Biocentrismo
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Robert Lanza, Bob Berman

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Robert Lanza, Bob Berman

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Il Novecento è stato il secolo della fisica. Le scoperte sull'atomo, le sue particelle e l'architettura del cosmo hanno prodotto la nostra concezione di universo e tutta la tecnologia che plasma la vita quotidiana. Eppure, proprio la fisica non è stata capace, e non lo è ancora, di rispondere alle antichissime domande dell'uomo, invocando come risolutiva quella teoria del tutto che ha a lungo inseguito e mai raggiunto. Che cosa c'era prima del Big Bang? Perché l'universo sembra costruito perfettamente su misura per l'uomo? E se chiudiamo gli occhi, l'universo esiste ancora? Esistono lo spazio e il tempo? Che cosa succede dopo la morte? Biocentrismo accoglie queste domande in una prospettiva inedita e affida alla biologia l'onere di far progredire le risposte: ciò che percepiamo come realtà non è che un prodotto della coscienza, scoperte scientifiche incluse. È la creatura biologica a modellare il racconto. Soltanto quando la materia diviene cosciente di sé e comincia a osservare l'esistente, l'universo intero muta la propria natura dallo stato indeterminato di probabilità – così come definito dalla teoria quantistica – a quello di misteriosa, concreta presenza: a partire dal fotone, dal petalo di una margherita, dal vento, per arrivare alle nebulose più remote. Robert Lanza – uno dei maggiori scienziati viventi, noto per le sue ricerche sulle cellule staminali – allestisce un'originale trattazione scientifica che ha la luce della semplicità e formula una teoria che colma un vuoto, oltraggiosa sia nei confronti della religione che della scienza. Una teoria che ha la necessaria e smisurata ambizione di porre la domanda: che cosa è l'universo?

