Al di là del bene e del male
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Al di là del bene e del male

Friedrich W. Nietzsche

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Friedrich W. Nietzsche

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Nell'estate del 1886 Nietzche cura a proprie spese, da Sils-Maria, in Engadina, la pubblicazione di Al di là del bene e del male. Tra le recensioni che più entusiasmarono il filosofo tedesco vi fu quella di Joseph Widmann, pubblicata su 'Der Bund' di Berna, il quale paragonò il libro a quei carri che, inalberando bandiera nera come segno di pericolo, trasportavano la dinamite attraverso le quiete valli svizzere passando per il tunnel del San Gottardo. Nietzsche comincia la sua guerra, dopo una guerriglia condotta a colpi di aforismi, contro tutti i pregiudizi morali e filosofici, contro l'illusionismo magico di parole e concetti. Un attacco che diventa più organico e sistematico, e che con la stessa intensità poetica segue il dionisiaco abbraccio alla vita selvaggia dell Zarathustra.

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Información

Editorial
BUR
Año
2011
ISBN
9788858609873
AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE
PRELUDIO DI UNA FILOSOFIA DELL’AVVENIRE
PREFAZIONE
Posto che la verità sia donna - ma allora, non sarebbe giustificato il sospetto che tutti i filosofi, in quanto furono dogmatici, si intendessero male delle donne? che l’orribile serietà, la goffa petulanza con cui essi sono stati soliti, finora, accostarsi alla verità, siano stati mezzi maldestri e inopportuni per guadagnarsi appunto i favori di una donna? Certo è che lei i favori non li ha concessi - e ogni specie di dogmatismo se ne sta oggi in atteggiamento afflitto e scoraggiato. Se ancora sta! Giacché ci sono degli schernitori i quali affermano che sarebbe caduto, che ogni dogmatismo sarebbe steso al suolo, anzi che ogni dogmatismo starebbe per rendere l’anima. Parlando seriamente, ci sono seri motivi per sperare che ogni dogmatizzare in filosofia sia stato soltanto una nobile bambocciata e una roba da principianti, per quanto abbia assunto atteggiamenti solenni di validità ultima e definitiva; e forse è vicinissimo il tempo in cui si comprenderà sempre più che cosa propriamente sia già bastato per posare la prima pietra di tali sublimi e assoluti edifici filosofici quali sono stati finora innalzati dai dogmatici - una qualche superstizione popolare di età immemorabile (come la superstizione dell’anima, che in quanto superstizione del soggetto e dell’Io non ha, ancor oggi, cessato di combinar pasticci), un qualche gioco di parole, forse, un fuorviamento provocato dalla grammatica o una temeraria generalizzazione di faccende molto anguste, molto personali, molto umane-troppo umane. La filosofia dei dogmatici è stata, vogliamo sperare, solo una promessa attraverso i millenni; come lo fu, in un tempo ancora più lontano, l’astrologia, al servizio della quale sono stati spesi, finora, più lavoro, denaro, intelligenza e pazienza che per qualunque vera scienza. Si deve a essa e alle sue pretese «ultraterrene» lo stile grandioso dell’architettura in Asia e in Egitto. Sembra che tutte le cose grandi, per iscriversi nel cuore dell’umanità con istanze eterne, debbano prima trascorrere sulla terra come spauracchi mostruosi e terrificanti. Un tale spauracchio è stata la filosofia dogmatica, per esempio la dottrina dei Vedanta in Asia e il platonismo in Europa. Non siamo ingrati verso di essa! Sebbene si debba certo confessare che l’errore peggiore, più lungo e più pericoloso di tutti, è stato finora un errore tipicamente dogmatico, cioè l’invenzione platonica del puro spirito e del bene in sé. Ma ormai, dov’esso è superato, dove l’Europa respira liberata da quest’incubo e può almeno godere di un sonno più salutare, siamo noi, che abbiamo come compito il vegliare stesso, gli eredi di tutta la forza che è stata accumulata nella lotta contro questo errore. Significherebbe veramente capovolgere la verità e negare addirittura la prospettività, condizione fondamentale di ogni vita, parlare dello spirito e del bene così come ha fatto Platone. Anzi si può, come medico, domandare: «Da dove venne un tale morbo alla più bella pianta dell’antichità, a Platone? fu egli corrotto dunque dal malvagio Socrate? sarebbe stato davvero Socrate il corruttore della gioventù? e avrebbe quindi meritato la cicuta?». Ma la lotta contro Platone, o, per dirlo in un modo più comprensibile e adatto al «popolo», la lotta contro la millenaria oppressione cristiano-ecclesiastica - giacché il cristianesimo è un platonismo per il «popolo» - ha creato in Europa una magnifica tensione dello spirito, quale non era mai esistita sulla terra; con un arco così teso si può ormai mirare ai bersagli più lontani. Certo, l’uomo europeo sente questa tensione come uno stato di emergenza; e sono già stati fatti due tentativi in grande stile per allentare l’arco, la prima volta col gesuitismo e la seconda con l’illuminismo democratico - come quello che con l’aiuto della libertà di stampa e della lettura dei giórnali potrebbe effettivamente far sì che lo spirito non sentisse più così facilmente se stesso come «emergenza»! (I Tedeschi hanno inventato la polvere da sparo - tutto il mio rispetto! - ma poi hanno subito pareggiato il conto inventando la stampa.) Noi però, che non siamo né gesuiti né democratici e neanche abbastanza tedeschi, noi buoni Europei e spiriti liberi, liberissimi - noi ce l’abbiamo ancora tutta, l’emergenza dello spirito e tutta la tensione del suo arco! E fors’anche la freccia, il compito e, chissà? la meta...
