Oltre il biocentrismo
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Oltre il biocentrismo

Ripensare il tempo, lo spazio, la coscienza e l'illusione della morte

Robert Lanza

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Oltre il biocentrismo

Ripensare il tempo, lo spazio, la coscienza e l'illusione della morte

Robert Lanza

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Che cosa accadrà quando moriremo? Dove eravamo prima di essere messi al mondo? La realtà che percepiamo con i nostri sensi è davvero così come ci appare?Dagli albori della civiltà, gli esseri umani continuano a porsi le stesse domande e a meditare sulle medesime ossessioni. Gli antichi cercarono risposte nel cielo, leggendo il proprio destino nell'occhio degli dèi o, come iniziarono a fare alcuni filosofi greci, affidandosi all'argomentazione logica per motivare le sventure di ogni giorno. Fu Aristarco, quasi duemila anni prima di Galileo, a mettere in discussione la vecchia credenza che ogni cosa nel cielo ruotasse attorno alla Terra, e Aristotele aveva già compreso, anticipando di secoli la fisica quantistica, che il tempo e lo spazio non sono dimensioni reali, ma soltanto percezioni dell'essere umano.Eppure, anche dopo le conquiste scientifiche e tecnologiche dell'età moderna e contemporanea, nessuno sembra ancora in grado di rispondere ai nostri più elementari interrogativi: qualcosa continua a sfuggirci, mentre le domande si moltiplicano diventando sempre più ardite, e il nostro sguardo – capace ormai di sondare le più piccole particelle della materia e di intravedere punti assai remoti nello spazio – deve fare i conti con i limiti dei tradizionali paradigmi scientifici.Dopo la rivoluzione culturale messa in atto dal precedente Biocentrismo, Robert Lanza e Bob Berman mirano ancora più in alto. Oltre il biocentrismo entra, con lo stupore di ogni scoperta e il rigore della biologia e dell'astrofisica, in uno spazio ancora non del tutto esplorato. Partendo dalle esperienze più comuni – la percezione dei colori di un tramonto, la sensazione delle nostre dita a contatto con una fiamma, la capacità di «vedere» qualcosa anche con gli occhi chiusi –, gli autori si propongono di dimostrare come la realtà non esista al di fuori di noi, ma accada sempre e soltanto nella nostra mente. Un'intuizione antica, che trova terreno fertile in alcune delle più recenti e affascinanti ipotesi scientifiche, guida le ricerche biocentriche di questo libro: è l'essere umano a scrivere, attraverso la sua coscienza, la straordinaria storia dell'universo.