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Información

Editorial
Il Saggiatore
Año
2020
ISBN
9788865764176

1. Un’idea confusa di universo

Il mio sospetto è che l’universo sia non solo più strano di quanto immaginiamo, ma più di quanto possiamo immaginare.
JOHN HALDANE, Possible Worlds (1927)
Il mondo, nel suo complesso, non è quello descritto nei libri di scuola.
Per diversi secoli, dal Rinascimento più o meno, ha dominato un’unica visione della struttura del cosmo. Questa visione ci ha svelato aspetti sconosciuti della natura dell’universo e portato a innumerevoli applicazioni che hanno trasformato ogni aspetto delle nostre vite, ma è un modello che ormai ha raggiunto la fine del proprio ciclo ed è necessario sostituirlo con un paradigma radicalmente differente, che rifletta una realtà più profonda, finora ignorata.
Il nuovo modello non è piombato sulla scena all’improvviso, come il meteorite il cui impatto trasformò la biosfera 65 milioni di anni fa. La sua affermazione è stata qualcosa di graduale, paragonabile agli effetti della lenta trasformazione delle placche tettoniche che opera in profondità, irreversibilmente. La sua comparsa si deve a una celata irrequietezza razionale avvertita oggi da chiunque abbia un minimo di cultura. Non si tratta della semplice confutazione di una teoria o di una qualche contraddizione presente nell’attuale, encomiabile ossessione rappresentata dalla Teoria della Grande unificazione che si propone di spiegare l’universo. Si tratta, piuttosto, di un problema così radicato che praticamente chiunque abbia una conoscenza dell’argomento capisce che c’è qualcosa che non funziona nel modo in cui descriviamo il cosmo.
Il vecchio modello suggerisce che l’universo sia stato, almeno fino a poco tempo fa, un insieme senza vita di particelle che non facevano altro che scontrarsi l’una con l’altra, obbedendo a regole predeterminate dall’origine misteriosa. L’universo sarebbe dunque come un orologio che, in qualche modo, si è caricato da solo e che, con un certo grado di casualità quantistica, si scaricherà secondo un corso solo parzialmente prevedibile. La vita avrebbe avuto origine da un processo sconosciuto, e poi si sarebbe sviluppata seguendo il meccanismo darwiniano; meccanismo che segue le medesime regole della fisica. La vita, però, comprende la coscienza, nel senso di consapevolezza del mondo circostante, e questa finora è stata studiata solo superficialmente, relegata a una mera faccenda da biologi.
Ecco il problema. La coscienza non è un argomento per soli biologi, è una questione che riguarda anche la fisica. Nella fisica moderna non c’è nulla che spieghi come un gruppo di molecole nel cervello possa sviluppare uno stimolo cosciente. La bellezza di un tramonto, il miracolo dell’innamoramento, il gusto di un pasto delizioso: per la scienza moderna rimangono tutti eventi misteriosi. Il nostro attuale modello descrittivo non include la coscienza, e la nostra comprensione di questi fenomeni elementari è di fatto nulla. Paradossalmente, l’attuale modello fisico non lo riconosce neanche come un problema.
Non è un caso che il concetto di coscienza faccia la sua comparsa anche in un campo assai insolito della fisica. È noto che la teoria quantistica, sebbene produca risultati matematicamente ineccepibili, sia priva di senso logico. Come approfondiremo nei prossimi capitoli, le particelle sembrano comportarsi come se rispondessero alla presenza di un osservatore cosciente. Ma poiché un comportamento del genere sarebbe davvero assurdo, gli stessi fisici quantistici definiscono la teoria quantistica come qualcosa di inspiegabile, oppure concepiscono teorie complesse per provare a spiegarla (come quella degli infiniti universi alternativi). L’interpretazione più semplice – secondo la quale le particelle subatomiche interagirebbero in qualche modo con la coscienza umana – è talmente distante dal loro modello teorico, da non meritare neanche di essere presa in considerazione. Eppure, è interessante notare che ben due fra i più grandi misteri della fisica coinvolgono la coscienza.
Anche mettendo da parte la questione della coscienza, l’attuale modello lascia comunque a desiderare sotto altri aspetti, quelli che riguardano la spiegazione dei princìpi fondamentali dell’universo. Il cosmo, secondo recenti e accurate stime, è spuntato dal nulla 13,7 miliardi di anni fa, grazie a un evento colossale chiamato con il buffo nome di Big Bang. Non abbiamo capito davvero da dove sia spuntato fuori il Big Bang e ci focalizziamo sui dettagli della sua evoluzione; per esempio ipotizzando un periodo inflazionario nell’espansione dell’universo, secondo leggi fisiche che non sappiamo maneggiare del tutto, ma la cui esistenza è necessaria per rendere la teoria coerente con le osservazioni.