Sils-Maria, Alta Engadina, giugno 1885
PARTE PRIMA
DEI PREGIUDIZI DEI FILOSOFI
1
La volontà di verità, che ci spingerà ancora a più d’un’impresa temeraria, quel famoso amore della verità di cui tutti i filosofi hanno finora parlato con venerazione: quali problemi non ci ha già procurati, questa volontà di verità! Quali problemi bizzarri cattivi ed enigmatici! È già una lunga storia - ma non sembra che sia appena incominciata? Qual meraviglia se alla fine diventiamo diffidenti, perdiamo la pazienza, ci rigiriamo con insofferenza? Che da questa sfinge impariamo anche noi a far domande? Chi è propriamente che qui ci fa delle domande? Che cosa in noi vuole propriamente giungere «alla verità»? In realtà ci siamo fermati a lungo davanti al problema della causa di questa volontà - finché non ci siamo fermati del tutto davanti a una questione ancora più radicale. Ci siamo domandati quale fosse il valore di questa volontà. Va bene, vogliamo la verità; ma perché non piuttosto la falsità? E l’incertezza? Anzi l’ignoranza? Il problema del valore della verità ci si è fatto innanzi - o siamo noi che ci siamo fatti innanzi al problema? Chi di noi è qui Edipo? Chi la sfinge? Sembra che si siano dati convegno interrogazioni e punti interrogativi. E lo si crederebbe che alla fine ci vuol sembrare come se finora il problema non fosse stato mai posto - che sia stato visto, fissato, osato da noi per la prima volta? Giacché c’è in esso temerarietà, e forse non ce n’è una più grande.
2
«Come potrebbe qualcosa nascere dal suo contrario? Per esempio la verità dall’errore? O la volontà di verità dalla volontà di illusione? O l’azione disinteressata dal proprio tornaconto? O la contemplazione pura e solare del saggio dalla bramosia? Un siffatto nascere è impossibile; chi sogna ciò è un pazzo, anzi qualcosa di peggio; le cose di massimo valore devono avere un’origine diversa, un’origine propria - da questo mondo transeunte fuorviante ingannevole e meschino, da questo guazzabuglio di delirio e desiderio non si possono far derivare! Piuttosto nel grembo dell’essere, nell’imperituro, nel Dio nascosto, nella “cosa in sé” - qui dev’essere il loro fondamento, e in nessun altro luogo!» Questo modo di giudicare costituisce il tipico pregiudizio dal quale si possono riconoscere i metafisici di tutti i tempi; questa specie di valutazioni sta sullo sfondo di tutti i loro procedimenti logici; muovendo da questa loro «fede», essi si danno da fare per raggiungere il loro «sapere», qualcosa che alla fine viene solennemente battezzato come «la verità». La credenza fondamentale dei metafisici è la credenza nelle antitesi dei valori. Neanche ai più prudenti tra loro è venuto in mente di dubitare qui già sulla soglia, dove ciò era massimamente necessario, neanche quando avevano proclamato «de omnibus dubitandum». Si può cioè dubitare, in primo luogo, che esistano antitesi in genere e domandarsi in secondo luogo se quelle valutazioni e antitesi popolari, su cui i metafisici hanno impresso il loro sigillo, non siano per avventura mere valutazioni di facciata, mere prospettive provvisorie, per di più promananti forse da un angolino, forse da sotto in su, per così dire prospettive-di- batrace, per prendere a prestito un’espressione che è frequente fra i pittori. Con tutto il valore che si può attribuire al vero, all’amore del vero, al disinteresse, è possibile che un valore superiore e più basilare per ogni vita si debba attribuire all’apparenza, alla volontà di illudersi, al tornaconto e alla bramosia. È addirittura possibile che ciò che fa il valore di quelle cose buone e venerate risieda proprio nel loro essere capziosamente apparentate, annodate, agganciate e anzi forse sostanzialmente identiche a quelle cattive e apparentemente antitetiche! Forse! Ma chi ha voglia di preoccuparsi di tali pericolosi «forse»? Per questo bisognerà aspettare l’arrivo di un nuovo genere di filosofi, di filosofi che abbiano gusti e inclinazioni diversi e contrari a quelli che ci sono stati finora - filosofi del pericoloso «forse» in ogni senso. E detto con tutta serietà: io vedo che tali nuovi filosofi stanno arrivando.
3
Dopo aver abbastanza a lungo letto i filosofi tra le righe e aver loro riveduto le bucce, mi dico...

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