Napoli mia
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Napoli mia

L'anima della città raccontata da Bellavista

Luciano De Crescenzo

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  1. 224 páginas
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Napoli mia

L'anima della città raccontata da Bellavista

Luciano De Crescenzo

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Citas

Información del libro

Anche Luciano De Crescenzo, come tutti i comuni mortali, un giorno decide di imbiancare casa, con quel che ne consegue: sgombrare, riordinare, eliminare, inscatolare, in breve mettere ordine nel caos accumulato negli anni. "A darmi una mano" racconta "è stata mia figlia Paola. A un certo punto, tra le tante scatole ne ho ritrovata una che avevo messo da parte un po' di tempo fa, e in cui avevo conservato vecchie fotografie.

'Paola, vieni a vedere come sono belle queste foto! Ma chi l'ha fatte?' E lei: 'Chi può averle fatte se non tu!' 'Ora che mi ci fai pensare, forse fanno parte di quella serie di foto su Napoli che ho scattato negli anni Sessanta… Lo vedi com'era bella la nostra città? Paole', sient' a me, ogni luogo del mondo avrebbe bisogno di un po' di Napoli, perché Napoli non è una semplice città, ma uno stato d'animo!' La scrittura non è stata la mia prima passione... Prima di ricorrere alle parole, la Napoli dei quartieri, quella dei panni stesi al sole, dei numeri al Lotto, dei misteri, l'ho raccontata con la macchina fotografica. Il primo problema che mi ritrovai ad affrontare era come fotografare le persone senza bisticciare. Di solito fingevo di essere uno straniero, e per la precisione un tedesco. I napoletani sono da sempre gentili con i turisti, infatti mi lasciavano fare, senza opporre resistenza. Anzi, a volte si mettevano anche in posa. Alcuni scatti però, preferivo rubarli. Per farlo ricorrevo a due cascetelle di mia invenzione. Ora, per chi non è pratico della lingua napoletana, la cascetella altro non è che una piccola scatola. Le mie erano nere e di diverse dimensioni: una un po' più grande, simile a una valigetta quarantott'ore, e una un po' più piccola, quasi delle dimensioni di un borsello. Entrambe erano munite di una tracolla e di un foro per l'obiettivo. Mimetizzavo al loro interno la macchina fotografica, e grazie a un piccolo cavo che nascondevo nella manica della giacca potevo attivare lo scatto. Così passeggiavo per le strade della città e al momento giusto, quando una scenetta attirava la mia attenzione, spostavo la mano che copriva il foro dell'obiettivo e… click! L'immagine era rubata.

Un po' per nostalgia, un po' per il piacere di far conoscere anche ai più giovani la mia Napoli, ho deciso di raccogliere in questo libro una selezione delle foto ritrovate e inedite, e di accompagnarle con alcuni dei racconti che hanno contribuito alla mia carriera di scrittore. Volutamente ho deciso di non indicare i luoghi dove sono state scattate le foto, in parte perché a una certa età si fa fatica a ricordare, in parte perché mi auguro che, nel tentativo di riconoscere i luoghi, si presti più attenzione ai dettagli, scovando quei particolari che mi hanno fatto innamorare di una Napoli che secondo alcuni non c'è più. Che poi, come dico sempre, io di questa cosa non sono del tutto convinto."