Quando un ragazzino di prima media fa la più semplice delle domande sull’universo: «Che cosa c’era prima del Big Bang?», l’insegnante, sempre che ne sappia abbastanza, non può fare altro che rispondere: «Prima del Big Bang non esisteva il tempo, perché il tempo esiste solo in combinazione con la materia e l’energia, quindi la domanda è senza senso. È come chiedere cosa ci sia a nord del Polo Nord». Quello studente si siederà al suo posto, zitto e muto, e tutti faranno finta di averci capito qualcosa come se fosse davvero stata impartita una qualche forma di conoscenza.
Qualcun altro potrebbe chiedere: «Dentro cosa si sta espandendo l’universo?». Il docente, di nuovo, risponderà prontamente: «Non esiste spazio senza corpi che lo definiscano, quindi dobbiamo immaginarci un universo che porta con sé lo spazio nel quale si sta espandendo. Inoltre, la visione secondo cui osserviamo l’universo “dall’esterno” è completamente sbagliata, perché non esiste nulla all’esterno dell’universo, quindi la domanda non ha senso».
«Okay, ma ci può dire che cosa è stato il Big Bang? Esiste una spiegazione per questo fenomeno?» Per anni, quando il mio coautore si lasciava vincere dalla pigrizia, ai suoi studenti dei primi anni di università forniva scocciato la risposta classica, come fosse un obbligo al di fuori delle ore lavorative: «Noi osserviamo le particelle materializzarsi nello spazio vuoto e poi svanire, il tutto per le fluttuazioni quantistiche del vuoto. Ora, è lecito aspettarsi che, dopo un certo tempo, queste fluttuazioni evolvano in così tante particelle da generare un intero universo. Se l’universo fosse una fluttuazione quantistica, dimostrerebbe esattamente le proprietà da noi osservate». Lo studente tornava al suo posto. Ecco come stanno le cose!
L’universo è una fluttuazione quantistica! Finalmente un po’ di chiarezza.
Ma anche quel professore, una volta solo, rifletterà su cosa sarà mai successo, che so, il martedì prima del Big Bang. Persino lui si renderà conto che non si può generare alcunché, e che il Big Bang non spiega niente dell’origine di ogni cosa, trattandosi, nel migliore dei casi, di una descrizione parziale di un singolo evento all’interno di un continuum probabilmente senza collocazione temporale. In poche parole, una delle più conosciute e diffuse «spiegazioni» sull’origine e sulla natura del cosmo sbatte contro un muro di gomma dove dovrebbe fornirci le informazioni più importanti. Proprio come durante una parata, in cui solo poche persone tra la folla si accorgono che l’imperatore trionfante non ha un vestito esattamente all’altezza del suo rango. Di certo si deve rispettare l’autorevolezza scientifica e l’intelligenza dei fisici teorici, anche se ai rinfreschi tendono a rovesciarsi addosso il cibo. Ma bisogna ammettere che a un certo punto, tutti noi abbiamo pensato, o almeno avvertito una sensazione del genere: «Tutto questo in realtà non funziona. Non spiega nulla di davvero fondamentale. Tutte queste storie, dalla prima all’ultima, non sono soddisfacenti. Non sembrano vere, non sembrano giuste. Non rispondono alle nostre domande. C’è del marcio dietro gli eleganti muri ricoperti d’edera dei campus universitari, qualcosa che li intacca molto più dell’acido delle fialette puzzolenti degli scherzi alle matricole».
Come topi che spuntano da ogni parte sul ponte di una nave che sta affondando, così i molteplici problemi del modello attuale stanno affiorando tutt’intorno a noi. Abbiamo capito, per esempio, che la nostra amata e familiare materia barionica – ovvero tutto ciò che vediamo e che abbia una forma più tutta l’energia che conosciamo – si riduce a un drammatico 4 per cento di tutto l’universo, con la materia oscura che occupa un altro 24 per cento. Il nocciolo fondamentale del cosmo diventa così costituito da energia oscura, espressione che descrive qualcosa di completamente misterioso. E, tra l’altro, sappiamo che l’espansione dell’universo sembra accelerare invece che rallentare. In pochi anni, la natura stessa del cosmo è stata ribaltata, anche se nessuno dei nostri colleghi in pausa al distributore automatico sembra minimamente accorgersene.
Negli ultimi decenni, c’è stato un acceso dibattito su un paradosso fondamentale che emerge nella costruzione dell’universo come lo conosciamo. Perché le leggi dell’universo sembrano formulate apposta per rendere possibile la nascita della vita animale? Per esempio, se il Big Bang fosse stato anche solo un milionesimo più potente, tutto sarebbe schizzato via senza dare modo alle galassie e alla vita di svilupparsi. Se la forza nucleare forte fosse diminuita anche solo del 2 per cento, i nuclei atomici non si sarebbero compattati e l’unico tipo di atomo presente nell’universo sarebbe stato il banalissimo idrogeno. Se l’attrazione gravitazionale fosse un pelo minore, le stelle (Sole compreso) non brucerebbero. Questi sono solo tre dei duecento parametri che caratterizzano il sistema solare e tutto l’universo, e sono così stringenti da far risultare quasi impensabile che siano frutto solo della casualità, anche se ciò è esattamente quello che la fisica contemporanea ha il coraggio di affermare. Tutte queste costanti fondamentali dell’universo – non previste da alcuna teoria fisica – sembrano essere state scelte accuratamente, spesso con altissima precisione, proprio per permettere l’esistenza della vita e della coscienza (e sì, la coscienza, fastidiosa e paradossale, fa capolino per la terza volta). Il vecchio modello non dispone di una valida spiegazione per tutto questo. Il biocentrismo, invece, fornisce le risposte, e vedremo come.