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Información

Editorial
Il Saggiatore
Año
2016
ISBN
9788865765500
1. Breve corso introduttivo alla realtà
A me basterebbe essere sicuro che tu e io esistiamo in questo momento.
Gabriel García Márquez,
Cent’anni di solitudine, 1967
Intorno ai sette anni circa, la maggior parte dei bambini fa domande scomode. L’universo ha una fine? Come sono arrivato qui? Alcuni bambini, magari dopo la scomparsa di un criceto, cominciano persino a preoccuparsi della morte.
Altri si spingono anche oltre. Sanno di trovarsi in un mondo che sembra complesso e misterioso, ma riescono ancora, occasionalmente, a rievocare una traccia della gioia e della chiarezza caratteristiche del primo anno di vita. Tuttavia, procedendo nell’istruzione media e superiore, via via che gli insegnanti di scienze espongono la spiegazione standard del cosmo, quella traccia svanisce. La cornice dell’esistenza diventa noiosamente accademica oppure una mera questione filosofica. Se per caso ci ripensano da adulti, il succo, di solito, è che l’intera visione cosmologica risulta confusa e insoddisfacente.
Il modello di universo più in voga dipende dalla parte del mondo e dal periodo storico nei quali ci si è posti le domande. Qualche secolo fa erano la Chiesa e le Scritture a fornire la cornice per il «quadro generale». Già negli anni trenta del secolo scorso le spiegazioni bibliche non erano più in auge tra gli intellettuali; furono rimpiazzate, infine, dal modello dell’uovo cosmico, nel quale tutto cominciava con un evento esplosivo improvviso, simile a quello proposto originariamente da Edgar Allan Poe in un saggio del 1848.
In questo modello, l’universo veniva presentato come una macchina automatica. Era composto di cose stupide, cioè atomi di idrogeno e altri elementi privi di intelligenza congenita. Non vi era nemmeno una qualche intelligenza esterna a governare, ma forze invisibili – come la gravità e l’elettromagnetismo – che agivano secondo le leggi del caso, producendo tutto quello che si può osservare. Gli atomi si scontravano tra loro. Le nuvole di idrogeno si contrassero per formare le stelle. Gocce di materiale residuo, denso e fluido, in orbita intorno a questi soli appena nati si raffreddarono per formare i pianeti.
Trascorsero miliardi di anni senza vita, con il cosmo in modalità «automatica», fino a quando, almeno su un pianeta, e forse anche su altri, ebbe inizio la vita. Come questo sia potuto accadere resta un mistero per la nostra scienza. In fin dei conti, possiamo prendere le proteine necessarie, i minerali, l’acqua e tutte le altre cose contenute in un organismo animale e frullarle in un miscelatore fino alle calende greche, ma la vita non comparirà.
Se la vita e la sua genesi rimangono un mistero, la coscienza è un enigma al quadrato. Un conto sono le caratteristiche della vita come la riproduzione e la crescita, un altro è la consapevolezza. Si tratta di cose diverse. Il lievito e l’hiv sono vivi, ma sentono? Le creature viventi sperimentano tutte qualcosa di simile alla nostra estasi di fronte all’intenso color porpora del cielo al tramonto?
La questione non è solo accademica. I fisici hanno constatato, ormai per quasi un secolo, che la coscienza dell’osservatore influenza il risultato degli esperimenti, ma questo fatto è stato pressoché ignorato in quanto enigmatico e sconcertante.
Rispetto alla coscienza stessa, nessuno ha un’idea di come sia potuta emergere. Non riusciamo a capire come grumi di carbonio, gocce d’acqua o atomi di insensibile idrogeno si siano messi insieme arrivando ad acquisire il senso dell’olfatto. A quanto pare, è una questione troppo sconcertante da sollevare. Basta accennare al tema dell’origine della percezione per essere additati come pazzi. Benché Paul Hoffman, ex editore della Encyclopaedia Britannica, lo abbia definito «il problema più profondo di tutta la scienza», in genere è troppo strano e alieno per essere discusso in un contesto serio. In ogni caso, torneremo abbondantemente sulla questione della coscienza. Per ora ci basti dire che la sua genesi è avvolta da un mistero assoluto, tanto quanto un qualsiasi inventario delle discariche nelle paludi del New Jersey.
Così, il modello standard dell’universo consiste in un miscuglio interessante di vivente e non vivente. Entrambi sono parte integrante di un universo che, ci spiega la cosmologia, è esploso dal nulla 13,8 miliardi di anni fa, e che continua a espandersi.
La storia è questa. L’abbiamo sentita tutti. La si racconta agli studenti di tutto il mondo. Ognuno, tuttavia, può accorgersi di quanto sia vacuo e insoddisfacente questo racconto.
Come nella storia di Giona, che visse felicemente nel ventre di una balena senza patire alcun malessere, c’è qualcosa di sospetto in un universo che salta fuori dal nulla. Non solo perché, nell’esperienza quotidiana, non ci capita di osservare gattini o mobili da giardino materializzarsi magicamente. Il problema è più profondo: se anche fosse vera, la faccenda della «materializzazione magica» non spiega proprio nulla.
Quindi, ripartiamo da un esame onesto di quello che sappiamo e non sappiamo. Possiamo partire dalle verità inconfutabili, come fece Cartesio quando disse: «Penso, dunque sono». La realtà ultima e fondamentale non è che noi umani discendiamo dal plancton, su un pianeta nato 4,65 miliardi di anni fa vicino a una stella di popolazione i. Potrebbe sembrare una certezza per molti, nel mondo odierno, ma ecco un punto di partenza ancora più incontestabile: ci troviamo a essere coscienti in una matrice che chiamiamo universo.
