Il Partito comunista italiano. Storia di rivoluzionari. 1921-1945
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Il Partito comunista italiano. Storia di rivoluzionari. 1921-1945

Sergio Gentili

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Il Partito comunista italiano. Storia di rivoluzionari. 1921-1945

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Il 21 gennaio del 1921 veniva fondato il Partito comunista d'Italia, con l'obiettivo di trasformare le forze del lavoro e quelle popolari nelle nuove classi dirigenti del Paese. È l'inizio di una battaglia per la costruzione, in Italia e nel mondo, di una società fondata sui valori dell'uguaglianza, della pace, della democrazia e della libertà contro lo sfruttamento di pochi e potentissimi gruppi economico-finanziari. Sergio Gentili ricostruisce la storia del Pci, i mutamenti culturali e politici avvenuti nella sua visione strategica di avanzata verso il socialismo, il ruolo che ha ricoperto all'interno dei grandi accadimenti storici del "Secolo breve", le analisi teoriche e politiche dei suoi studiosi e le voci appassionate dei suoi protagonisti. Un racconto storico e politico che unisce, nel segno della rivoluzione, la tenacia ideale di un gruppo di giovani in un teatro livornese di inizio secolo alla Liberazione d'Italia avvenuta nel 1945. Un testo fondamentale per rispondere a una semplice domanda: chi erano i comunisti italiani? Prefazione di Alexander Höbel.