C’è dell’altro. Alcune equazioni geniali che spiegano con grande accuratezza le stranezze del moto sono in contraddizione con le osservazioni sul comportamento dei corpi su piccola scala (o, per dirla con il corretto gergo tecnico: la relatività di Einstein risulta incompatibile con la meccanica quantistica). Le teorie sull’origine del cosmo s’impiantano proprio quando si arriva all’evento più interessante: il Big Bang. I tentativi di riunire tutte le forze per produrre una struttura unica e comune che le sostenga – a tal riguardo ora è molto in voga la teoria delle stringhe – richiedono l’ipotesi di almeno otto dimensioni extra, nessuna delle quali ha una vaga reminiscenza nell’esperienza umana, né tantomeno può essere verificata sperimentalmente in alcun modo.
Quando si deve andare al sodo, la scienza dei nostri giorni è incredibilmente efficace nel descrivere come funzionano le singole componenti di qualcosa. Abbiamo smontato l’orologio, riusciamo a contare esattamente il numero di dentini di ogni rotella e ingranaggio, e a determinare la frequenza a cui ruota il volano. Sappiamo che Marte ruota su se stesso in 24 ore, 37 minuti e 23 secondi, e lo sappiamo per certo con tale livello di precisione. Quello che ci stiamo perdendo è il quadro generale. Forniamo risposte valide solo temporaneamente, creiamo tecnologie innovative e sofisticate basandoci sulla nostra conoscenza dei processi fisici in continua evoluzione, ci viziamo con le applicazioni delle nostre scoperte più recenti. Ce la caviamo male solo in un argomento, che sfortunatamente comprende tutte le questioni fondamentali: qual è la natura di questa cosa che chiamiamo realtà, dell’universo nel suo complesso?
Qualsiasi tentativo onesto di riassumere metaforicamente l’attuale comprensione del cosmo dovrebbe ammettere che ci troviamo in una palude. In questo particolare pantano gli alligatori del buon senso devono essere respinti a ogni passo.
Eludere, o anche solo rinviare le risposte a queste domande così profonde e fondamentali è stato, tradizionalmente, appannaggio della religione, prerogativa in cui ha sempre eccelso. Chiunque avesse un po’ di raziocinio ha sempre saputo che alla fine di tutto il discorso ci sarebbe stato un mistero insormontabile e nessun modo di aggirarlo. Infatti, quando esauriamo le spiegazioni e non riusciamo a risalire alle cause che hanno portato un certo evento a verificarsi, chiosiamo dicendo: «L’ha fatto Dio». Ora, in questo libro non ho intenzione di discutere alcun credo religioso, né di schierarmi da una parte o dall’altra analizzando se questo modo di ragionare sia giusto o no. Voglio solo far presente che l’invocazione di una qualche divinità serviva a raggiungere uno snodo necessario: permetteva di arrivare a una sorta di punto finale concordato. Appena un secolo fa, i libri di scienza citavano abitualmente Dio, riportavano l’espressione «gloria di Dio» ogniqualvolta una questione raggiungesse qualcosa di veramente profondo o l’aspetto di un problema di cui era impossibile fornire ulteriori spiegazioni.
Oggi simili dimostrazioni di umiltà scarseggiano. L’ipotesi di Dio è stata messa da parte, com’è giusto che fosse in una trattazione strettamente scientifica, ma nessun’altra entità, o oggetto, ha preso il posto del perfetto «non ne ho idea». Al contrario, alcuni scienziati (penso a Stephen Hawking o Carl Sagan nei suoi ultimi anni) insistono nel dirci che una teoria del tutto è appena dietro l’angolo, e che presto sapremo praticamente ogni cosa, è questione di giorni.
Non è accaduto, e non accadrà. La ragione non risiede nella mancanza di impegno o di intelligenza. È la stessa visione di fondo del mondo a essere fallace. Ecco che così, oltre alle citate contraddizioni teoriche, si aggiunge un nuovo strato di ignoranza che balza davanti ai nostri occhi con frustrante regolarità.
Eppure esiste una soluzione a portata di mano, una soluzione che si presenta con la stessa frequenza con cui, ogni volta che il vecchio modello fallisce, scorgiamo una risposta dietro l’angolo. È questo il problema di base: abbiamo ignorato un elemento cruciale del cosmo, fatto fuori perché non sapevamo che farcene. Questo elemento è la coscienza.

