano stati nutriti in passato sul suo carattere autografo), dipinto, con aiuti di bottega, attorno al 1312-13. Si tratta di un dossale da altare in tempera e oro su tavola, destinato forse in origine alla chiesa fiorentina di Ognissanti ed ora conservato presso la Gemälde Galerie di Berlino. Il secondo è un famoso olio su tela del Louvre che si deve alla mano di Michelangelo Merisi: noto come ‘morte della Vergine’, esso fu dipinto dal Caravaggio fra 1605 e 1606. A livello denotativo – vale a dire di ‘materia’, di ‘soggetto’ – i due quadri effigiano entrambi la medesima scena, quella dell’omaggio funebre reso alla salma di Maria dagli apostoli riuniti attorno a lei.
Alla sostanziale uguaglianza denotativa corrisponde una stridente antitesi fra le due opere a livello connotativo, cioè di realizzazione stilistico-formale. Giotto compone attorno al cadavere di Maria – la cui bellezza fisica non appare incrinata dalla morte, ma solo ammantata di un colorito eburneo – una folla solenne e devota, compresa nella preghiera liturgica. I gesti degli apostoli esprimono un dolore contenuto (si veda in particolare la figura di Giovanni, a mani intrecciate e capo chino) o venerazione, evidenziata dalle due figure genuflesse accanto al prezioso catafalco. La scena terrena s’intreccia indissolubilmente alla dimensione ultraterrena: angeli prendono parte all’ufficio funebre, presieduto dallo stesso Cristo, che appare ritto al centro, mentre regge tra le braccia una figura di grandezza infantile, simbolo dell’anima della Vergine, rinata alla nuova ed eterna vita. Tutto è avvolto nell’oro di uno...