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Información

Editorial
Mondadori
Año
2017
ISBN
9788852083549

Il mistero

Erano le due, c’era il sole e io mi trovavo con Pasquale Amoroso e la sua signora in una tavernella nei pressi di Terzigno.
La strada provinciale che avevamo da poco finito di percorrere collegava in pratica tutti i comuni dell’entroterra vesuviano: Sant’Anastasia, Somma, Ottaviano, San Giuseppe Vesuviano e Terzigno, e quindi veniva ad aggirare il Vesuvio alle spalle fino ad affacciarsi di nuovo sull’autostrada del Sole all’altezza di Torre Annunziata. Durante tutto il viaggio, Amoroso aveva più volte litigato con la moglie a causa della sua smodata passione per il gioco del lotto, passione ovviamente non condivisa dalla signora, e io, che per un po’ avevo cercato di fare da paciere, a un certo punto mi ero completamente distratto contemplando l’altra faccia del Vesuvio, vulcano spento, del tutto inaspettato se visto di dietro.
Tovaglioli di carta, tavola di marmo, pollastrelli adolescenti tra i piedi, la tavernella si presentava con tutte le caratteristiche richieste a una trattoria di paese povero dell’interno. Decidemmo per uno spaghetto aglio e uoglio e cominciammo a calmare i morsi della fame divorando pane nero, burro, acciughe e salame di Boscotrecase, il tutto facilitato da un Gragnano fresco e aspro come una pigna d’uva nera appena spremuta.
Questa uscita con i coniugi Amoroso era tutto merito di un mio cliente che, conoscendo il mio interesse per Napoli e per certe tradizioni napoletane, mi aveva detto: «Ingegné, se volete sapere tutto sul banco lotto e sugli assistiti, e allora dovete parlare con un nostro usciere che si chiama Amoroso, quello se vi prende in simpatia vi porta pure alla Croce del Carmine a parlare con il Santone».
Durante un primo incontro avuto a Napoli, Amoroso mi spiegò che questo Santone non era un assistito come tutti quanti gli altri, per via del fatto che, al contrario degli assistiti tradizionali, lui i numeri chiari non li dava e che per potersi manifestare raccontava dei fatti chiamati misteri. Per essere più precisi Amoroso mi disse proprio così: «Vedete, ingegné, quello il Santone i numeri chiari non li può dare, e questo per due motivi: primo perché ce l’hanno proibito…».
«Ce l’hanno proibito? E chi ce l’ha proibito?»
«Da sopra! Ce l’hanno proibito da sopra!» rispose Amoroso indicando il cielo. «Insomma, ingegné, quelli sopra sono fatti così: se l’assistito esagera e dà troppi numeri, loro da sopra possono pure sospendere l’assistenza da un momento all’altro, non so se mi sono spiegato.»
«Ah, ho capito. E poi per quale altro motivo?»
«Perché anche il governo aveva cominciato a sospettare. L’intendenza di Finanza al Santone se l’era già chiamato in due occasioni per via di quella volta che uscì il 18 terzo eletto che lui aveva fatto giocare a mezza Napoli. Voi dovete sapere che a quell’epoca là il Santone dava ancora i numeri chiari, e così successe che una volta in una cantina il Santone disse: “Sabato prossimo esce 17 terzo eletto e la settimana dopo esce 18 allo stesso posto”. È inutile dirvi che, essendo veramente uscito il 17 terzo eletto, la settimana appresso tutta la popolazione si precipitò a giocare il 18. La gente, insomma, pur di trovare la cifra necessaria per una giocata tanto sicura, s’impegnò tutto quello che si poteva impegnare: oro, argento e oggetti di casa. Comunque, come fu e come non fu, quando venne il giorno dell’estrazione, che come voi sapete si tiene a San Biagio dei Librai, subito dopo estratti i primi due numeri e nel mentre che il funzionario addetto girava il cestello con gli altri numeri, si sentì una voce dalla folla che gridò: “Comm’ ’o ggire e comm’ ’o vuote ’o panariello, terzo eletto ’o fa sempre 18”, e come difatti fu che tracchete e ascette 18. Allora il governo, che in quella occasione dovette rifondere un cuofano di soldi, sguinzagliò subito l’intendenza di Finanza e i Carabinieri per poter appurare come aveva fatto quell’uomo in mezzo alla folla a sapere che sarebbe uscito il 18. E fu così che indagando indagando arrivarono fino al Santone, che per questo da quel giorno là i numeri chiari non li volette più dare. Si chiuse e si mise a raccontare i misteri
«E quali sarebbero questi misteri
«I misteri sono dei fattarielli semplici semplici che voi poi, se ne siete capace, ve li interpretate da solo, se no ve li fate spiegare da qualcuno che fa l’interprete di professione. Io ne conosco uno bravissimo che sta sopra Villanova e che adesso sono tanti anni che fa questo mestiere che difficilmente può sbagliare un mistero
«Perché allora non mi raccontate qualche mistero che il Santone già vi ha fatto?»
