Le origini culturali del Terzo Reich
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George L. Mosse

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George L. Mosse

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Come è stato possibile che, nel cuore della vecchia Europa, persone «perbene», intelligenti e istruite abbiano aderito in massa alla causa del nazismo, abbracciandone i valori? Molti vedono nell'ideologia nazionalsocialista il prodotto di poche menti squilibrate, o una mera costruzione propagandistica per conquistare il consenso popolare. Ma l'ascesa di Hitler non fu un incidente della storia. Il Saggiatore ripropone al lettore italiano Le origini culturali del Terzo Reich, il primo saggio ad aver esaminato il nazismo come sistema di pensiero capace di comporre – attraverso il collante dell'antisemitismo – convinzioni e ideali che da tempo circolavano nella società tedesca: il misticismo naturalistico del Volk, l'irrazionalismo neoromantico, l'ossessiva riscoperta di un passato mitologico, il rifi uto del governo rappresentativo e dell'urbanizzazione, il razzismo. Un'ideologia «nazional-patriottica» che si era accesa nelle circostanze dettate dalla travagliata unifi cazione tedesca e dall'impatto della rivoluzione industriale su una società prevalentemente agricola, e che divampò in seguito al diktat del trattato di Versailles e all'enorme instabilità della Repubblica di Weimar. Il nazismo fu la tragica risposta a una crisi del pensiero e della politica che in Germania imperversava da decenni. Per comprendere il passato, lo storico deve penetrare nella percezione che gli uomini comuni hanno del tempo in cui sono immersi. Guidato da questa premessa, George L. Mosse offre un contributo tuttora imprescindibile per ripercorrere la lunga strada che portò al potere il più vasto e terribile movimento di massa del Novecento.

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Información

Editorial
Il Saggiatore
Año
2015
ISBN
9788865764077
Categoría
Storia

1. Dal romanticismo al Volk

Il carattere intellettuale e ideologico del movimento nazional-patriottico fu diretta conseguenza del movimento romantico dell’Europa ottocentesca. Come il romanticismo, l’ideologia del Volk rivela una netta tendenza all’irrazionale e all’emozionale, e anch’essa aveva di mira l’uomo e il mondo. Erano concezioni che trovavano un volonteroso uditorio. Il razionalismo era discreditato; le sottili differenziazioni e limitazioni dei sistemi intellettuali e delle ideologie razionalistiche del XVIII secolo erano state travolte da quelle che molti ritenevano forze storiche e sociali incoercibili. Il paziente sperimentalismo e la disciplina intellettuale dell’illuminismo avevano aperto la strada all’ideale rivoluzionario e il concetto di un Dio intelliggibile l’aveva aperta a una visione panteistica dell’universo.
Nuovo e più energico incentivo il movimento nazional-patriottico di ispirazione romantica aveva avuto dallo scompiglio che aveva accompagnato la trasformazione sociale, economica e politica dell’Europa. Stimolati o spaventati, a seconda dell’appartenenza all’uno o all’altro schieramento, dalle ricorrenti rivoluzioni che scuotevano la Francia, accerchiati da un’invadente società industriale, uomini e donne cercavano di trovare un significato dell’esistenza che trascendeva la transitoria realtà della loro presente condizione. Il rapido processo di industrializzazione europea, ai loro occhi non poteva non apparire sconvolgente, accompagnato com’era da vasti spostamenti di masse, dalla rapida obsolescenza di strumenti, mestieri e istituzioni tradizionali, nonché da squilibri sociali e sconvolgimenti politici. Le esigenze di una società industriale in espansione, con le occasioni e le restrizioni di nuovo conio che comportava, avevano per effetto di accentuare il senso di isolamento dell’individuo, quell’alienazione dell’uomo da se stesso e dalla sua società che attirò l’attenzione di uomini tanto diversi tra loro come Tocqueville e Karl Marx.
