Teutoburgo
eBook - ePub

Teutoburgo

Valerio Massimo Manfredi

Compartir libro
  1. 360 páginas
  2. Italian
  3. ePUB (apto para móviles)
  4. Disponible en iOS y Android
eBook - ePub

Teutoburgo

Valerio Massimo Manfredi

Detalles del libro
Vista previa del libro
Índice
Citas

Información del libro

È un giorno di sole quando Armin chiama suo fratello Wulf, per mostrargli un prodigio: la costruzione della "strada che non si ferma mai". Una meraviglia che li lascia senza fiato, il miracolo tecnico dei nemici romani, capaci di creare dal nulla una strada che attraversa foreste, fiumi, paludi e non devia nemmeno davanti alle montagne.

Improvvisamente i due sentono dei rumori: è una pattuglia romana. Armin e Wulf sono catturati dai soldati. Nel loro destino però non c'è la morte, né la schiavitù.

Perché Armin e Wulf sono figli di re. Sigmer, il loro padre, è un guerriero terribile e fiero, principe germanico rispettato e amato dalla sua tribù. La sua sola debolezza era l'amicizia segreta con Druso, il grande nemico, il generale romano precocemente scomparso, che Sigmer, di nascosto, ha imparato a conoscere e ad ammirare. Ma di questa ammirazione nulla sanno i due giovani. Devono abbandonare la terra natale e il padre, per essere condotti a Roma. Sono principi, per quanto barbari. Saranno educati secondo i costumi dell'Impero, fino a diventare comandanti degli ausiliari germanici delle legioni di Augusto.

Sotto gli occhi dell'inflessibile centurione Tauro, mezzosangue germano convertito all'amore e alla fedeltà verso Roma, impareranno una nuova lingua, adotteranno nuove abitudini, un modo diverso di pensare.

E come possono Armin e Wolf, cresciuti nei boschi, non farsi incantare dai prodigi di Roma? Non solo la strada, ma anche gli acquedotti, i templi, i palazzi meravigliosi. I due ragazzi diverranno Arminius e Flavus, il biondo, cittadini romani, due giovani guerrieri, stimati da tutta Roma, capaci di conquistarsi la fiducia dello stesso princeps Augusto.

Ma il richiamo del sangue è davvero spento in loro? La fedeltà agli avi può portare alla decisione di tradire la terra che li ha adottati a favore di quella che li ha generati?

Valerio Massimo Manfredi torna al romanzo e racconta, unendo alla perfezione esattezza storica e respiro epico, la storia straordinaria e mai narrata prima di due fratelli, due guerrieri, le cui scelte hanno portato a Teutoburgo, lo scontro decisivo tra Romani e Germani, la battaglia che ha cambiato il destino dell'Impero Romano e del mondo.

Preguntas frecuentes

¿Cómo cancelo mi suscripción?
Simplemente, dirígete a la sección ajustes de la cuenta y haz clic en «Cancelar suscripción». Así de sencillo. Después de cancelar tu suscripción, esta permanecerá activa el tiempo restante que hayas pagado. Obtén más información aquí.
¿Cómo descargo los libros?
Por el momento, todos nuestros libros ePub adaptables a dispositivos móviles se pueden descargar a través de la aplicación. La mayor parte de nuestros PDF también se puede descargar y ya estamos trabajando para que el resto también sea descargable. Obtén más información aquí.
¿En qué se diferencian los planes de precios?
Ambos planes te permiten acceder por completo a la biblioteca y a todas las funciones de Perlego. Las únicas diferencias son el precio y el período de suscripción: con el plan anual ahorrarás en torno a un 30 % en comparación con 12 meses de un plan mensual.
¿Qué es Perlego?
Somos un servicio de suscripción de libros de texto en línea que te permite acceder a toda una biblioteca en línea por menos de lo que cuesta un libro al mes. Con más de un millón de libros sobre más de 1000 categorías, ¡tenemos todo lo que necesitas! Obtén más información aquí.
¿Perlego ofrece la función de texto a voz?
Busca el símbolo de lectura en voz alta en tu próximo libro para ver si puedes escucharlo. La herramienta de lectura en voz alta lee el texto en voz alta por ti, resaltando el texto a medida que se lee. Puedes pausarla, acelerarla y ralentizarla. Obtén más información aquí.
¿Es Teutoburgo un PDF/ePUB en línea?
Sí, puedes acceder a Teutoburgo de Valerio Massimo Manfredi en formato PDF o ePUB, así como a otros libros populares de Literatura y Literatura histórica. Tenemos más de un millón de libros disponibles en nuestro catálogo para que explores.