Cerchiamo qualche spiegazione o contesto più ampio in cui inquadrare questa esistenza. Se riteniamo che i modelli teologici siano inadeguati ci rivolgiamo alla scienza, ma i suoi ricercatori affermano, di nuovo, che l’universo è saltato fuori dal nulla attraverso un processo ignoto. E proseguono «spiegando» che la vita, a un certo punto, è emersa in modo altrettanto inesplicabile, e che questa vita manifesta una consapevolezza individuale, che di per sé è enigmatica.
Questa è la spiegazione scientifica di quello che succede.
Non stupisce, in molte cerchie, che non la si consideri una spiegazione migliore rispetto al sorpassato «È opera di Dio».
Non è nostro intento biasimare la scienza in alcun modo. Molto meno di un millesimo di miliardesimo dell’1 per cento del cosmo è accessibile ai nostri telescopi. E perfino questo è solo una piccola frazione del vero cosmo, che è composto per lo più da entità ignote. Le dimensioni del nostro campione, perciò, sono minuscole. Inoltre, vi sono sempre più prove a favore di un universo spazialmente infinito (ne parleremo nel diciottesimo capitolo). Se così fosse, anche il suo inventario sarebbe infinito e, dunque, tutto quello che si trova entro l’orizzonte visibile corrisponderebbe, in realtà, allo zero per cento dell’intero universo, poiché ogni frazione di infinito è nulla. Il punto è questo: a voler essere onesti, i nostri dati sono attualmente così trascurabili che non permettono generalizzazioni valide. Semplicemente, le dimensioni del campione sono troppo piccole per dare risultati attendibili.
Purtroppo, questo non viene quasi mai riconosciuto, men che meno nei programmi televisivi a contenuto scientifico. Parlare della nostra mancanza di informazioni costituirebbe una «interruzione del segnale audio» priva di interesse per un qualunque sponsor commerciale.
Recentemente, a dire il vero, abbiamo scoperto che l’universo è composto per lo più da materia oscura, ma non sappiamo che cosa sia. Poi abbiamo scoperto che, in realtà, si tratta soprattutto di energia oscura, ma non sappiamo cosa sia nemmeno quella. L’esistenza dell’energia oscura fu postulata nel 1998, quando si scoprì che l’espansione dell’universo, che si pensava stesse rallentando, stava invece misteriosamente accelerando. Sembra che l’energia oscura sia una forza antigravitazionale che spinge il cosmo verso l’esterno.
Non abbiamo neanche idea di come ebbe inizio la vita autoreplicante. Inoltre, ci troviamo in un universo finemente calibrato per la vita, ma non abbiamo idea di come questo sia possibile, se non ipotizzando che esista un’infinità di universi in cui noi siamo quelli fortunati.
Poiché mancano i dati concreti, i cosmologi provano a sopperire affidandosi a modelli, che comprendono ipotesi sulle condizioni iniziali e sugli eventi successivi. Non sarebbe un problema se non li si prendesse così sul serio, se ci si rendesse conto che sono soltanto modelli di partenza.
All’inizio del ventunesimo secolo questi modelli includono concetti orecchiabili che si propongono di divulgare un’immagine del cosmo, benché non siano sostenuti dalle prove. Nel linguaggio scientifico, concetti come le membrane cosmiche o la teoria delle stringhe sono non falsificabili, ossia non possono essere né provati né smentiti. Quasi certamente essi verranno abbandonati o subiranno grosse modifiche nel corso della nostra vita, rimpiazzati da altri modelli destinati a loro volta all’abbandono, proprio come «l’espansione rallentata dell’universo» del 1997 fu rimpiazzata dal modello «accelerato» del 1998.
Quindi, per rispondere onestamente a quel bambino di sette anni dovremmo confessargli che la scienza, oggi, non è in grado di rispondere alle domande più semplici sull’esistenza.
È vero, i cosmologi parlano dei «2,73 K della radiazione cosmica di fondo» e dei «13,8 miliardi di anni trascorsi dal Big Bang», e queste cifre apparentemente precise, con tanto di decimali, creano una credibilità verosimile. I modelli sono enunciati ripetutamente e questa stessa ripetizione conferisce loro un’aura importante. Ma non significa che siano, in effetti, verità assolute.
Fortunatamente il quadro generale appena descritto, in apparenza cupo, non è la fine della storia. In realtà, è solo l’inizio, poiché esiste un modello alternativo per tutto questo.
L’alternativa è necessaria, perché la cosmologia moderna, nei tentativi di spiegare il cosmo, continua a commettere una strana svista: tiene l’osservatore vivente rigorosamente a distanza dal resto dell’universo. Ci chiede di accettare una dicotomia, una spaccatura.
Da un lato ci siamo noi, i viventi, chi percepisce il tutto. Dall’altro c’è l’intero, stupido universo, che sbatte su se stesso attraverso processi casuali.
Ma se invece fossimo collegati? E se l’intero, insensibile modello potesse improvvisamente avere un senso, mettendo tutto insieme? E se l’universo (la natura) e chi lo percepisce non fossero entità indipendenti? E se uno più uno facesse… uno! E se, anzi, l’ultimo secolo di scoperte scientifiche puntasse in modo convincente proprio in questa direzione – se solo fossimo abbastanza aperti da capire quello che ci dice?
A dire il vero, continuano ad arrivare nuovi indizi. Nel febbraio del 2015 il New York Times ha pubblicato un articolo sulla «stranezza quantistica», dal sottotitolo «Nuovi esperimenti confermano che la natura non è né qui né là». Tuttavia, né l’autore, chiaramente disorientato, né, con buona probabilità, molti lettori, hanno sorriso tra sé pensando: È ovvio! Perché la natura, in effe...

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