Sconcertati e provocati, gli europei cercavano di rivalutare la propria individualità. Ma, poiché il ritmo di trasformazione industriale, insieme con i suoi effetti, sembrava sfuggire alla presa della ragione, né poteva facilmente integrarsi nel nuovo ordine sociale, molti furono coloro che voltarono le spalle alla soluzione razionale dei problemi per scavare invece nei propri abissi emozionali. L’aspirazione all’autoaffermazione, il desiderio dell’individuo di attuare le proprie potenzialità, beffardamente accentuati dal processo di alienazione, si accompagnavano al contraddittorio impulso ad appartenere a qualcosa di più grande del singolo, tendenza che non poteva non limitare l’indipendenza individuale. L’umana condizione pareva appartenere a due sfere diverse, quella dell’individuo sulla terra e una più ampia, extrasociale, nell’ambito della quale l’uomo avrebbe potuto approdare a un’identità universale. Quest’ultima fu ritenuta la «vera» realtà e, dal momento che le condizioni sociali esistenti erano preoccupanti e oppressive, i romantici questa più ampia, onniabbracciante unità la cercarono al di fuori delle dominanti condizioni sociali ed economiche, definendola in termini cosmici. L’universo stesso era ritenuto incarnazione della «superiore realtà» promotrice di tutto ciò che avveniva in terra. Visto in una prospettiva panteistica, in termini romantici, emozionali, il mondo era considerato unito al cosmo per il tramite della «forza vitale» che da quello radiava alla terra, pervadendo di sé coloro che fossero in sintonia con essa. L’autorealizzazione era ritenuta possibile soltanto nella misura in cui l’uomo fosse pervaso da tale forza e in armonia con il cosmo da cui essa promanava.
I romantici in questione, tuttavia, non erano puri mistici, interessati soltanto ai loro profondi nessi personali con l’universo, ancorché tenessero in gran conto i mistici tedeschi quali Meister Eckhart, considerandoli loro precursori. Pur rifiutando l’ambiente sociale in cui vivevano, non escludevano la possibilità di una sua ricostruzione secondo principi di maggiore armonia. Soprattutto in Germania, dove l’occupazione straniera e le guerre di liberazione erano coincise con l’ondata romantica, la sintesi tra gli estremi dell’individualismo e della ricerca di un’identificazione cosmologica fu trovata nel Volk. Uomini come padre Jahn, Arndt e Fichte, cominciarono a concepire il Volk in termini eroici già durante le guerre di liberazione antinapoleoniche e l’idea di Volk assunse significato ancora più estensivo dopo il Congresso di Vienna. Sembrava che i freddi calcoli della politica di potenza continentale l’avessero spuntata sull’aspirazione all’unità nazionale: Napoleone aveva semplicemente dato il via al processo di soggiogamento della Germania; a completarlo fu il Congresso di Vienna. L’opposizione al caos sociale, figlio dell’industrializzazione e dell’urbanesimo fu quindi incrementata dalle deluse aspirazioni nazionali, e vi fu chi cercò la via d’uscita alle proprie frustrazioni istituendo un nesso tra Volk e cosmo, inteso come la vera e più profonda realtà.
Idealizzato e trascendente, il Volk simboleggiava l’agognata fusione di là dalla realtà contemporanea; il Volk fu elevato al di sopra delle attuali condizioni dell’Europa, situato a un livello al quale sia l’individualismo che la più ampia sfera dell’appartenenza acquistavano risalto. Il Volk rappresentava il veicolo tangibile della forza vitale che si irradiava dal cosmo, era un’entità più soddisfacente, cui l’uomo poteva praticamente riferirsi mettendosi in armonia con l’universo. L’ideologia nazional-patriottica fece insomma del Volk l’intermediario tra l’uomo e la «superiore realtà».
Ma se l’individuo era legato al Volk che, a sua volta, in quanto ricettacolo della «forza vitale», costituiva il nesso con la «superiore realtà», qual era la concreta espressione di questa trinità? Comune tanto all’individuo quanto al Volk era il romantico concetto panteistico di natura. Per i romantici, lungi dall’essere fredda e meccanica, la natura era viva e spontanea, anzi ricolma di una forza vitale che aveva il suo corrispettivo nelle emozioni dell’uomo. L’anima umana poteva porsi in rapporto con la natura, dal momento che anche questa era dotata di un’anima, e ogni individuo poteva, di conseguenza, istituire con la natura un’intima corrispondenza condivisa con tutto il suo Volk. In tal modo, l’individuo era collegato a ogni altro membro del Volk da un comune sentimento di appartenenza, da una comune esperienza emozionale. In ultima analisi, però, il Volk non aveva dimensioni universali, limitato com’era a una particolare entità nazionale. Pertanto, a conferirgli il suo carattere, la sua potenzialità e la sua unità, non erano tutte le manifestazioni naturali, bensì soltanto quelle regionali. La natura era definita in termini di paesaggio, cioè di quei tratti dell’ambiente circostante peculiari e familiari ai membri di un Volk ed estranei a tutti gli altri.