Información

Editorial
Mondadori
Año
2016
ISBN
9788852076350

Prima parte

I

Due ragazzi correvano nel bosco.
La luce brillava nei loro capelli a ogni passaggio da ombra a ombra, ogni volta che ritrovavano il sole, barbagli d’oro. Volavano leggeri come il vento che muoveva le fronde degli alberi e come il profumo della resina che passava fra gli abeti giganti. Non avevano esitazioni, non rallentavano in vista di ostacoli, né all’apparizione improvvisa delle grandi creature della foresta. Ogni loro movimento era pura gioia di vivere.
I loro nomi erano Wulf e Armin, nobile la stirpe.
Giunsero in cima al colle dell’eco nello stesso momento in cui il sole illuminava la grande radura.
Armin si fermò: «Ascolta».
Anche Wulf si fermò: «Che cosa?».
«Il martello, il martello di Thor!»
Wulf tese l’orecchio: si udivano rombi profondi di tuono e a ogni colpo si accompagnava il rumore di acqua scrosciante e la sua eco interminabile.
«Vuoi farmi paura?»
«No. Non ancora.»
«Da dove viene?»
«Da destra, dietro il bosco di querce.»
«Andiamo?»
«Sì, ma con prudenza. Non è il martello di Thor.»
«Che cos’è allora?»
«Te l’avevo detto che ti avrei mostrato la strada che non si ferma mai.»
Gli fece cenno di seguirlo e prese ad avanzare, cauto, fra i quercioli e i frassini del sottobosco. Era facile seguirlo: il suo abito di lana rossa e d’argento si vedeva da lontano e così pure i riflessi ramati dei suoi capelli.
Armin infine si fermò. Era più alto di qualunque altro ragazzo della sua età. Wulf gli si avvicinò e ciò che vide lo lasciò esterrefatto. Davanti a loro c’era una strada lastricata di pietre levigate, larga almeno trenta piedi, perfetta in ogni particolare, asciutta e dritta, costante nelle sue dimensioni e completa nella sua struttura. Era bella come se gli stessi dei l’avessero costruita. La seguì con gli occhi e con la mente, passo dopo passo, finché la vide sparire dietro il bosco di querce.
«Hai detto “la strada che non si ferma mai”.»
«L’ho detto. Seguimi.»
Scesero il declivio della collina dell’eco e ritrovarono la strada, dritta e perfetta.
«Lo vedi?» disse Armin.
La strada giungeva al bordo della Grande Palude, che rifletteva come uno specchio il disco del sole, ma non si fermava davanti all’enorme distesa lacustre: proseguiva sull’acqua, sfiorando la superficie liquida e immota, fino ad arrestarsi a tre miglia dalla riva, nel mezzo della palude.
«Com’è possibile?» mormorò Wulf.
«Guarda laggiù, vicino a quell’isolotto» rispose Armin. «Vedi quelle torri di legno? Ognuna di esse è manovrata all’interno da almeno cinquanta uomini che azionano un meccanismo in grado di sollevare un maglio di duecento libbre a trenta piedi di altezza e poi di lasciarlo precipitare sul palo che sta infisso nel fondo della palude conficcandolo sempre più giù. Se guardi bene puoi vedere una doppia fila di quei pali emergere di poche spanne dalla superficie dell’acqua. Sui pali verranno incastrati dei travi, sui travi delle tavole di quercia, sulle tavole verranno distese la sabbia e le lastre di copertura. Ogni pezzo di legno: palo, trave, tavola, piolo è stato cotto in una miscela di olio e bitume e può durare secoli immerso nell’acqua. Una strada che non si ferma mai davanti ad alcun ostacolo: attraversa foreste, laghi e paludi, perfora le montagne. Una strada romana!»