2. All’inizio c’era… Che cosa c’era?

Tutte le cose sono Uno.
ERACLITO, Sulla natura (490 a.C. circa)
Come può un uomo la cui carriera è incentrata sull’estendere il metodo scientifico fino ai suoi confini estremi – ricerca sulle cellule staminali, sulla clonazione animale, sull’inversione dei processi d’invecchiamento cellulare – farsi testimone dei limiti del proprio lavoro?
Eppure, nella vita ci sono molte cose oltre a quelle che la nostra scienza sa spiegare. Penso sempre a quanto la nostra quotidianità renda ovvia tale affermazione.
Poco tempo fa, stavo percorrendo a piedi la strada che corre lungo il terrapieno di collegamento tra la terraferma e l’isolotto che chiamo casa. L’acqua del lago era scura e immobile. Mi sono fermato e ho spento la torcia. Una moltitudine di corpi luminescenti al lato della strada ha catturato la mia attenzione. Ho pensato che fossero i funghi Clitocybe illudens, simili alle zucche di Halloween, capaci di spuntare tra le foglie con il loro cappello bioluminescente. Mi sono accucciato per guardarne meglio uno con la torcia. Ho scoperto che, invece, si trattava della larva di una lucciola, la Lampyris noctiluca, il coleottero luminoso appartenente alla famiglia Lampyridae. C’era qualcosa di ancestrale in quel piccolo corpo ovale e orlato, come fosse una trilobite appena fuoriuscita dal mare cambriano cinquecento milioni di anni fa. Eravamo lì, il coleottero e io, due creature viventi reciprocamente entrate l’una nel mondo dell’altra, in qualche modo connesse in profondità. A un certo punto la lucciola smise di emettere la sua luce verdastra e io spensi la mia torcia.
Mi chiesi se la nostra breve interazione fosse stata diversa da quella di altri due oggetti generici nell’universo. Questa piccola larva primitiva è solo un altro insieme di atomi, proteine e molecole in moto perenne come i pianeti intorno al Sole? È mai possibile afferrarne il senso utilizzando solo una logica meccanicistica?
È vero che le leggi della fisica e della chimica descrivono la biologia elementare dei sistemi viventi, e da dottore laureato in medicina quale sono, so elencare nel dettaglio i princìpi chimici e l’organizzazione delle cellule animali: l’ossidazione, la biochimica del metabolismo cellulare, il gruppo dei carboidrati, dei lipidi e le configurazioni degli amminoacidi. Quel piccolo coleottero, però, era molto di più della semplice somma delle sue funzioni biochimiche. Non possiamo ottenere una piena comprensione della vita osservando solamente cellule e molecole. L’esistenza fisica di qualcosa non può essere scissa dalla vita animale e dalle strutture che coordinano la percezione e l’esperienza sensoriale.
Mi sembrava, piuttosto, che quella creatura fosse il centro della propria sfera di realtà fisica, come io ero il centro della mia. Eravamo connessi non solo per l’intreccio delle nostre percezioni, e neanche perché eravamo entrambi vivi, nello stesso momento, su questa Terra vecchia di 3,9 miliardi di anni, ma per qualcosa di misterioso e suggestivo, per uno schema che modella il cosmo stesso.
Così come la semplice esistenza di un francobollo commemorativo di Elvis Presley rivelerebbe, a un eventuale visitatore alieno, molto di più di quanto potrebbe fare una fredda fotografia della storia della musica pop, anche quell’insetto ha una storia illuminante da raccontare; sta solo a noi avere l’atteggiamento mentale giusto per saperla apprezzare.
Sebbene se ne stesse quieto lì al buio, aveva zampette perfettamente allineate al di sotto del suo corpo segmentato, e possedeva cellule sensoriali che in quel momento stavano trasmettendo messaggi ai neuroni nel suo cervello. Forse quella creatura era in qualche modo troppo primitiva per raccogliere dati e individuare la mia posizione nello spazio. Forse la mia presenza nel suo universo si limitava a una gigantesca ombra capelluta che reggeva una torcia. Non lo so. Ma di certo, appena mi sono alzato e allontanato, la mia presenza si è dissolta nella nebbia delle probabilità che avvolgeva il piccolo mondo di quella lucciola.
Finora la nostra scienza ha fallito nel riconoscere quelle peculiarità della vita che la rendono fondamentale nel mondo materiale. La visione del mondo nella quale la vita e la coscienza, invece, sono il fulcro della comprensione di tutto l’universo – il biocentrismo – ruota attorno al fatto che un’esperienza soggettiva, che noi chiamiamo coscienza, è correlata a un processo fisico.
È un mistero gigantesco che ho inseguito per tutta la vita, ricevendo tanto aiuto lungo la strada ed ergendomi sulle spalle di alcuni tra i più rinomati e geniali pensatori dell’epoca moderna. Alla fine sono giunto a una conclusione che forse scandalizzerà le convinzioni dei miei predecessori, perché pone la biologia in cima alle altre scienze nel tentativo di trovare una teoria del tutto (la famigerata TOE, Theory of Everything) che possa fare a meno delle altre discipline.
Parte dell’eccitazione seguita all’annuncio della mappatura del genoma umano o al fatto di essere vicini a ricostruire il primo secondo di tempo dopo il Big Bang, si spiega con il nostro innato desiderio di conoscere le cose nella loro completezza e totalità.
Ma quasi tutte le teorie onnicomprensive presentano il grave difetto di non considerare un fattore cruciale: siamo no...

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