Il paesaggio divenne così elemento fondamentale della definizione del Volk che grazie a esso aveva modo di mantenere un continuo contatto con lo spirito vitale del cosmo trascendente. E l’agognata realtà venne così a essere caricata di valori emozionali e di aspirazioni alla vita rurale, esplicito riflesso del desiderio, proprio dell’ideologia del Volk, di sottrarsi, negandone la validità, ai valori sempre più industriali e urbani del secolo. L’uomo non era visto come un dominatore della natura, né lo si riteneva dotato della capacità di penetrarne il significato facendo ricorso agli strumenti della ragione; al contrario, lo si glorificava in quanto vivente in accordo con la natura, in quanto tutt’uno con le mistiche forze di questa. In tal modo, anziché essere incoraggiato ad affrontare i problemi posti dall’urbanesimo e dall’industrializzazione, l’uomo era allettato a ritirarsi in una nostalgia arcadica. Non nell’ambito della città, ma nel paesaggio, nella campagna indigena, l’uomo era destinato a fondersi e a radicarsi nella natura e nel Volk. È soltanto attraverso questo processo, che aveva luogo nell’ambiente natio, ognuno sarebbe stato in grado di esprimere se stesso e di trovare la propria individualità.
L’espressione «radicato» era perennemente sulle labbra dei teorici del Volk: e ben a ragione. Nel radicamento in questione era implicito infatti il concetto di corrispondenza dell’uomo con il paesaggio tramite la propria anima, e quindi con il Volk incorporante la vita spirituale del cosmo. Il radicamento costituiva l’elemento fondamentale della catena degli esseri nazional-patriottici. Inoltre, il radicamento nella campagna faceva da contrasto all’inurbamento o a ciò che veniva chiamato «sradicamento», oltre a fornire un conveniente criterio per l’esclusione degli stranieri dal Volk e dalle virtù del radicamento. Il concetto in questione forniva inoltre un metro di misura della completezza dell’uomo e della sua validità interiore. Parallelamente la mancanza di radici stigmatizzava l’individuo come privo della forza vitale e quindi mancante di un’anima ben funzionante; tale carenza equivaleva a una condanna totale dell’uomo, laddove il suo contrario significava appartenenza al Volk, quello che conferiva all’uomo la propria umanità.
Oltre alle restrizioni imposte dal paesaggio e dalla regione, altre intervenivano a circoscrivere il Volk. Il crescente interesse dei romantici per la natura si era accompagnato alla rinascita di una nozione della storia capace di fornire una spiegazione e di indicare una meta dello sviluppo umano. Nello storicismo nazional-patriottico, il Volk assumeva i caratteri di una entità storica che il presente aveva avuto in retaggio da un remotissimo passato. Come la nostalgia del passato medioevale aveva avuto un ruolo di primo piano nel romanticismo, così da parte dei teorici nazional-patriottici si tendeva a contrapporre l’idillico Volk medioevale al presente moderno, attuale. Radicando il Volk nel passato remoto, la storia sembrava anche dotarlo di durevolezza. Napoleone e la reazione politica europea che si opponevano al nazionalismo potevano, sì, riportare la vittoria, ma solo in via temporanea, ché il Volk, il quale era durato per secoli, non poteva venire distrutto né definitivamente soggiogato. L’idea di questa storicità forniva all’individuo un ulteriore nesso con il paesaggio e con il Volk, oltre a dilatare il concetto di paesaggio, fino a includervi non soltanto le montagne, le vallate, gli alberi e i campi, ma anche le leggendarie imprese di coloro che, per secoli, erano vissuti in questo ambiente «genuino». Le piccole città, i villaggi, i contadini e i borghigiani simboleggiavano il nesso tra storia e Volk e la fusione di questo con il paesaggio. La storicità, di conseguenza, si univa alla natura nel definire il Volk, dandogli un fondamento in realtà constatabile. La storia arricchiva il concetto di radicamento, in quanto questo acquistava una base più larga: natura e tradizione storica.