«Come sai tutte queste cose?»
«Le so e basta» tagliò corto Armin. «E adesso torniamo a casa. Nostro padre ci leverà la pelle di dosso per aver disobbedito.»
«Non ce la faremo mai ad arrivare a casa prima del tramonto» disse Wulf.
«Non è detto: siamo ottimi corridori e abbiamo molte buone ragioni per arrivare a casa in tempo.»
«Prima fra tutte non farci spellare vivi a frustate da nostro padre.»
«Infatti. Muoviamoci allora.»
«Aspetta» disse Wulf. «Senti questo rumore?»
Armin tese l’orecchio e aguzzò lo sguardo. «È una legione romana in marcia. Giù, a terra!»
Wulf si appiattì al suolo. «Ma che ci fanno qui?»
«Ssst!» fece Armin. «Non il minimo rumore, non una parola. E fai come me.»
Armin si coprì di foglie mimetizzandosi perfettamente nel sottobosco e Wulf fece altrettanto. Il rumore cadenzato dei calzari ferrati si avvicinava sempre di più finché fu vicinissimo ai due ragazzi. Sotto le foglie, Armin sentì la mano tremante di Wulf e la strinse forte. Il tremito cessò e il rumore poco alla volta si attenuò e sparì lontano. Armin fece per alzarsi, ma la vista di due calzari romani chiodati a due spanne dal suo volto lo gelò.
«Guarda che cos’ho trovato!» esclamò una voce rauca in latino. Un bastone di vite frugò tra le foglie secche. Armin balzò in piedi gridando: «Via, via!». E i due ragazzi si lanciarono in una corsa forsennata senza nemmeno guardarsi attorno. Solo loro conoscevano il bosco in ogni angolo, in ogni anfratto; ne sapevano ogni luce e ogni ombra. In poco tempo avrebbero trovato rifugio in nascondigli invisibili.
Il centurione Marco Celio Tauro non si disturbò troppo a richiamarli o a imprecare; si limitò a fare un cenno con la mano che diceva “inseguiteli!” e cinque cavalieri, tre romani e due germanici, si lanciarono al galoppo, tagliarono loro la strada, bloccarono le vie di fuga, poi saltarono a terra tutti assieme e li circondarono. I due ragazzi si misero schiena contro schiena e afferrarono i corti pugnali che portavano alla cintura tenendo il pomolo dell’impugnatura contro il petto.
«Quei due» disse Wulf indicando i soldati germanici «sono come noi. Perché ci vogliono catturare?»
Armin rispose continuando a girare in tondo per fronteggiare la minaccia dei soldati: «Quelli sono i peggiori. Si sono venduti ai Romani e combattono nelle loro file».
L’assalto scattò simultaneo da ogni parte ma i due ragazzi si difesero come belve: a coltellate, a calci, pugni e morsi. Cinque uomini robusti ebbero la meglio a gran fatica su due ragazzi appena adolescenti: alla fine li inchiodarono al suolo, legarono loro le braccia dietro la schiena e se li trascinarono con due funi legate ai cavalli.
Il capo pattuglia si avvicinò al centurione: «Quei due sono delle furie, ci sono voluti cinque uomini per bloccarli».
«Hai capito chi sono?» domandò il centurione.
Il soldato germanico annuì: «Sono i figli di Sigmer, il capo dei Cherusci».
«Ne sei certo?»
«Come di essere qui.»
«Allora hai fatto buona caccia e avrai buona ricompensa. Non fateveli scappare o dovrete rendere conto a me. Almeno fino a domani.»
Armin e Wulf furono rinchiusi in una tenda circondata da sentinelle armate. Sul terreno furono stesi due materassi per il riposo. Uno schiavo portò loro della carne arrostita con del pane, una brocca di birra e due bicchieri. E al calare della sera accese una lampada.