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Información

Editorial
Bordeaux
Año
2021
ISBN
9791259630452
Categoría
History
Categoría
World History
Capitolo secondo - Rivoluzione, certo. Ma come e quale? (1926-1935)
Oscillazioni: crisi immediata o stabilizzazione relativa del capitalismo?
Una vita difficile. Il Pci, con il congresso di Lione, fa proprie dopo cinque anni le tesi del iii e del iv Congresso dell’Internazionale comunista (1921-1922), che considerano terminata la fase politica di crisi immediata del capitalismo e accoglie le indicazioni sulla bolscevizzazione del partito. Per il Pci è in corso la crisi generale del sistema capitalistico ma si è entrati nella fase di “stabilizzazione relativa”, che allontana nel tempo le crisi insurrezionali, pertanto è il momento di preparare le condizioni per la rivoluzione: l’unità della classe operaia col Fronte unico (Fu) e la costruzione di alleanze per i governi operai e contadini.
La situazione politica italiana si aggrava drammaticamente: tra il 1925 e il 1926 il fascismo approva le leggi speciali. In particolare, il 6 novembre, è approvata la legge di pubblica sicurezza per imprigionare e perseguitare tutti gli oppositori1. Questa legge vìola l’immunità parlamentare e Mussolini può fare arrestare Antonio Gramsci (8 novembre 1926). Non è passato neppure un anno dal congresso di Lione.
Precedentemente, altri dirigenti di primo piano del Pci sono stati arrestati e molti altri lo saranno nei mesi e negli anni successivi. Nel 1928, il Tribunale speciale condannerà nel “processone” i dirigenti comunisti a pene durissime di reclusione: Terracini a 22 anni, 9 mesi e 5 giorni; Gramsci, Scoccimarro e Roveda a 20 anni, 4 mesi e 5 giorni; per Bibolotti, Marchioro, Riboldi, Borin, Ferragni, Gidoni, Nicola, Stefanini, Zambon, Flecchia, Tettamanti e Ferrari condanne tra i 18 e i 16 anni; altri a pene minori2.
Con le leggi fascistissime il dittatore manganella l’Italia direttamente con i poteri dello Stato monarchico-fascista. Dà il via alla fascistizzazione dello Stato. Vergognosamente, è sostenuto ancora dal re, dagli industriali, dagli agrari, da una parte degli intellettuali orientati da Giovanni Gentile, e anche da Benedetto Croce e dal Vaticano, che gli permettono di superare senza danni la crisi politica del delitto dell’onorevole Matteotti. Il 3 gennaio 1925 Mussolini si presenta alla Camera. È in divisa nera, tronfio e senza orrore di sé, rivendica tutta la responsabilità delle violenze fasciste e dell’assassinio di Matteotti, declamando, di fatto, l’atto di accusa della sua condanna:
Ebbene, dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto... Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento a oggi.
I comunisti e tutti gli antifascisti sono sottoposti a una caccia spietata: arrestati, torturati, alcuni uccisi, gettati nelle galere e inviati al confino. I dati sono allarmanti: in pochi giorni, oltre mille iscritti al Pci, vengono imprigionati. Molti democratici sono costretti a lasciare l’Italia.
Di fronte alla nuova ondata di repressione fascista, la scelta immediata dei comunisti è di resistere, di organizzarsi e di lottare in clandestinità. Si formano due direzioni politiche: il Centro interno, in Italia, è diretto da Camilla Ravera, prima donna chiamata a dirigere un partito politico; il Centro estero, a Parigi, è diretto da Palmiro Togliatti3. «Il partito comunista – afferma con orgoglio e coraggio Ravera – rimane in Italia e continua la sua azione di lotta».
In quelle settimane cadono tutte le illusioni e le analisi errate sulle difficoltà del fascismo e sulla possibilità di essere sostituito da un governo di liberali con l’appoggio dei riformisti. Viceversa, avanza una inedita forma di potere, un nuovo regime, realizzato dalla parte più violenta e reazionaria delle classi dirigenti italiane con l’appoggio delle classi medie.
La divisione e la passività delle forze democratiche e di sinistra non creano seri ostacoli al fascismo.
Per l’Italia si apre un lungo periodo dittatoriale, caratterizzato da un impasto di demagogia, di guerre, di razzismo, di ingiustizie sociali, di violenza, di trasformismo e di conformismo. Per il Pci la situazione diventa durissima. Tuttavia, anche sotto la repressione fascista, i giovanissimi funzionari del Pci sono ottimisti, in essi gioca psicologicamente “la fiducia nella vittoria del socialismo su scala mondiale”, grazie all’esistenza dell’Urss e del partito mondiale della rivoluzione socialista, il Comintern, di cui fanno parte.
Queste convinzioni sono solidissime anche in presenza di una lunga e furibonda lotta politica nel Pc(b), che ha drammatiche ripercussioni nell’Ic in termini di restrizione del dibattito, di oscillazioni e rovesciamenti di linee politiche e di provvedimenti autoritari sui gruppi dirigenti sovietici e dei vari partiti.
Gramsci-Togliatti, una discussione non conclusa. I metodi staliniani colpiscono anche il Pci. Si apre un periodo triste e pericoloso in cui la battaglia politica interna si sviluppa lungo le vie delle condanne, delle espulsioni e della repressione.
In quegli anni il culto della personalità di Stalin cresce fortemente nella vita del Pc(b) e del Comintern.
Il clima politico interno si irrigidisce e degrada sempre più. Sono gli anni in cui Stalin rovescia alleanze e posizioni politiche nel partito. Non solo Trotskij, ma anche Zinov’ev e Kamenev passano all’opposizione. Cuore politico del contendere è la costruzione del socialismo. I tre leader bolscevichi costituiscono il “blocco delle opposizioni”, propongono una via alternativa basata sulla fine della Nep, la rottura dell’alleanza con i contadini, una pesante tassazione per i kulaki (contadini agiati) e aumenti salariali. Criticano la scarsa democraticità nella direzione del partito e si organizzano in frazione. Nel Cc del 1926 i bolscevichi confermano la linea di Stalin e si arriva a una tregua, grazie all’autocritica delle opposizioni pubblicata il 16 ottobre. Il tutto, però, precipita in pochissimi giorni quando Max Eastman, amico di Trotskij, pubblica sul New York Times il cosiddetto “testamento di Lenin”, in cui lo stesso Lenin descrive le diverse caratteristiche dei capi del partito e dà un duro giudizio sul carattere e sui metodi di Stalin. Il 27 ottobre si riunisce il Cc in cui Stalin attacca direttamente Trotskij. Le conseguenze sono che quest’ultimo viene escluso dall’ufficio politico e Zinov’ev destituito da presidente del Comintern.
La lotta contro le correnti organizzate diventa la mannaia con cui Stalin, capo della corrente di maggioranza, “stravince” la lotta interna nel Pc(b).
Antonio Gramsci è il primo ad avvertire la pericolosità del cambio di metodo nel dibattito interno al partito bolscevico.
Lenin aveva affermato un metodo di direzione pol...

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