Tali, dunque, i componenti dell’ideologia che si autodefiniva «nazional-patriottica», fondamento di un modo di pensare, atteggiamento verso la vita destinato ad avere fatali conseguenze per lo sviluppo della moderna Germania. Si trattava, in sostanza, di un’ideologia che si opponeva al progresso e alla modernizzazione trasformanti l’Europa del XIX secolo, e che si serviva, amplificandolo, del romanticismo onde istituire un’alternativa al mondo moderno, alla civiltà industriale urbana in espansione che sembrava privare l’uomo della sua individualità creativa, isolandolo da un ordine sociale in apparenza esangue e privo di vitalità. L’ideologia nazional-patriottica rivitalizzò la struttura sociale trasmettendole l’energia del Volk, in pari tempo dando nuova linfa alle potenzialità di autorealizzazione individuale con l’integrarle nei processi creativi di una superiore forza vitale. Perché questa forza, che raggiava dal cosmo, era il Volk a trasmetterla, diveniva imperativo, per l’individuo, esser membro dell’entità Volk. Modo di vedere le cose che forniva una risposta al problema dell’alienazione dalla società con l’ipotizzare un’unità sovrasociale, l’appartenenza alla quale era di importanza vitale; ancora, esso faceva dell’appartenenza ad alcunché di più ampio dell’io individuale una virtù positiva, indispensabile alla salvezza del singolo. Così, il radicamento, sia nella natura (nell’accezione di paesaggio natio) sia nella storia evolutiva del Volk, era visto quale stato naturale, rigenerativo dell’uomo, capace di trasformare l’individuo in essere creativo, mentre in pari tempo permetteva di ricostruire la nazione contemporanea secondo il modello del Volk.
L’ideologia nazional-patriottica, quale emerse, in guisa di Atena armata, sullo scorcio del XIX secolo, era strettamente legata alla divulgazione di una delle sue idee basilari, il concetto, peculiare e singolarissimo, di natura con la relativa nozione di radicamento. A partire da tali premesse, l’ideologia del Volk fu allargata a divenire una Weltanschauung. La distinzione tra natura e paesaggio fu sintetizzata da Otto Gmelin, autore di romanzi storici, in Die Tat, all’epoca uno dei principali portavoce dell’ideologia romantico-nazional-patriottica:
Una regione rurale diviene paesaggio qualora sia un tutto coerente e con caratteristiche proprie, ciò che può verificarsi soltanto a patto che essa divenga l’esperienza dell’anima umana, a patto che l’anima riconosca nel ritmo dell’ambiente rurale il suo proprio ritmo.
E Gmelin significativamente passa a ridurre la natura in generale a una precisa entità regionale e intelliggibile:
Per ogni popolo e per ogni razza, un ambiente rurale diviene così il suo peculiare paesaggio.1
In un’ulteriore elaborazione del concetto, scritta alla vigilia della Prima guerra mondiale, si afferma che
il paesaggio è alcunché di obiettivo, neutrale, che acquista valore soltanto quando lo si veda col filtro del nostro spirito. Esso acquista valore grazie alla forza vitale della nostra anima, il ricettacolo di cui il paesaggio diviene l’oggetto.2
La natura allo stato brado deve essere domata, il paesaggio primitivo sublimato. Nei paesi di lingua romanza, la natura conservava residui di un’energia primitiva e assicurava ai romantici quell’esaltante corrispondenza tra essa e la loro anima che permetteva al giovane Berlioz di trarre maggiore ispirazione dalla campagna romana che dai conservatori musicali dell’Urbe. In Germania, però, il concetto di tale energia fu rielaborato per ottenerne effetti più specifici: nel contesto dell’ideologia nazional-patriottica tedesca, il giovane Berlioz non avrebbe potuto essere ispirato dal paesaggio italiano: non era questo il suo luogo natio, il solo che potesse stimolare la fusione delle anime in espressione creativa.
Domando la natura, i teorici del Volk la riabilitavano quale paesaggio costituito di flora, fauna, villaggi e di piccole rustiche fattorie, entità che erano convissute così a lungo nel suo seno, da divenire parte integrante dell’ambiente rurale. Nel 1896, Friedrich Ratzel, scrittore volentieri citato, rese esplicita questa fondamentale caratteristica laddove, parlando del risveglio romantico del sentimento per la natura, definiva il processo
soltanto un segno della crescente riconciliazione col nostro paese, vale a dire con noi stessi come Volk. Come, infatti, si potrebbe scindere dal vero essere [naturale] un Volk che per cinquecento anni ha lavorato, è vissuto e ha sofferto sempre sullo stesso suolo?