«Ci trattano bene» disse Wulf.
«Brutto segno» rispose Armin. «Significa che hanno capito chi siamo.»
«Che vuoi dire?»
«Che non trattano tutti allo stesso modo: se ci usano dei riguardi vuol dire che vogliono ottenere qualcosa da nostro padre.»
«E cioè?»
«Roma vuole soltanto una cosa: sottomissione. La chiamano alleanza ma di questo si tratta, e siccome gli alleati non si fidano mai l’uno dell’altro, il più forte, cioè Roma, pretende garanzie.»
«Quali?» domandò Wulf.
«In questo caso noi: tu e io come ostaggi.»
«Lo fanno anche i nostri capi tribù.»
«Vero. Ma non è la stessa cosa. Naturalmente nemmeno i Romani parlano di ostaggi. Dicono che si tratta di istruzione, di addestramento al comando, di studi e apprendimento della lingua latina e forse anche del greco. Di fatto, però, la nostra sarebbe, e forse sarà, una condizione da ostaggi.»
Wulf chinò il capo e per un attimo vi fu totale silenzio nel piccolo padiglione. Portati dal vento vennero dall’esterno i richiami delle sentinelle per il cambio della guardia.
«Possenti dèi» mormorò.
Sigmer, capo supremo dei Cherusci, aveva passato tutta la notte insonne. Non vedendo tornare i suoi ragazzi, al tramonto aveva inviato squadre di esploratori a cavallo muniti di torce a battere tutti i sentieri della pianura, della montagna e della palude senza risultato. Le ricerche durarono per tutto il giorno successivo avvicendando squadre fresche ai cavalieri esausti. Alla fine, uno degli esploratori arrivò al galoppo fin davanti all’abitazione di Sigmer, balzò a terra e si fece condurre alla sua presenza.
«Sono stati i Romani» disse in un fiato.
Sigmer non imprecò né inveì. «Come lo sai?» domandò.
«Me l’ha detto uno dei loro ausiliari originario del mio stesso villaggio. I due principi si erano spinti per curiosità fino alla strada che attraversa la palude e sono stati sorpresi da una pattuglia di cavalleria romana che perlustrava i dintorni e le vie di servizio per l’afflusso dei materiali sui cantieri. Il centurione Marco Celio Tauro della Diciottesima legione Augusta, una vecchia volpe, li ha scoperti e li tiene in custodia.
So per certo che li trattano benissimo, ma li tengono d’occhio di giorno e di notte, è impossibile avvicinarli. E sconsiglierei un colpo di mano: potrebbe essere molto pericoloso. Sembra però che il centurione Tauro ti chiederà udienza per recarti un messaggio di Terenzio Nigro, il legato della legione.»
«Va bene» rispose Sigmer, «sono pronto a tutto ma voglio la prova che i miei ragazzi sono vivi.»
«L’avrai» confermò l’esploratore. «Il più presto possibile. Ma ora prendi un po’ di riposo.»
Riposo... Come avrebbe mai potuto? I suoi ragazzi, luce dei suoi occhi, erano in mano ai Romani e nessuno poteva prevedere quale sarebbe stato il loro destino. Glieli avrebbero portati via? Uno solo? Tutti e due? Avrebbero accettato un riscatto? E che cosa avrebbe mai potuto offrire? Armenti e greggi? Cavalli? Si sentiva impotente e affranto. I Cherusci erano la più potente delle tribù germaniche, la più numerosa, ma non avrebbero mai potuto sfidare l’Impero di Roma che si diceva si estendesse da un capo all’altro del mondo e dal mare meridionale all’Oceano. Ricordava bene come aveva cercato di uccidere il comandante Druso che all’età di ventiquattro anni conduceva una flotta di cento navi da battaglia lungo il Reno, e ricordava bene il canale che questi aveva fatto scavare, lungo ottanta leghe, dalla curva del Reno alla laguna settentrionale. Non c’era impresa che i Romani non potessero compiere: portavano la terra dove c’era l’acqua e l’acqua dove c’era la terra. Roma regnava su settanta milioni di persone. Anche questo si diceva.