«Vi servo subito. Adesso ve ne racconto uno facile facile che così voi mi potete seguire. Dunque, tenete una penna? Bravo! E allora scrivete quello che vi dico io: dunque: Salvatore fa 6, scrivete 6, e Gennaro fa 19, scrivete 19, mo’ adesso Gennaro chiama a Salvatore, chiamare fa 52, scrivete 52. Gennaro dice: “Salvató, viene cca”. Che significa?»
«Che significa?»
«Significa che la cadenza del 9, Gennaro, vuole tenere vicino a sé la figura del 6, Salvatore. Benissimo, allora io adesso vi domando: quali sono i numeri che hanno la figura del 6?»
«Quali sono?»
«Sono il 6, il 15, il 24, il 33…»
«42, 51…»
«Bravo l’ingegnere! Ha capito subito! Però adesso noi tra questi numeri dobbiamo trovare quel numero che, oltre ad avere la figura del 6, tiene pure la cadenza del 9. Qual è?»
«Qual è?»
«È 69.»
«E perché?»
«Perché 6+9 fa 15 e 15 è figura di 6 dal momento che 1+5 fa 6. Ora veniamo a noi: siccome Gennaro, che fa 19, vuole tenere vicino a sé Salvatore, che è figura di 6, noi possiamo fare due ipotesi: o ci giochiamo 25 e 77, o ci giochiamo 69 e 77.»
«Amoró, non ho capito una cosa: ma che c’entrano adesso 25 e 77?»
«Ingegné, seguitemi: se Gennaro e Salvatore si sono, diciamo così, auniti insieme e allora è chiaro che uno si deve giocare il 25, perché 6+19 fa 25. Fate conto, per esempio, che io adesso vi dicessi: “Rosa si è messa sotto al braccio di Giovanni” voi che vi giochereste?»
«?»
«Vi giochereste 54, perché Rosa fa 30 e Giovanni fa 24 e 30+24 fa 54! Se invece Gennaro e Salvatore stanno semplicemente vicini, ma non si sono uniti, e allora dobbiamo ragionare a figura e a cadenza, come vi ho detto prima, e giocare 69.»
«E 77, che c’entra il 77?»
«Gesù, ma è semplice no: chiamare fa 52, Gennaro fa 6 e Salvatore fa 19; e il numero di conto, cioè la somma dei numeri del mistero, fa 77: 52+6+19.»
«Ah.»
«Insomma uno non si deve far scappare nemmeno una parola quando parla il Santone, se no perdete tempo e denaro. Quello, una volta, mi fece questo mistero: Antonio vede a Pasquale che sta scendendo una scala, però non appena Pasquale è arrivato a terra Antonio si volta e si butta addosso a Giuseppe. Io mi giocai 8…»
«Perché 8?»
«Perché Pasquale fa 17 che è figura di 8, e siccome Pasquale la scala l’aveva scesa tutta quanta fino a terra, io mi giocai il numero più piccolo che ci sta con la figura di 8 che poi sarebbe propriamente il numero 8.»
«Ah, ho capito.»
«E poi mi giocai il 32, perché pensai che Antonio fa 13 e Giuseppe 19, e siccome Antonio si era buttato addosso a Giuseppe, 13+19 facevano 32. Insomma, il mistero era chiaro e così mi ci giocai sopra pure una certa cifra: 8 e 32, diecimila lire, ambo secco sulla ruota di Napoli. Se uscivano mi alzavo due milioni e mezzo di lire! Neh, quella viene l’estrazione e che esce?»
«Che esce?»
«Esce 8 e 50. Ingegné, quello Antonio si era voltato! 13 era diventato 31. Insomma, quando Antonio si era buttato addosso a Giuseppe, lui si era già voltato, per cui 31+19 avevano fatto 50 e no 32!»
«Mannaggia la morte! Insomma uno non si deve far scappare nemmeno una parola.»
«Nemmeno una parola, ingegné! Nemmeno una!»
«Ma ci sono altri assistiti oltre al Santone
«Sissignore, voi dovete sapere che a Napoli ci dovrebbero stare sempre settantadue assistiti
«Settantadue?»
«Sissignore. Ora però, mentre una volta questi assistiti si conoscevano tutti quanti tra loro e quindi si sapeva chi erano, oggi invece capita che qualche assistito è magari diventato avvocato… medico… insomma una persona di conseguenza per cui, non avendo bisogno, diciamo così, finisce che non esercita apertamente la professione. Non so se mi sono spiegato. Comunque noi napoletani, all’epoca, abbiamo avuto dei grandissimi assistiti: il famoso Cagli Cagli, Buttiglione, ’o Servitore, ’o Monaco sapunaro, ’o Monaco ’e San Marco… insomma ce ne erano tanti. Una volta a Cagli Cagli per fargli dare i numeri lo appesero per i piedi a capa sotto. Ma lui non parlò. Disse solo: “Mi potete uccidere ma i numeri non ve li dico”. Quelli erano terribili quando si mettevano una cosa in testa. Per esempio, adesso vi racconto una cosa curiosa» e così dicendo Amoroso si alzò e si venne a sedere vicino per potermi raccontare sottovoce un fatto evidentemente non adatto alle orecchie della signora. «Voi dovete sapere che, quando le donne andavano d’ ’o Monaco sapunaro per farsi dare i numeri, quel grandissimo sporcaccione sapete dove ce li scriveva? Ce li scriveva piccoli piccoli, con una matita bleu, nelle parti più intime e più nascoste, non so se mi avete capito, in modo che quelle povere die non se li potevano leggere da sole nemmeno se avessero usato uno specchio.»
«E come facevano a giocarli?»
«Ebbè, d...

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