E Ratzel prosegue sullo stesso tono, definendo la natura come spontanea e attribuendole il carattere e la personalità del Volk. Negando che il paesaggio tedesco sia affine a quello reperibile nella Francia orientale, nei Paesi Bassi, nello Jutland, in Polonia, in Austria e in Svizzera, Ratzel rileva che questa affinità valeva soltanto «per chi consideri il paesaggio quale mera natura, per chi veda, nell’uomo che in esso vive, null’altro che un arredo, un elemento scenico». Ma, egli conclude, il paesaggio tedesco è diverso, poiché in esso «un popolo inscrive il proprio spirito e il proprio destino, così come lo fa nelle sue città e case».3
L’affermazione di Ratzel è significativa, nel senso che esprime la convinzione che le radici storiche del Volk fossero parte integrante della natura. Questa idea di integrazione panteistica fu ulteriormente allargata dal noto storico Heinrich von Sybel che, nella sua opera Die Deutschen bei ihrem Eintritt in die Geschichte (I tedeschi al loro ingresso nella storia, 1863), avanzava la tesi che «la fonte della religione germanica null’altro è che un profondo, caldo sentimento della natura, il quale da solo è bastato a introdurre questo Volk alla storia e alla cultura umane».4 Ma ancora più celebre e influente fu l’opera di Theodor Fontane, Wanderungen durch die Mark Brandenburg (Vagabondaggi per la marca brandenburghese, 1862-1882), dove il Brandenburgo viene descritto come un tutto indivisibile di storia, architettura e paesaggio prussiani, comprendente la popolazione allo stesso modo della terra da essa coltivata e abitata. L’opera, di notevole livello letterario, sintetizza l’intimo nesso tra la creatività e la vita politica di un popolo, e la natura assolutamente unica che lo circonda e in cui esso mette radici. Il libro di Fontane divenne il breviario del Movimento giovanile tedesco, e anzi ha mantenuto la propria popolarità fino ai giorni nostri.
Ma, a divenire normative per ampia parte dell’ideologia del Volk non furono tanto l’opera di Fontane, Sybel o Ratzel, quanto quella di uno scrittore a essi anteriore, Wilhelm Heinrich Riehl, il quale seppe elaborare una visione dell’uomo e della società in correlazione con la natura, la storia e il paesaggio, di ancor più chiara impronta nazional-patriottica. Nel suo celebre Land und Leute (Terra e genti), scritto tra il 1857 e il 1863, Riehl trattò della natura organica di un Volk che, a suo giudizio, poteva essere pienamente realizzata soltanto a patto di una fusione con il paesaggio natio. L’autore, il cui arco vitale si estese per gran parte del secolo (1823-1897), fu professore all’università di Monaco e poi sovrintendente alle antichità della Baviera; e, come la maggior parte degli uomini di cui ci occuperemo in questo libro, proveniva da un solido ceppo medioborghese. Riehl esamina i vari gruppi etnici della Germania in termini di paesaggio da essi abitato. La genuinità dell’ambiente naturale è da lui ritenuta cosa degna di lode e a essa Riehl attribuisce il merito di conferire alla popolazione qualità quali la sincerità, la probità e la semplicità. La cultura di un Volk che avesse radici nella natura era opposta, quale sua esatta antitesi, alla civiltà meccanica e materialistica; e Riehl rifiuta ogni artificio e definisce ciò che è moderno natura contraffatta dall’uomo, e come tale priva di quella genuinità cui soltanto la natura vivente conferisce significato. Una contraffazione del genere – per esempio, una città e le sue fabbriche – è da Riehl vista come priva di schiettezza e quindi come elemento che contribuisce alla disarmonia degli abitanti. Così, Riehl indica nei centri urbani di recente sviluppo la causa dell’inquietudine sociale e della sollevazione democratica del 1848 nell’Assia.5 Ai suoi occhi, come a quelli dei successivi ideologi del Volk, soltanto la natura era genuina, dal momento che soltanto da essa venivano al Volk la forza vitale e il significato storico; ogni miglioramento apportatovi semplicemente dalla mano dell’uomo non avrebbe fatto che distruggere il consacrato significato di natura e quindi privare l’individuo, e il popolo insieme, di verità e poteri rigenerativi.
Riehl non si limitò alla compenetrazione di natura, Volk e cosmo, non si spinse a formulare importanti precetti per la società qual era auspicata dall’ideologia del Volk. Prendendo una volta ancora le mosse dall’ideale di natura, elevò l’ambiente rurale incontaminato a modello per la struttura sociale da lui voluta; nella contrapposizione naturale di campo e foresta, vedeva la giustificazione a preservare le differenze, altrettanto naturali, tra ceti sociali.6 Le antitesi che fossero parte integrante dell’incontaminato ambiente campestre servivano insomma a confermare le disparità tra le classi, e la società che Riehl aveva di mira era di natura gerarchica e modellata secondo gli stati sociali medioevali.7 Era una concezione che rispecchiava la nostalgia romantica per l’epoca medioevale e che trovava la propria giustificazione nel concetto di affinità storica tra Volk e paesaggio in cui risiede, ideale che sembrava essere stato attuato nelle età di mezzo. Per Riehl, questo legame storico e...

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