Il centurione Tauro si presentò due giorni dopo, scortato da un drappello di cavalieri, con un interprete germanico, e chiese di essere ricevuto dal sovrano dei Cherusci. Sigmer lo accolse seduto su un trono di legno con striature dorate, attorniato dai suoi guerrieri più imponenti e con le armature più belle. Tutti portavano i capelli lunghi fino alle spalle, biondi come l’oro. Era presente anche Ingmar, il fratello minore di Sigmer.
«Qual è il motivo della tua venuta?» domandò il sovrano.
«Devo concordare con te un incontro con Terenzio Nigro, il legato della nostra legione. Dovrà avvenire in campo neutro, nella radura delle quattro querce. Ognuno di voi avrà al massimo una scorta di trenta uomini. Tu e il legato sarete disarmati.»
«I miei ragazzi saranno presenti?»
«Certamente. Ti renderai conto che sono stati trattati con tutto il rispetto dovuto al loro rango. Che cosa devo riferire al legato?»
«Che accetto» rispose Sigmer con voce spenta.
Tauro montò a cavallo e si allontanò con la sua scorta.
Sigmer chinò il capo con un sospiro e restò a lungo immobile.
L’incontro avvenne come convenuto, alla radura delle quattro querce, che prendeva il nome da quattro alberi colossali, vecchi probabilmente di secoli, due giorni dopo verso la metà del pomeriggio. Sigmer restò sconvolto alla vista dei suoi figli legati per i polsi con corde di canapa perché non tentassero di fuggire. L’interprete era già sul posto, a piedi.
«È così che trattate i miei figli?» esclamò Sigmer. Ingmar gli appoggiò una mano sulla spalla come per trattenerlo da espressioni inopportune.
Il legato avanzò al centro della radura a cavallo e Sigmer fece la stessa cosa.
Il legato rispose: «Sono sinceramente dispiaciuto, ma i tuoi principi sono troppo preziosi per noi e non possiamo permetterci di lasciarli liberi in questa circostanza».
«Sono disposto a pagare qualunque prezzo pur di riaverli» disse Sigmer, «anche tutto ciò che possiedo.»
«Ti capisco, nobile Sigmer, e al tuo posto farei lo stesso, ma non ho il potere di trattare un riscatto. Cesare è molto interessato a conoscere questi ragazzi e vuole che essi conoscano Roma, la sua grandezza, le sue leggi e le sue armate, e vuole anche incontrarli di persona. Roma ha bisogno di una nuova generazione di soldati che apprendano i nostri sistemi e difendano il nostro mondo, ha bisogno di una nuova generazione di comandanti e di magistrati perché governino la Germania romana quando sarà il momento.
Fra qualche tempo ti saranno restituiti e sarai orgoglioso di loro. Vedrai quanto sia stato per te un vantaggio rispettare i termini della nostra alleanza. I tuoi figli non saranno ostaggi ma ospiti. Credimi, Sigmer.»
Non c’era molto altro da dire ed era comunque evidente che, se pure l’uomo chiamato Cesare aveva i suoi piani per Wulf e Armin, i ragazzi restavano in ogni caso ostaggi, e se il padre avesse cambiato la sua alleanza in qualunque mo...

Índice